Il vertice sulla sicurezza a Singapore evidenzia la crescente frattura strategica tra Washington e le capitali europee sulla postura geopolitica in Asia. Mentre Pechino si defila, l’Europa riafferma la sua presenza multilivello nel Pacifico.
Lo Shangri-La Dialogue, tradizionale piattaforma asiatica per il confronto tra potenze militari, ha registrato quest’anno una significativa inversione di tendenza. A dominare il dibattito non è stata la consueta rivalità tra Cina e Stati Uniti, bensì una tensione crescente tra Washington e i Paesi europei, in particolare sulla ridefinizione del ruolo strategico dell’Europa nell’Indo-Pacifico.
La nuova dottrina americana: concentrare l’Europa sull’Europa
Il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha lanciato un messaggio chiaro: l’Europa dovrebbe concentrare i suoi crescenti investimenti militari esclusivamente sul fronte continentale, in modo da consentire agli Stati Uniti di rafforzare la loro proiezione nel Pacifico. “Preferiremmo che la gran parte degli investimenti europei rimanesse in Europa, per permetterci di utilizzare il nostro vantaggio comparativo”, ha dichiarato Hegseth.
L’assenza del suo omologo cinese, sostituito da una delegazione di basso profilo composta da studiosi militari, ha evidenziato il defilarsi strategico di Pechino dall’arena del confronto diretto, lasciando spazio a un dialogo interalleato più conflittuale del previsto.
L’Europa non arretra: “Pacifico ed Europa sono interdipendenti”
La risposta europea, tutt’altro che allineata, è arrivata da più fronti. La diplomatica estone Kaja Kallas, Alta rappresentante dell’UE per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, ha rivendicato la natura globale delle minacce: “La sicurezza dell’Europa e quella del Pacifico sono strettamente interconnesse. Se siete preoccupati per la Cina, dovreste esserlo anche per la Russia”.
Il riferimento al sostegno cinese allo sforzo bellico russo in Ucraina e al dispiegamento di truppe nordcoreane a fianco di Mosca è apparso come una contestazione indiretta alla visione americana di compartimentazione regionale degli sforzi strategici.
Macron e la “terza via”: un’alleanza tra Europa e Asia
A rafforzare la posizione europea è stato anche il presidente francese Emmanuel Macron, che ha rivendicato il ruolo di Parigi come potenza indo-pacifica, con oltre 8.000 militari stanziati tra Nuova Caledonia e Polinesia Francese. “Non siamo né con Pechino né con Washington. La nostra proposta è una terza via euro-asiatica, basata su cooperazione, stabilità e crescita condivisa”, ha affermato in conferenza stampa.
Presenza militare europea in Asia: una realtà consolidata
Contrariamente a quanto suggerito dalla dottrina Hegseth, la presenza europea in Asia è ben radicata e frutto di piani strategici a lungo termine. Il prossimo arrivo di una portaerei britannica a Singapore, annunciato già nel 2017, si inserisce in una più ampia strategia di libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale.
Nel quadro del Five-Power Defence Arrangement, il Regno Unito mantiene forze in Brunei, un battaglione di Gurkha e un centro di addestramento nella giungla, oltre a una collaborazione tecnico-militare attiva con Australia, Singapore, Malesia e Nuova Zelanda.
Singapore, a sua volta, mantiene una presenza in Francia con 200 aviatori e 12 velivoli da combattimento leggeri. Sul fronte industriale, Airbus, Naval Group, Thales, Fincantieri, Saab e Damen rafforzano da anni la filiera della difesa europea nella regione.
Geoeconomia della difesa: concorrenza e opportunità in Asia
Secondo i dati dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici (IISS), la spesa per la difesa in Asia ha raggiunto i 629 miliardi di dollari nel 2024, con una crescita del 46% in dieci anni. Un mercato sempre più appetibile anche per concorrenti extra-regionali come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, ma dove le aziende europee mantengono ancora un vantaggio competitivo grazie a rapporti consolidati.
Esemplare il caso della Saab, prossima alla chiusura di un contratto per la fornitura di caccia Gripen alla Thailandia, superando la concorrenza dei jet F-16 di Lockheed Martin.
Il dilemma dell’alleanza transatlantica
Il dissenso strategico emerso a Singapore rappresenta un segnale forte: il paradigma transatlantico che ha dominato la sicurezza globale per decenni è in fase di ridefinizione. L’Europa, sempre più assertiva, non intende rinunciare alla propria autonomia operativa e industriale nell’Indo-Pacifico.
La crescente pressione geopolitica su più teatri, la frammentazione degli interessi nazionali e l’evoluzione dei partenariati regionali delineano un nuovo multipolarismo strategico, dove la cooperazione sarà meno automatica e più selettiva.
La sfida, per gli attori occidentali, sarà costruire un equilibrio tra esigenze di sicurezza regionale e ruolo globale, tra specializzazione e interoperabilità, tra autonomia strategica europea e alleanza con gli Stati Uniti. In gioco non c’è solo il futuro del Pacifico, ma l’architettura della sicurezza globale del XXI secolo.