Dal caos negli aeroporti alle email d’emergenza delle Big Tech, la stretta di Trump sui visti H-1B ha gettato nel panico migliaia di lavoratori qualificati. I chiarimenti della Casa Bianca non bastano a rassicurare la Silicon Valley, India e Cina, mentre cresce il timore di un’America meno accogliente per i talenti globali.
All’improvviso gli aeroporti americani si sono trasformati in scenari di ansia collettiva. Ingegneri e analisti, molti con radici in India e Cina, hanno abbandonato voli internazionali o cancellato vacanze temendo di restare bloccati fuori dagli Stati Uniti. La tassa da 100mila dollari per i nuovi visti H-1B, annunciata da Donald Trump, ha scatenato panico e confusione. Anche dopo il chiarimento della Casa Bianca — secondo cui la misura colpirà solo le nuove petizioni — la paura resta palpabile: a tremare ora non sono solo i lavoratori, ma l’intero ecosistema tecnologico globale.
Caos e incertezza negli aeroporti
La proclamazione della Casa Bianca ha avuto un effetto immediato: panico diffuso tra decine di migliaia di lavoratori stranieri che vivono negli Stati Uniti grazie al visto H-1B, in gran parte ingegneri e programmatori provenienti da India e Cina.
Le aziende della Silicon Valley hanno reagito con la stessa urgenza di una crisi finanziaria: memo interni e email lampo da parte di Microsoft, Amazon, Google e Goldman Sachs hanno intimato ai dipendenti di rientrare immediatamente e di non lasciare più il Paese fino a nuovo ordine.
Nei terminal si sono viste scene surreali: voli ritardati perché i passeggeri chiedevano di scendere, viaggi di famiglia cancellati all’ultimo momento, ingegneri che hanno rinunciato a rivedere i genitori malati per non rischiare di perdere la vita costruita negli Stati Uniti.
Il chiarimento della Casa Bianca: troppo poco, troppo tardi?
La portavoce Karoline Leavitt ha chiarito su X che la tassa da 100mila dollari non sarà annuale, ma un prelievo una tantum per ogni nuova petizione H-1B. I titolari di visti già attivi o in fase di rinnovo potranno dunque viaggiare senza incorrere nella nuova misura.
Il chiarimento è servito a placare solo parzialmente la tempesta. Per molte famiglie, il danno era già fatto: vacanze rovinate, voli cancellati, piani familiari spezzati. Ma soprattutto resta il messaggio politico: l’America sembra meno aperta e accogliente per i talenti stranieri che, fino a ieri, consideravano la Silicon Valley la propria terra promessa.
Le storie dietro i numeri
Dietro i comunicati ufficiali e le cifre governative si nascondono vite sospese. Un ingegnere indiano ha raccontato come la moglie, anche lei con visto H-1B, abbia deciso comunque di partire per l’India per assistere la madre malata: «Abbiamo costruito la nostra vita qui. Ma cosa conta di più, la famiglia o la paura di non poter tornare?»
Sulla piattaforma cinese Rednote, centinaia di messaggi raccontano la corsa disperata verso gli Stati Uniti. Una donna ha descritto la scena a bordo di un volo per Parigi: l’aereo già in rullaggio, poi il capitano che torna al gate per farla scendere dopo una telefonata dell’ufficio legale della sua azienda. «Mi sono sentita insignificante» ha scritto «Come se la mia vita valesse meno di una clausola politica».
Le testimonianze ricordano da vicino i giorni più cupi della pandemia, quando confini e aeroporti chiudevano all’improvviso e la certezza di un ritorno a casa svaniva nel giro di ore.
Una svolta politica radicale
Il visto H-1B, introdotto negli anni ’90, è sempre stato oggetto di tensioni politiche. Da un lato, le aziende tech lo considerano vitale per attrarre talenti; dall’altro, i critici sostengono che favorisca lo sfruttamento e la compressione dei salari dei lavoratori americani.
Donald Trump aveva in passato difeso il programma, arrivando a dichiarare il proprio sostegno pubblico a Elon Musk nella battaglia per preservarlo. Oggi, invece, la svolta è netta: una tassa da 100.000 dollari per ogni nuova richiesta di visto che, secondo la Casa Bianca, dovrebbe scoraggiare l’abuso del programma e aprire più posti per cittadini statunitensi.
Ma per i detrattori si tratta di un segnale diverso: un’America che chiude le porte ai talenti globali, rischiando di indebolire il proprio vantaggio competitivo.
Silicon Valley in allarme
Nessun settore ha avvertito l’impatto del provvedimento quanto la Silicon Valley, che dipende fortemente dai lavoratori H-1B. Secondo i dati ufficiali, nel 2024 il 71% dei beneficiari proveniva dall’India e l’11,7% dalla Cina.
Questi numeri non sono solo statistiche: raccontano l’ossatura della forza lavoro che alimenta lo sviluppo di intelligenza artificiale, semiconduttori, biotecnologie e sistemi cloud. Limitare l’afflusso di talenti stranieri significa rallentare la velocità con cui le grandi aziende possono innovare.
E mentre gli Stati Uniti alzano barriere, Paesi come Canada, Singapore e Regno Unito osservano la scena con attenzione, pronti a proporsi come nuove destinazioni per i cervelli globali.
La dimensione geopolitica del capitale umano
Il caso H-1B non è solo una questione di politica interna o di diritti dei lavoratori. È una partita geopolitica. Nella competizione globale per la supremazia tecnologica, il capitale umano è la risorsa strategica più preziosa.
India e Cina, i due Paesi più colpiti dalle nuove restrizioni, producono ogni anno centinaia di migliaia di laureati in discipline STEM. Se questi giovani iniziano a considerare gli Stati Uniti come una destinazione incerta e ostile, l’epicentro dell’innovazione potrebbe lentamente spostarsi altrove.
Identità, economia e mito americano
Il cuore della vicenda tocca una domanda più profonda: cosa significa oggi l’America per chi cerca opportunità?
Per decenni gli Stati Uniti sono stati il Paese che accoglieva i talenti e li trasformava in motori di crescita. Oggi, invece, emergono segnali di chiusura che mettono in discussione quel mito. Da un lato, la protezione dei lavoratori interni. Dall’altro, il rischio di un “suicidio competitivo” denunciato da molti analisti.
La verità è che senza l’apporto di cervelli stranieri, molte delle innovazioni che hanno reso grande la Silicon Valley non sarebbero mai nate.
Un Paese meno prevedibile
La stretta sugli H-1B non ha solo creato panico negli aeroporti. Ha aperto un varco simbolico: l’idea che gli Stati Uniti non siano più un porto sicuro per chi cerca di costruire il proprio futuro.
Ogni famiglia che ha cancellato una vacanza, ogni ingegnere che ha rinunciato a rivedere i genitori malati, ogni lavoratore che si è sentito “ospite precario” racconta la stessa verità: l’America sta diventando meno prevedibile e meno accogliente.
Se questa linea continuerà, la Silicon Valley rischia di scoprire che il suo bene più prezioso — le persone — non è garantito per sempre. E allora, il sogno americano potrebbe trasformarsi in un sogno interrotto, con conseguenze che andranno ben oltre i confini degli Stati Uniti.