A settembre si apre il processo contro Alphabet per abuso di posizione dominante nel mercato pubblicitario digitale: in discussione la vendita forzata dell’ad exchange e dell’ad server per garantire la concorrenza nel settore
Il colosso tecnologico Google (Alphabet Inc.) affronterà a settembre un processo antitrust di importanza sistemica, incentrato sul suo presunto abuso di posizione dominante nel mercato della pubblicità digitale. La giudice distrettuale Leonie Brinkema ha fissato la data per l’inizio del procedimento, che potrebbe ridefinire profondamente l’architettura del digital advertising negli Stati Uniti e nel mondo.
Al centro del caso promosso dal Dipartimento di Giustizia (DOJ) vi è la richiesta di una cessione forzata di asset strategici: l’ad exchange e l’ad server di Google, strumenti essenziali con cui editori e fornitori di contenuti monetizzano la pubblicazione di annunci pubblicitari online. Questi asset rappresentano l’infrastruttura centrale della filiera pubblicitaria digitale.
Il cuore del contenzioso: integrazione verticale e restrizione della concorrenza
La posizione del DOJ, espressa dall’avvocato Julia Tarver Wood, è chiara: Google ha illecitamente legato l’utilizzo del proprio ad server a quello del proprio ad exchange, imponendo agli editori digitali una dipendenza commerciale strutturale che ostacola la concorrenza e danneggia sia il pluralismo del mercato sia gli utenti finali.
La sentenza preliminare della giudice Brinkema, emessa in aprile, ha riconosciuto la natura anticoncorrenziale delle pratiche di Google, definendole contrarie agli interessi dei clienti editoriali e in violazione dei principi della libera concorrenza.
Le due linee strategiche: dismissione forzata vs. rimedi comportamentali
Il confronto legale ruoterà attorno a due visioni radicalmente opposte:
- Il DOJ intende ottenere un remedy strutturale, ovvero una separazione proprietaria dell’ad exchange e dell’ad server, in una manovra che richiederebbe anni di implementazione, con impatti significativi sull’intero ecosistema pubblicitario digitale.
- Google, rappresentata dall’avvocato Karen Dunn, contesta la legalità della richiesta, sostenendo che il governo non può imporre una cessione forzata di asset strategici. In alternativa, propone rimedi comportamentali, come la condivisione dei dati di offerta in tempo reale con i concorrenti, per garantire condizioni di parità.
Secondo Dunn, l’approccio del DOJ minaccerebbe la funzionalità di internet e si scontrerebbe con la mancanza di acquirenti adeguati per gli asset in questione, ponendo anche rischi di frammentazione tecnologica.
Impatti giuridici e implicazioni globali
Il caso si inserisce in un contesto di revisione globale delle politiche antitrust nel digitale, in cui Stati Uniti ed Europa stanno gradualmente convergendo su criteri più rigidi per limitare la concentrazione di potere tra le Big Tech. Alphabet ha già valutato in passato la cessione volontaria di parte della propria infrastruttura ad tech per rispondere alle pressioni dell’antitrust europeo.
Tuttavia, negli Stati Uniti si tratta della prima volta in cui un’autorità federale tenta esplicitamente di smantellare parti di un’azienda tecnologica dominante nel comparto pubblicitario. L’esito del processo sarà un precedente rilevante per futuri casi simili, inclusi quelli già avviati contro Meta e Amazon.
Verso un nuovo equilibrio tra innovazione, concorrenza e governance dei dati
L’eventuale dismissione forzata degli asset di Google rappresenterebbe una cesura storica nell’evoluzione del capitalismo digitale, ridefinendo i limiti tra efficienza industriale e abuso di potere economico. La questione va ben oltre la dinamica concorrenziale: tocca la sovranità dei dati, la neutralità delle piattaforme, e l’equilibrio tra mercato e regolazione.
In gioco non c’è solo il futuro del digital advertising, ma la struttura stessa delle piattaforme digitali come infrastruttura pubblica de facto. Il caso sarà seguito con attenzione non solo da giuristi e antitrust watchers, ma anche da investitori, regolatori e governi impegnati nella regolazione dell’economia algoritmica.