Uno studio sempre più aperto. Gli anni ruggenti del Tg2

| 19/06/2025
Uno studio sempre più aperto. Gli anni ruggenti del Tg2

Il 23 maggio 2018 organizzammo presso l’Università La Sapienza un seminario dedicato alla seconda testata televisiva Rai il Tg2, nata dopo la Riforma della Rai esattamente mezzo secolo fa. Qui di seguito la nostra introduzione sulle ragioni che ci avevano spinto a riaccendere le luci su quella prima fase del TG2, seguita da un prologo scritto da Giancarlo Santalmassi, che riporto a conclusione di questo mio articolo, e che mette in luce il nuovo clima che si respirava a Via Teulada in quegli anni.

Dopo l’espansione della televisione negli anni Sessanta e la contestazione del Sessantotto, la riforma del servizio pubblico che interesserà quasi tutta l’Europa, inizia nella prima metà degli anni Settanta in Francia proseguendo in Italia fra il 1976 e il 1979, quindi nel Regno Unito con la nascita di Channel 4 e in Spagna con l’arrivo delle televisioni delle Comunità Autonome regionali. Nel caso della Rai, sembra proseguire la competizione fra le due Italie emerse in occasione del referendum sul divorzio. Come per la nuova Rete Due di Massimo Fichera anche per la seconda testata la rottura con il passato è netta. Nel linguaggio, nel tono e nella presentazione delle notizie al pubblico. Il giornalista sostituisce lo speaker, riprendendo modelli anglosassoni diventa conduttore di un filo diretto con i telespettatori, cessa di leggere testi asettici e paludati con l’obiettivo di catturare l’attenzione del telespettatore raccontando loro non solo i fatti avvenuti ma spiegando cosa bolle in pentola, con parole più semplici.

Con il Tg2 nasce non solo una seconda testata concorrente a quella della prima rete, il Tg2: in seno alla redazione di questa seconda testata televisiva Rai assistiamo ad una stagione irripetibile dove convivono – non senza ombre e in taluni casi nuove forme di discriminazione, censura e/o autocensura, giornalisti di diverse estrazioni culturali religiose e politiche: non solo socialisti e laici, ma anche cattolici per lo più di sinistra (ma anche cattolici moderati, comunisti senza complessi, accomunati da un progetto di un’informazione più aperta alla società italiana. Il criterio di selezione e cooptazione dei giornalisti chiamati a scegliere in quale testata operare risponde sempre o quasi sempre alle scelte editoriali volute da due grandi direttori come Andrea Barbato ed Emilio Rossi. Nel caso di quest’ultimo il segno del Tg1 non sarà la discontinuità voluta dal Tg2, bensì l’assoluta continuità con l’impronta popolare del telegiornale del Canale Nazionale diretto da Rossi come fosse ancora il telegiornale unico, avendo chiaro in mente che il servizio pubblico avrebbe dovuto ineludibilmente evitare di essere elitario.

Abbiamo insomma a che fare con una lottizzazione che, a differenza degli anni della Seconda Repubblica, risponde sempre – o quasi sempre – a criteri editoriali di eccellenza, almeno nei suoi primi anni. Mentre il Tg1 di Emilio Rossi cerca di continuare a soddisfare con un ritmo più vivace e con un linguaggio più chiaro le richieste del grande pubblico nazional popolare, la nuova testata di Andrea Barbato cerca di interessare e rappresentare i nuovi soggetti e i nuovi movimenti emersi alla ribalta nella società italiana, gli studenti e gli operai di massa, le donne e non solo gli intellettuali e le élite politiche che non si riconoscono nei valori e negli indirizzi del partito dominante, al governo del paese da ormai tre decenni. Anche dopo la seconda lottizzazione che consentirà il decollo del terzo canale su scala nazionale dopo il riconoscimento dei network televisivi privati entrati progressivamente nell’orbita della Fininvest di Silvio Berlusconi, nonostante alcuni tentativi di normalizzazione e di caccia alle streghe nei confronti di alcuni giornalisti dissidenti, malgrado la fuoriuscita di quelli di area comunista passati al Tg3, le scelte editoriali di due grandi direttori come Alberto La Volpe al Tg2 (che vogliamo ricordare con Stefano Rolando ad un anno dalla morte anche per il suo impegno nelle istituzioni) e Sandro Curzi al Tg3 prevalgono sulle pressioni dei propri editori di riferimento, rispettivamente il PSI e il PCI (quest’ultimo peraltro, facendo il proprio ingresso nei piani alti di Viale Mazzini consente al servizio pubblico di rappresentare un’area politica nel frattempo tornata all’opposizione dopo la fine della stagione dell’unità nazionale). La fine del regime dei partiti, la nascita del bipolarismo con l’introduzione del sistema maggioritario negli anni della Seconda Repubblica, da un lato, l’aumento delle testate televisive assegnate anche ai network televisivi commerciali e di nuove testate informative anche all news sulle piattaforme digitali dalla seconda metà degli anni Novanta e poi sul web, hanno cambiato profondamente le cose e la fine degli editori di riferimento anziché arrestarla ha favorito in quei anni l’occupazione selvaggia delle grandi testate nazionali del servizio pubblico.

