Un’unica regola per 27 Paesi: il “28° regime” che può sbloccare le startup europee

RedazioneRedazione
| 03/10/2025
Un’unica regola per 27 Paesi: il “28° regime” che può sbloccare le startup europee

Nel 2026 Bruxelles porterà al tavolo un quadro unico e opzionale per le startup — il “28° regime” — pensato per operare in tutta l’UE con un solo set di regole. In parallelo: un fondo scale-up multi-miliardario e una strategia “AI first” per accelerare l’adozione dell’intelligenza artificiale. Obiettivo dichiarato: trattenere talenti e capitali in Europa, riducendo l’attrito normativo che oggi spezza il mercato unico in 27 labirinti.

«Troppo spesso è più facile espandersi in un altro continente che attraversare l’Europa». La battuta, lanciata da Ursula von der Leyen sul palco dell’Italian Tech Week, ha il pregio della nitidezza: il mercato da 450 milioni di consumatori esiste sulla carta, ma nella pratica si frantuma in regole che cambiano ogni volta che si varca un confine. Per chi fonda un’azienda significa rifare a ogni tappa contratti, stock option, licenze, IVA, perfino le procedure d’insolvenza. Per i team, significa frizioni che spingono a cercare crescita — e domicilio — altrove.
Il “28° regime” promette una scorciatoia concreta: un passaporto regolatorio europeo, scelto su base volontaria, che consenta di aprire, assumere e vendere ovunque con procedure e modelli standard. La domanda è semplice e scomoda: l’Europa saprà convertire l’annuncio in esecuzione, togliendo davvero attrito a chi costruisce?

Perché serve un “28° regime” (e perché adesso)

La diagnosi è nota a chiunque abbia provato a scalare oltre confine: duplicazione di oneri (societari, fiscali, del lavoro), tempi imprevedibili, interpretazioni diverse della stessa norma. L’effetto non è solo noia amministrativa: è costo opportunità. Ogni ora spesa in adempimenti è un’ora sottratta a prodotto, clienti e raccolta.
Il 28° regime prova a spostare il baricentro: una sola cornice per i principali tasselli della vita d’impresa — identità legale, assunzioni cross-border, strumenti equity per i talenti, semplificazioni fiscali ricorrenti, regole coerenti per insolvenza e ristrutturazione — così da permettere a una startup di agire davvero come in un unico mercato.

Il pacchetto annunciato: regole, capitale, adozione

Il disegno non è solo normativo. Bruxelles lega il 28° regime a due leve operative:

  • uno Scaleup Europe Fund per colmare il “late-stage gap” (i round a nove cifre in cui l’Europa si inceppa e molte scaleup migrano)
  • una strategia “AI first” per favorire progetti pilota in settori chiave (manifattura, mobilità, sanità), usando il procurement pubblico come volano di domanda

La formula è lineare: regole semplici + capitali pazienti + clienti pubblici intelligenti. Senza questo trittico, il passaporto rischia di restare un bel guscio.

Cosa cambierebbe davvero per founder, CFO e talenti

Immaginiamo un team che nasce a Valencia, assume in Polonia e vende in Francia. Oggi significa tre consulenti del lavoro, due schemi di stock option incompatibili, tre registri IVA e un mini-trattato per gestire distacchi e lavoro ibrido. Con il 28° regime, la promessa è:

  • Statuto societario europeo standard (on-ramp unico, moduli identici ovunque)
  • Contratti di lavoro cross-border armonizzati e un modello di stock option comparabile in tutti i Paesi
  • Base IVA e adempimenti ricorrenti semplificati e interoperabili
  • Passaporto licenze per settori regolati (dove compatibile)

Le spine nel fianco: sovranità, arbitraggio, attuazione

Tre nodi possono ostacolare il disegno. In particolare:

  • Sovranità fiscale e lavoro. Sono nervi scoperti nazionali. L’opzionalità aiuta (chi vuole resta nel regime domestico), ma serve una chirurgia normativa che eviti il “race to the bottom” su tutele o aliquote
  • Arbitraggio regolatorio. Un passaporto europeo funziona se è identico ovunque. Traduzioni e recepimenti creativi lo svuoterebbero. La soluzione è puntare su regolamenti direttamente applicabili e su template vincolanti
  • Esecuzione. La storia europea abbonda di buone idee impantanate nella pratica. Qui l’asticella è alta: portali unici, modulistica unica, one-stop shop operativi, non vetrine istituzionali.

