Visa–Mastercard: svolta nei pagamenti, nuovo accordo con i commercianti

RedazioneRedazione
| 11/11/2025
Visa–Mastercard: svolta nei pagamenti, nuovo accordo con i commercianti

Le due reti globali raggiungono un’intesa rivista con i commercianti statunitensi, dopo anni di dispute sulle commissioni d’intercambio. La decisione, depositata presso la corte federale di Brooklyn, potrebbe cambiare gli equilibri nel mondo dei pagamenti.

Una battaglia legale ventennale, miliardi di dollari in gioco, e un mercato in trasformazione spinto dai wallet digitali e dai nuovi operatori fintech. Lo scontro sui costi delle carte di credito diventa un banco di prova per la finanza del futuro.

Una disputa che non finiva mai

Era nell’aria da mesi, ma la conferma ufficiale è arrivata soltanto con un documento depositato alla corte federale di Brooklyn.
Visa e Mastercard, i due giganti dei pagamenti elettronici, hanno raggiunto un accordo rivisto con un gruppo di commercianti americani che da anni le accusavano di commissioni eccessive e anticoncorrenziali.

Una storia che sembra infinita.
Cominciata più di vent’anni fa, in un’America ancora dominata dal contante, la causa si è trasformata nel simbolo della tensione tra potere finanziario e piccolo commercio, tra infrastrutture globali e economie locali.
Ogni swipe di carta, ogni pagamento, nasconde un flusso di costi invisibili.
E per i retailer, quei centesimi moltiplicati per miliardi di transazioni, fanno la differenza tra utile e perdita.

Il cuore della contesa: le “interchange fees”

Tutto ruota intorno a una voce tecnica, ma cruciale: le commissioni d’intercambio o interchange fees.
Ogni volta che un cliente paga con una carta Visa o Mastercard, l’esercente versa una percentuale alla banca che ha emesso la carta. È il prezzo dell’accettazione: copre sicurezza, infrastruttura, prevenzione frodi.
Eppure, negli anni, queste commissioni sono cresciute fino a diventare un costo strutturale per chi vende.

I commercianti sostengono che il sistema sia opaco e poco competitivo, un oligopolio di fatto in cui i due network controllano oltre il 70% del mercato delle carte di credito.
Le reti rispondono che quelle fee finanziano la fiducia nel sistema: “pagare ovunque, sempre, in sicurezza”.
Entrambe le cose sono vere.
Ma in un’economia digitale che evolve più rapidamente dei regolatori, il confine tra efficienza e abuso diventa sottile. Sottilissimo.

Cosa cambia con il nuovo accordo

L’accordo, di cui si attendono i dettagli, rappresenta un compromesso di lungo periodo.
Secondo le prime informazioni trapelate, Visa e Mastercard si impegnano a rendere più trasparente la struttura delle commissioni, consentendo ai commercianti di conoscere con maggiore chiarezza il costo reale di ogni transazione.
Si discute anche di un possibile alleggerimento dei tassi d’intercambio e di una maggiore libertà per i retailer nel gestire sconti o sovrapprezzi legati al metodo di pagamento.

Sembra un tecnicismo, ma non lo è.
Per milioni di imprese, significa poter competere in modo più equo; per i consumatori, significa che la guerra delle fee potrebbe tradursi, col tempo, in prezzi più bassi.
E per i giganti dei pagamenti, significa salvaguardare la redditività senza cedere il controllo del mercato.

Un precedente che può cambiare tutto

A differenza dell’Europa, dove le interchange fees sono già soggette a limiti regolatori, negli Stati Uniti il settore si muove in un equilibrio fragile tra libera concorrenza e potere di mercato.
Per questo, il nuovo accordo non è solo una transazione legale: è un precedente di mercato.
Un laboratorio di compromesso che potrebbe influenzare altre cause in corso e, di riflesso, ridefinire le pratiche di pricing in tutto il mondo.

Le implicazioni non si fermano ai confini del tribunale.
Perché se il costo di una transazione diventa più trasparente, si sposta il baricentro del potere economico: dal network al commerciante, e, indirettamente, al cliente finale.