Nel nuovo sistema crossmediale della comunicazione ritieniamo necessario porre le basi – seguendo lo spirito riformatore degli anni Settanta- per dar vita ad un nuovo servizio pubblico della comunicazione capace di presiedere sia l’offerta radiotelevisiva lineare tradizionale sia le reti sociali e i nuovi servizi disponibili attraverso le applicazioni sui nuovi dispositivi fissi e mobili attraverso la rete, ovvero di raggiungere tutti i segmenti del pubblico, cercando al contempo di combatterne la frammentazione, ovvero cercando come negli anni Settanta di favorire l’allargamento della rappresentanza e della coesione sociale della nostra comunità nazionale in tutte le sue articolazioni. Assegnare le tre testate nazionali ai tre principali poli emersi nelle ultime due legislature sarebbe non solo anacronistico ma del tutto inadeguato contribuendo in questa fase ad un’ulteriore frammentazione della società italiana ovvero nella direzione opposta.

Siamo convinti che in questa fase costituente di avvio della società dell’informazione e della conoscenza in rete (di cui non conosciamo ancora tutte le conseguenze), il pluralismo e la selezione dei migliori giornalisti possano e debbano avvenire nell’ambito di una testata unica, capace di presiedere orizzontalmente e crossmedialmente tutti questi segmenti dell’informazione da quella generalista destinata a tutti a quella tagliata su misura per i singoli utenti. E’ possibile, anzi necessario passare dal pluralismo delle testate (e degli editori di riferimento che devono tornare ad essere tutti i cittadini senza esclusioni di sorta) al pluralismo all’interno di una testata unica per il servizio pubblico della comunicazione, purché si evitino il vecchio latifondo precedente a quella stagione irripetibile di riforma del monopolio e l’occupazione selvaggia successiva negli anni della seconda repubblica. Presiedere le reti sociali trasformandole da bar dello sport e luoghi di sfogo di utenti atomizzati o peggio profilati e serviti da informazioni più o meno fasulle destinati principalmente a soddisfare le esigenze degli inserzionisti, in luoghi di formazione consapevole di un nuovo spazio pubblico aperto, tollerante e senza discriminazioni cui sembra la grande sfida che ci attende nei prossimi anni con reti sempre più veloci, algoritmi e potenze di calcolo sempre più performanti, l’irresistibile ascesa dell’intelligenza artificiale nelle nostre vite. Quella stagione irripetibile potrebbe forse per certi versi ispirarci.


Indice dei contenuti

Prologo

di Giancarlo Santalmassi
Giornalista, già conduttore del Tg2

14 aprile 1975: con la legge di riforma nasce la nuova Rai. Dovrebbe essere la rivoluzione. Dalla dipendenza dal governo passa alle dipendenze del parlamento. Si pensa che il voto del popolo sia la massima legittimazione. In realtà, meno di un anno dopo il 15 marzo 1976 nasce la lottizzazione. Una rete e una testata alla DC, una al PSI, la terza rete, nata per rappresentare le Regioni, una volta diventata testata nazionale autonoma, finirà il 1 giugno 1987 a al Pci, nota come Tele-Kabul. Quando il Consiglio di amministrazione della Rai designerà Sandro Curzi direttore del nuovo Tg3 nazionale, i membri del CdA del PCI si asterranno per protesta contro il metodo. Cioè in quell’occasione fruirono della lottizzazione ma protestando contro … le redazioni nacquero con assunzioni dai giornali: L’Unità (organo del Pci), L’Avanti (organo del Psi) poi L’Umanità, organo del Psdi, La Voce Repubblicana del Pri.