“AI first”: dall’annuncio al cantiere

Dire “AI first” è facile; farlo succedere richiede disciplina. Tre mosse concrete:

  1. Sandbox transfrontaliere con regole chiare, tempi certi e metriche di uscita: settimane, non mesi
  2. Dati e cloud interoperabili conformi all’AI Act, per evitare che ogni progetto ricominci dal foglio bianco
  3. Procurement outcome-based: si paga per impatti misurabili (riduzione tempi, errori, emissioni), non per pagine di offerta.

La mobilità autonoma, citata come primo banco di prova, ha senso se coinvolge una rete di città che adotta standard comuni e condivisibili.

Il nodo capitale: senza late-stage la scala non arriva

Il capitale early-stage in Europa non è il vero problema. La frattura si apre quando servono round da 100–300 milioni: molti team spostano HQ e governance per inseguire investitori e mercati più liquidi. Il fondo scale-up può aiutare, ma va disegnato con cura: ruolo di cornerstone pubblico per “crowd-in” di pension funds e assicurazioni, governance professionale e una pipeline di exit domestiche (M&A paneuropee e IPO competitive) per chiudere il cerchio.

Rischi di percorso: overdesign, bassa adozione, cicli politici

Il peccato originale di molte iniziative UE è l’overdesign: regole che aggiungono strati di complessità, anziché toglierli. Qui serve una scelta di metodo: scrivere poco e togliere molto.
Secondo rischio: adozione timida. Se i founder non percepiscono un vantaggio netto, resteranno nei regimi nazionali o oltre Atlantico.
Terzo rischio: cicli politici. Un progetto così vive di costanza più che di slogan. Servono milestone annuali pubbliche e verificabili.

Metriche semplici (e spietate) per capire se funziona

Per capire se il 28° regime funziona davvero non servono decine di KPI: bastano pochi segnali chiari, da misurare entro 24–36 mesi dall’avvio.
Il primo è il tempo necessario per essere operativi in cinque Paesi: l’obiettivo dev’essere misurato in giorni, non in mesi.
Il secondo riguarda le assunzioni cross-border: chi adotta il nuovo regime dovrebbe riuscire a firmare un contratto standard e completare l’onboarding in tre Stati nell’arco di una settimana end-to-end.
Terzo, la quota di round sopra i 100 milioni di euro chiusi da società con sede nell’UE deve crescere con un ritmo a doppia cifra, altrimenti il capitale continuerà a migrare altrove.
Quarto, il procurement pubblico “outcome-based” deve pesare di più nelle gare per l’innovazione, con una quota in aumento e tempi di aggiudicazione sensibilmente ridotti. Se questi numeri si muovono nella direzione giusta, il 28° regime avrà senso; se restano fermi, avremo collezionato un altro acronimo senza cambiare la vita a chi costruisce imprese.

Cosa possono fare domani mattina Stati e città

La traduzione operativa può iniziare subito. Gli Stati e le città possono mettere a disposizione template pronti — uno statuto societario europeo, un contratto di lavoro cross-border, un piano stock option armonizzato — così che i team non debbano reinventare la ruota a ogni confine. In parallelo, va creato un European Business Wallet, un’identità digitale d’impresa che permetta di condividere documenti con tutte le pubbliche amministrazioni una volta sola, riducendo settimane di burocrazia a poche ore. Sul lato autorizzazioni, servono corsie veloci per le licenze nei settori regolati, con riconoscimento reciproco tra Paesi e SLA pubblici che diano certezza dei tempi. Infine, gli acquisti pubblici vanno ripensati in chiave challenge-based: bandi che definiscono il problema e premiano chi lo risolve meglio, non semplicemente chi costa meno. Solo così l’annuncio politico diventa infrastruttura quotidiana.

Semplicità come politica industriale

Il “28° regime” non è un tecnicismo da addetti ai lavori; è una dichiarazione di intenti: la semplicità diventa un bene pubblico. Un set di regole uniforme, capitale paziente e domanda pubblica intelligente possono trasformare l’Europa da terra di ottima ricerca a casa di campioni globali.
Ma la semplicità non si annuncia, si costruisce. Se nel 2026 arriverà un testo corto, operativo, con template già pronti e un roll-out misurato su risultati, i founder smetteranno di guardare oltre Atlantico. Se, invece, avremo un documento elegante senza frizioni rimosse, resteremo con un’altra promessa da citare in conferenza.
Il mercato unico è un’infrastruttura: vale quando togli attrito. Il 28° regime può essere l’autostrada che mancava o lo svincolo incompiuto dove l’innovazione europea continua a perdere tempo. La differenza, nei prossimi due anni, la faranno dettagli ed esecuzione.

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