Shein tra sostenibilità, emissioni in crescita e IPO a Hong Kong: il fast fashion globale sotto pressione normativa e finanziaria

| 16/06/2025
Shein tra sostenibilità, emissioni in crescita e IPO a Hong Kong: il fast fashion globale sotto pressione normativa e finanziaria

Il colosso del fast fashion registra un aumento a doppia cifra delle emissioni da trasporto nel 2024, mentre prepara la quotazione a Hong Kong dopo gli ostacoli normativi incontrati a Londra e New York. Sotto la lente: supply chain, strategia ESG, diversificazione logistica e gestione della reputazione globale.

Il gigante globale del fast fashion Shein, fondato in Cina e con sede a Singapore dal 2022, si trova oggi al centro di una doppia sfida strategica: da un lato, la necessità di rispondere a pressanti richieste di sostenibilità ambientale e trasparenza di filiera; dall’altro, il tentativo di accedere ai mercati dei capitali attraverso una quotazione pubblica in un contesto geopolitico e normativo sempre più complesso.

Secondo il suo ultimo rapporto di sostenibilità, nel solo 2024 le emissioni da trasporto generate da Shein sono salite a 8,52 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti, in crescita del 13,7% rispetto al 2023. Una revisione metodologica ha inoltre portato a un ricalcolo delle stesse emissioni del 2023, inizialmente sottostimate del 18%.

Supply chain ad alta intensità di carbonio e nuove pressioni normative

Il modello operativo di Shein si basa su una logistica just-in-time e basata su voli cargo, che consente consegne rapide a oltre 150 mercati globali. Tuttavia, questo approccio si traduce in un’impronta climatica significativamente più alta rispetto ai concorrenti tradizionali come Inditex (Zara), che registra emissioni da trasporto pari a 2,61 milioni di tonnellate nel 2024, nonostante anch’essa abbia aumentato l’uso di spedizioni aeree.

Il contesto normativo sta diventando sempre più critico. La Francia ha recentemente approvato una proposta di legge che punta a vietare la pubblicità per aziende di fast fashion ad alta intensità ambientale, come Shein e Temu, in risposta alle crescenti preoccupazioni per l’impatto ecologico del settore.

Rischio reputazionale e relazioni industriali

Oltre alle emissioni, Shein è da tempo oggetto di accuse su presunte violazioni dei diritti umani legate alla filiera del cotone proveniente dallo Xinjiang, regione cinese al centro di accuse internazionali di lavoro forzato. L’azienda ha dichiarato di avere una policy di tolleranza zero verso il lavoro forzato e afferma di richiedere ai fornitori di utilizzare esclusivamente cotone da fonti approvate.

Nel 2024, Shein ha terminato 12 contratti con fornitori non conformi ai propri standard (più del doppio rispetto al 2023) e ha effettuato 4.288 audit on-site in Cina. Tuttavia, il tema rimane altamente sensibile per investitori istituzionali, ONG e policy maker occidentali.

Strategia di mitigazione: decentralizzazione logistica e IPO in Asia

Per contenere le emissioni e ridurre i costi di spedizione, Shein ha avviato un processo di regionalizzazione produttiva, con l’apertura di hub operativi e impianti in Brasile e Turchia, destinati a servire mercati locali riducendo la dipendenza dal trasporto aereo intercontinentale.

Parallelamente, l’azienda ha rivisto la propria strategia finanziaria: dopo il fallimento della quotazione a Londra e negli Stati Uniti, ostacolata da questioni regolatorie e pressioni politiche, Shein ha ora indirizzato le proprie ambizioni di IPO verso Hong Kong. Secondo analisti locali, la borsa asiatica rappresenta una soluzione più pragmatica, sia per l’accesso diretto agli investitori mainland attraverso il programma Stock Connect, sia per la maggiore tolleranza verso strutture di supply chain complesse.

Un’eventuale quotazione nella città-stato potrebbe anche offrire maggiore flessibilità normativa, ad esempio grazie alla possibilità di richiedere deroghe sui requisiti di disclosure, che potrebbero facilitare la gestione di temi controversi legati alla sostenibilità e ai diritti umani.

Prospettive: ESG, accesso ai capitali e nuova governance globale

L’intenzione dichiarata di Shein è quella di posizionarsi come attore globale, e non solo cinese, nel panorama del fashion digitale. Tuttavia, l’evidente divaricazione tra rapidità di crescita commerciale e lentezza di adeguamento ESG mette in discussione la capacità dell’azienda di soddisfare le aspettative di investitori istituzionali orientati a criteri ESG (Environmental, Social and Governance).

La Science-Based Targets Initiative (SBTi) ha approvato gli obiettivi di riduzione delle emissioni di Shein, che includono un taglio del 25% delle emissioni Scope 3 entro il 2030, ma il gap tra dichiarazioni e realtà operative resta elevato.

In prospettiva, Shein rappresenta un caso di studio di rilevanza globale su come le aziende nate digitali e globalizzate stiano cercando di ridefinire la governance industriale e ambientale nel contesto di pressioni normative, politiche e finanziarie divergenti.

Una transizione ancora incompleta

Shein è oggi al centro di un crocevia strategico: deve dimostrare di poter crescere senza compromettere la sostenibilità, di attrarre capitali mantenendo credibilità industriale e di entrare nei mercati regolamentati con una governance adeguata ai nuovi standard globali.

La sfida non è più solo logistica o tecnologica: è sistemica. E si gioca sul terreno delicato dove si incontrano modelli industriali, diritti umani, innovazione sostenibile e accesso al capitale globale.

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