Il giorno in cui nacque il TG2, a Firenze al palazzo dei congressi era al suo quinto ed ultimo giorno il XVII congresso del PSDI (essendo il partito di governo meno importante non aveva testate tv ma ebbe l’ossicino del Gr3). Il risultato fu che si interruppe brutalmente il Tg unico che fino al giorno precedente diceva sussiegosamente “la relazione di Tanassi…. la replica di Nicolazzi, …”: bastò il giorno dopo per capire che era cambiata l’aria. L’inviato (io c’ero, ero io quell’inviato) quando gli passarono la linea non cominciò come il collega del Tg1che partiva con la propria faccia; ma mandò in onda senza preamboli direttamente le immagini di una platea furibonda, urlante, che faceva attraversare l’aria da un nugolo di aeroplanini di carta: era appena accaduto lo scandalo Lockheed….

***

Quel giorno accadde una cosa senza precedenti in Rai: furono consentite attivate ed esercitate le opzioni. Cioè ciascuno poteva scegliere la testata dove andare a lavorare, con l’unica riserva di una divisione numericamente equilibrata. E qui si produsse un primo fatto che spaventò l’establishment democristiano che ovviamente si tenne il Tg1 e Rai1: tutti coloro che erano abituati a fare inchieste (“AZ: un fatto come e perché”, “TV sette”,  …. ) cioè i giornalisti con lo spirito e l’esperienza autoriale e di inchiesta, tutti ma proprio tutti scelsero il Tg2. Merito anche del nome autorevole, designato a direttore del Tg2: Andrea Barbato che per questa proposta rinunciò alla vicedirezione del giornale appena fondato da Eugenio Scalfari, La Repubblica. Io scelsi il Tg2, come avrete capito. E ho toccato con mano come ci illudessimo tutti. La gente, i telespettatori abituati ancora al canale unico, accendevano sistematicamente l’uno.

Il primo Tg2 fu condotto da un collega bravissimo e simpaticissimo come Piero Angela, di immensa cultura, che ascolterete tra poco dal vivo. Naturalmente fu concepita e ideata una diversità. Durava, il neonato Tg2 ben un’ora e mezza cominciava alle 19 e finiva alle 20e30, con la sovrapposizione nell’ultima mezzora delle due testate. Se avevamo grandi inchiestisti, si doveva dar loro lo spazio per esprimersi, o no?

E qui la prima ‘disgrazia’, posso definirla cosi. Quel giorno al belvedere del Pincio, a Roma, a due passi da via Teulada, una manina imprudente girò la chiave dell’avviamento di una utilitaria: la marcia era ingranata, l’auto fece un salto in avanti e abbattendo il parapetto fece cadere un anziano che mori sull’asfalto venti metri sotto. Per oltre un’ora si parlò solo di questo. Il resto del mondo non esistette quella sera. La nostra diversità arrivo a dar voce ai nostri lettori in diretta a telefonate alle quali rispondevano gli stessi conduttori del Tg2. Naturalmente le telefonate venivano filtrate: nel senso che dovevamo accertarci che non contenessero degli insulti per nessuno. E al telefono passai settimane a parlare con chi telefonava, appunto con i “tele-lettori” del TG2 che non consideravo meri telespettatori e ai quali chiedevo nome, cognome, citta e telefono perché li avremmo richiamati noi.

Ho detto anche che ci eravamo tutti illusi. Infatti, nella concorrenza tra i due telegiornali, un genio democristiano della prima rete e del Tg1 elaborò il rimedio. Nacque a quell’epoca il concetto di palinsesto. Non si erano inventati nulla: i nostri avversari-concorrenti ricorsero all’unico deterrente possibile e a basso costo. Il Tg2 ebbe come imbattibile concorrente “Furia cavallo del West”. Avevano scoperto il traino, il preserale, ovvero sua maestà il Palinsesto.

Fummo battuti e ridicolizzati. 

***

Naturalmente non ci fu solo questo. La mordacchia democristiana era permanente, e il Tg2 per la sua innovazione e indipendenza divenne proverbiale e affidabile. 

Un esempio. Il Tg2 delle tredici (nato perché il Tg1 aveva l’edizione delle 13e30) era affidato alle redazioni regionali. La sua scaletta interna l’avevo ideata al contrario di quella del tg1. Prima la cronaca, poi la politica. Puntavo sul l’effetto noia: chi vedeva eventualmente entrambi avrebbe visto il Tg1 delle 13e30 cominciare esattamente con la politica, con cui invece il Tg2 finiva. La redazione di Milano era guidata da un mio grande amico e bravissimo collega: Bruno Ambrosi.

