Una sentenza destinata a influenzare il futuro della tutela dei dati personali e la responsabilità giuridica delle piattaforme digitali internazionali. Shopify sotto processo in California.
In un verdetto destinato ad avere un impatto rilevante sull’intera industria digitale globale, la Corte d’Appello del Nono Circuito degli Stati Uniti ha riaperto una class action contro Shopify Inc., gigante canadese dell’e-commerce. La decisione, assunta con un’ampia maggioranza (10 voti a 1), ha stabilito che Shopify può essere citata in giudizio in California per presunte violazioni della privacy avvenute attraverso siti web di retailer locali.
Il contesto giuridico
Il caso nasce dalla denuncia di Brandon Briskin, residente californiano, che accusa Shopify di aver installato sul suo iPhone, senza consenso, dei cookie di tracciamento durante l’acquisto di abbigliamento sportivo dal sito “I Am Becoming”. Secondo Briskin, i dati raccolti sarebbero stati successivamente utilizzati per costruire un profilo vendibile ad altri commercianti.
Shopify, dal canto suo, ha sostenuto di non poter essere soggetta alla giurisdizione californiana, poiché opera su scala nazionale e globale, e ha suggerito sedi alternative per il processo, come Delaware, New York o il Canada.
Una sentenza spartiacque
Il ribaltamento della precedente decisione da parte della Corte, che aveva inizialmente respinto il ricorso, segna un punto di svolta. Il giudice Kim McLane Wardlaw, relatore della maggioranza, ha affermato che Shopify ha “deliberatamente indirizzato le sue azioni verso la California”, implementando volontariamente strumenti di tracciamento con finalità commerciali.
In particolare, la Corte ha affermato che non si può invocare la “natura ubiqua” di internet per sottrarsi alla responsabilità: chi opera in un mercato specifico attraverso strumenti digitali può essere chiamato a rispondere in quella giurisdizione.
Le implicazioni strategiche
La sentenza ha suscitato reazioni contrastanti. Shopify ha replicato affermando che la decisione “mina i fondamenti del funzionamento di Internet” e potrebbe rappresentare un precedente pericoloso per startup e imprese digitali che operano in mercati globali.
Al contrario, l’avvocato di Briskin, Matt McCrary, ha lodato la sentenza come una conferma della responsabilità digitale, affermando che le aziende non possono più considerarsi “giuridicamente invisibili” solo perché distribuite ovunque.
Un fronte ampio e bipartisan composto da 30 Stati USA e Washington D.C. si è schierato a favore del ricorrente, invocando il diritto di far valere leggi locali in materia di protezione dei consumatori anche contro aziende che agiscono online.
Un precedente per la giurisdizione dell’economia digitale
Il caso Briskin v. Shopify tocca questioni cruciali per l’economia digitale, la tutela dei dati personali e il diritto internazionale privato. Se confermata, la sentenza stabilirà un precedente per l’attribuzione della giurisdizione extraterritoriale in ambito online, con possibili conseguenze per tutte le imprese che raccolgono dati senza trasparenza su scala globale.
Allo stesso tempo, la causa apre nuovi interrogativi su come bilanciare efficacemente l’innovazione tecnologica e l’espansione globale delle piattaforme digitali con i diritti fondamentali degli utenti e l’applicazione delle normative locali.
La vicenda Shopify rappresenta un banco di prova per l’evoluzione del diritto digitale globale, con potenziali ripercussioni sulle strategie di compliance, data governance e responsabilità delle big tech. La partita legale è tutt’altro che conclusa, ma un messaggio è già chiaro: nel nuovo ordine digitale, la neutralità geografica non esime dalla responsabilità.