L’onda lunga sui consumatori

Per capire l’impatto reale bisogna guardare la catena del valore.
Quando un retailer paga meno per accettare una carta, può scegliere:
👉 ridurre i prezzi per restare competitivo
👉 aumentare i margini per sopravvivere in un mercato iper-frammentato
👉 o reinvestire in servizi e tecnologia.

Non è detto che accada subito.
Ma nel lungo periodo, la pressione sulle fee genera concorrenza. E la concorrenza, nei pagamenti, come nell’energia o nella logistica, tende a spingere verso l’efficienza.

C’è però un rovescio: se le reti incassano meno, potrebbero compensare riducendo i programmi di cashback e premi per i clienti.
In un ecosistema complesso come quello americano, ogni equilibrio crea nuovi squilibri.

Il fattore fintech: la disruption entra in scena

Intanto, mentre le corti si esprimono, il mercato corre avanti.
Wallet digitali, app di pagamento istantaneo, soluzioni buy now pay later e piattaforme crypto stanno erodendo terreno ai circuiti tradizionali.
Non li sostituiranno domani, la fiducia costruita da Visa e Mastercard in mezzo secolo è un capitale immenso, ma stanno ridefinendo il perimetro del potere finanziario.

Per questo l’accordo è anche una mossa di difesa strategica.
Un modo per ricucire con i commercianti, evitare ulteriori danni d’immagine e concentrarsi sull’innovazione: tokenizzazione, sicurezza biometrica, pagamenti invisibili.
Il messaggio è implicito ma chiaro: “non siamo i nemici del futuro digitale, ne siamo gli architetti”.

Il ruolo del tribunale: una tregua vigilata

Ora la palla passa alla magistratura.
Il giudice federale di Brooklyn dovrà valutare se l’accordo è equo, adeguato e nell’interesse pubblico.
Un iter che richiederà settimane, forse mesi.
Non è escluso che alcune associazioni di commercianti, soprattutto le più piccole, si oppongano, sostenendo che l’intesa non risolva alla radice il problema strutturale del potere di mercato.

Eppure, rispetto al passato, il clima sembra diverso.
Il contenzioso ha logorato tutti e l’industria dei pagamenti ha bisogno di stabilità regolatoria per innovare.
Una tregua, anche imperfetta, vale più di una guerra senza fine.

Chi vince davvero?

Difficile dirlo ora.
I commercianti ottengono più visibilità sui costi e, forse, tassi leggermente inferiori.
Le reti evitano il rischio di nuove sanzioni miliardarie e mantengono il controllo del modello economico.
I consumatori potrebbero beneficiarne indirettamente, ma non è garantito.

In fondo, è un compromesso pragmatico, non una rivoluzione.
Un passo indietro calcolato per evitare di perderne due domani.
Eppure, in un mercato dove la fiducia vale quanto la tecnologia, anche una concessione misurata può essere un segnale potente.

Oltre l’accordo: la partita del futuro

L’intesa tra Visa e Mastercard non chiude una storia. La riapre su un piano nuovo.
La prossima battaglia si combatterà sul terreno dell’interoperabilità, della riduzione dei costi di rete e della integrazione tra banche e fintech.
Il denaro diventa sempre più invisibile, fluido, connesso, ma la questione resta la stessa: chi paga per la fiducia?

L’accordo di Brooklyn è un primo tentativo di risposta.
Una tregua necessaria in un’epoca in cui l’economia digitale cresce più in fretta delle sue regole.
E in cui, paradossalmente, anche la tecnologia più veloce ha bisogno di una base di fiducia lenta, solida, umana.

Il prezzo della fiducia

Alla fine, tutto si riduce a questo: la fiducia ha un prezzo.
E Visa e Mastercard stanno cercando di riscriverlo.
Per anni hanno costruito il tessuto invisibile che regge l’economia dei pagamenti; ora devono difenderlo da due forze opposte: la pressione regolatoria e l’innovazione disintermediata.

L’accordo con i commercianti è una pausa, non un traguardo.
Ma è anche un segnale: il capitalismo dei pagamenti si sta umanizzando, lentamente.
Più trasparente, più negoziabile, più politico.

In un mondo che corre verso la digitalizzazione totale, la vera moneta resta la fiducia.
E chi saprà gestirla, guadagnarla, mantenerla, difenderla, sarà il vero vincitore della prossima rivoluzione finanziaria.

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