Un’operazione che rappresenta un rimpasto nel gioco delle partecipate, più che una iniziativa strategica per il sistema Paese, per il quale bisogna, invece, guardare ai benefici per imprese, consumatori e alla crescita dell’ecosistema digitale nel suo complesso. Un passaggio di quote che sembra solo “mettere a posto le carte” tra i soggetti in campo.
La notizia ufficiale è di ieri: Poste Italiane acquisisce il 9,81% di TIM da Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e cede a quest’ultima il 3,78% posseduto in Nexi.
I grandi giornali e i commentatori hanno subito parlato di riassetto delle Tlc italiane. Ma così non sembra essere, anzi l’operazione sembra essere una semplice riorganizzazione delle partecipate, senza alcun piglio strategico per il sistema Paese.
L’ingresso di Poste Italiane in TIM rappresenta l’ennesimo pasticcio all’italiana, un’operazione che sa di vecchia politica industriale e di manovre di Palazzo, piuttosto che di una visione strategica per il futuro delle telecomunicazioni.
Si tratta di una mossa probabilmente attesa da molti, ma che sembra, ripetiamo, dettata più da esigenze di equilibrio tra partecipazioni pubbliche e “interessi incrociati”, che da una reale volontà di rilanciare TIM o di costruire un’infrastruttura digitale nazionale effettivamente competitiva a livello europeo.
Un gioco di scambi di quote senza strategia?
Con questa operazione assistiamo a un vero e proprio gioco di scambi di presenze tra Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Poste Italiane e Nexi, che somiglia più a una partita a scacchi tra partecipate pubbliche che a una strategia di lungo periodo.
Al contrario, l’Italia avrebbe bisogno di un piano chiaro e ambizioso per le telecomunicazioni, con investimenti mirati, guidati da competenza e finalizzati all’innovazione del Paese. Invece, ci troviamo di fronte a un’operazione opaca, in cui si spostano quote e si ridisegnano assetti societari, ma senza che ci sia un disegno organico, una strategia di sistema Paese, un reale beneficio per i cittadini e per le imprese.
Le difficoltà di TIM
TIM è da anni in difficoltà e continua a essere ostaggio di operazioni di salvataggio di corto respiro, mentre la concorrenza europea e globale corre verso il futuro, con reti più efficienti e modelli di business innovativi.
L’ingresso di Poste Italiane, che non ha né l’esperienza né il know-how per gestire una realtà così complessa come quella delle telecomunicazioni, rischia di appesantire ulteriormente TIM, già gravata da debiti e da una governance incerta.
Le mosse di CDP
Inoltre, è importante sottolineare le perdite finanziarie che Cassa Depositi e Prestiti (CDP) ha subito con i suoi investimenti in TIM e Open Fiber.
Nel 2022, CDP ha registrato una svalutazione della sua partecipazione del 9,81% in TIM, contribuendo a una variazione negativa delle riserve da valutazione pari a -451 milioni di euro. Per quanto riguarda Open Fiber, CDP ha aumentato la sua quota al 60% nel 2021, investendo ulteriori 530 milioni di euro per acquisire un ulteriore 10% da Enel. Nonostante questi ingenti investimenti, Open Fiber ha continuato a registrare perdite e ad accumulare debiti, richiedendo ulteriori finanziamenti per sostenere le sue operazioni.
La soluzione-papocchio: “Purché siamo tutti d’accordo…”
Insomma, quello che vediamo è l’ennesimo “papocchio” di Stato, una mossa che non porta né innovazione né competitività, ma solo nuovi equilibri politici e burocratici. Nel frattempo, l’Italia continua a rimanere indietro nella corsa verso la digitalizzazione e lo sviluppo delle infrastrutture di rete di nuova generazione.