Il Presidente Trump rilancia la produzione audiovisiva domestica come priorità strategica e di sicurezza nazionale, scatenando reazioni internazionali e allarmi tra gli operatori dell’industria globale.
Con un annuncio destinato a ridisegnare la geografia industriale del cinema globale, il Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump ha ufficializzato l’introduzione di tariffe del 100% su tutti i film prodotti al di fuori del territorio americano e successivamente importati negli Stati Uniti. Il provvedimento, comunicato ufficialmente attraverso un ordine esecutivo e anticipato sui suoi canali social, segna una svolta protezionista senza precedenti per il settore dell’audiovisivo.
“Vogliamo che i film siano prodotti in America, di nuovo”, ha dichiarato Trump, definendo la misura una risposta necessaria a una minaccia alla sicurezza nazionale, derivante — a suo dire — da una strategia concertata di Stati esteri per sottrarre investimenti e influenza culturale agli Stati Uniti attraverso incentivi fiscali distorsivi.
Tariffe doganali sull’audiovisivo: i dettagli ancora oscuri
L’ordine esecutivo incarica il Dipartimento del Commercio e le agenzie federali competenti di avviare con effetto immediato il processo di implementazione dei dazi. Tuttavia, molti aspetti tecnici restano non definiti: dalla base imponibile (costo di produzione vs incassi) alla distinzione tra contenuti cinematografici distribuiti in sala, su piattaforme streaming o tramite licenze transfrontaliere digitali.
Il Segretario al Commercio Howard Lutnick ha dichiarato che “le agenzie sono già operative”, ma nessuna informazione ulteriore è stata fornita in merito alle tempistiche, ai criteri applicativi e agli eventuali meccanismi di esenzione.
Impatti immediati: i mercati reagiscono, le industrie estere si mobilitano
La reazione dei mercati non si è fatta attendere: le azioni di Disney, Warner Bros Discovery, Netflix, Amazon e Paramount Global hanno registrato cali nelle prime ore di contrattazione a Wall Street. Le multinazionali del contenuto si trovano oggi a operare in uno scenario radicalmente cambiato, in cui la produzione internazionale — finora strategica per ragioni fiscali e logistiche — potrebbe diventare penalizzante.
In risposta, leader politici e associazioni industriali in Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno espresso forte preoccupazione per l’impatto delle tariffe. In particolare, Bectu, il sindacato britannico del settore, ha chiesto al governo di “tutelare con urgenza” una filiera che nel 2024 ha generato oltre 5,6 miliardi di sterline in valore produttivo.
Protezionismo culturale: ritorno alla Hollywood nazionalista?
La mossa di Trump si inserisce in un più ampio disegno di ricostruzione industriale e culturale della filiera audiovisiva americana. A inizio anno, il Presidente aveva nominato figure simboliche del cinema statunitense — Jon Voight, Sylvester Stallone, Mel Gibson — in un comitato consultivo per rilanciare Hollywood “più grande e più forte di prima”.
La misura si propone di incentivare il reshoring creativo, riportando sul suolo americano produzioni ad alto budget attualmente allocate in Canada, Regno Unito, Europa Centrale o Australia. Eppure, i dati raccontano un quadro critico: la produzione audiovisiva a Los Angeles è calata del 40% negli ultimi dieci anni (dati FilmLA), mentre la California è oggi solo il sesto territorio più attrattivo per girare, dietro Toronto, Londra, Vancouver e Sydney.
Un caso giuridico e geopolitico: verso una nuova guerra commerciale culturale?
Il provvedimento apre anche una delicata partita sul piano del diritto internazionale. Gli esperti si interrogano sulla legittimità dei dazi nel contesto delle regole WTO, soprattutto considerato che il cinema — pur essendo un asset industriale — è anche riconosciuto come bene culturale protetto da accordi multilaterali.
L’ex funzionario del Commercio William Reinsch ha sottolineato che eventuali ritorsioni da parte di partner commerciali potrebbero avere un effetto devastante sul sistema americano, mettendo a rischio sia le esportazioni culturali statunitensi che la reputazione globale della propria industria creativa.
La decisione del Presidente Trump di imporre tariffe del 100% sui film esteri non è un semplice atto commerciale, ma una dichiarazione di politica industriale e geopolitica. In un’epoca in cui la competizione globale si gioca anche sui contenuti, sulla narrazione e sull’immaginario collettivo, gli Stati Uniti scelgono la strada del protezionismo culturale, con l’intento di riaffermare la propria centralità nel racconto del mondo.
Resta da capire se questa strategia sarà in grado di rivitalizzare la produzione domestica o se finirà per isolare l’industria americana in un ecosistema sempre più globalizzato e interdipendente, dove il cinema è già oggi — e sempre più sarà — una moneta di scambio tra economia, politica e potere simbolico.