Un giorno Ambrosi mi chiese di concedergli l’apertura. Non gli chiesi nemmeno perché tanta era la mia sicurezza che Bruno avesse fatto tutti gli accertamenti. La notizia c’era eccome. Erano stati arrestati il comandante generale della guardia di Finanza Raffaele Giudice e il suo capo di stato maggiore Donato Lo Prete.  Cioè chi istituzionalmente aveva il dovere di arrestare i contrabbandieri, era diventato il capo dei medesimi. Quell’apertura fece scalpore immenso. Se non ricordo male il Tg1 o non lo diede affatto o comunque lo diede in chiusura, un’ora dopo di noi con tanti “se”, “forse”, “pare”. Sapete perché? Perché l’Ansa non l’aveva ancora data. Cosi erano i due telegiornali.

***

Naturalmente la fretta di arrivare primi e prima andava vigilata, e non sempre riusciva. L’esempio più clamoroso fu la notizia data senza verificare (anche perché veniva da uno dei migliori di noi, Giuseppe Marrazzo, segugio nato), dell’identità finalmente scoperta del “grande vecchio”, misteriosa figura nata ai tempi delle Brigate Rosse: per un giorno intero ne divulgammo il nome Bino Olivi, nostro rappresentante a Bruxelles.

Poi cominciarono i distinguo: il Psi aveva solo l’addebito del Tg2. In realtà fatturava per il Pci. Il gioco di Andrea Barbato si scoprì subito, quando tutti i conduttori erano del Pci, a cominciare da Tito Cortese, e l’editorialista del Tg2 delle 13 della domenica era Giuseppe Fiori, biografo di Gramsci. Di qui una mia definizione della Rai. Qual è il prodotto industriale della Rai? Se dico Missoni, so che sono i filati. Se dico Fiat sono le automobili. Se dico Bormioli sono stoviglie di vetro. Ma se dico Rai? La risposta più banale sarebbe informazione, intrattenimento e cultura. Invece no: è la tranquillità dell’editore che sono i partiti.

***

Fu così che a Bettino Craxi, ufficiale pagatore del Tg2 ma non esattore/riscossore del medesimo, deve essersi fatta strada l’idea di ricorrere a Berlusconi dandogli l’opportunità di diventare l’imprenditore della TV privata. Che si rivelò immediatamente all’altezza. Quando tre pretori spensero le sue televisioni perché mettendo in onda contemporaneamente delle video cassette violava di fatto il divieto di interconnessione, abilmente le spense in tutta Italia, dando ai provvedimenti presi in tre regioni su venti, un peso nazionale. Contemporaneamente mandò Maurizio Costanzo fuori dai “Cinema 5” (tutti rinnovati, posti numerati, comodi….  in cui era vietato l’ingresso a film cominciato mentre gli italiani erano abituati a entrare e restare fino al punto che avevano visto) a intervistare gli spettatori su cosa pensavano dell’accaduto. Cosi su Canale 5 si videro nonni con gli occhi iniettati di sangue che gridavano a denti stetti “Hanno tolto i puffi ai miei nipoti …. ”.

Insomma, la nascita equivoca del Tg2 nel senso che si sarà ormai compreso, contribuì indirettamente alla modernizzazione del paese, perché senza tv privata l’Italia sarebbe stato l’unico paese con solo la tv di stato.

***

Devo dire che è stato entusiasmante, a me / per me, fondamentale partecipare alla fondazione di una nuova testata. Un conto è aggiustare la rotta di qualcosa che ha una sua storia (bella o brutta non è questa la questione). Un altro è creare un qualcosa a tua immagine e somiglianza. Mi è accaduto con Radio24 che quando me ne andai dalla Rai Ernesto Auci mi chiamò a fondare e Innocenzo Cipolletta a dirigere.

Quando vedevo un Tg condotto da un giornalista (e non da speaker anche se professionali come Marco Raviart, esempio) pensavo sempre: ecco non adotterei mai un linguaggio cosi. Diretto, breve e chiaro, pensavo. Ricordo quando nel marzo 1986 ci furono i morti per il vino al metanolo venne Pandolfi in studio. I carabinieri del Nas avevano individuato le bottiglie velenose. E io cominciai dicendo “prendete carta e matita perché questo e l’elenco diramato dai Nas delle bottiglie che non dovrete mai togliere dagli scaffali: scrivete perché non ne va di una diarrea, ma ne va della vita”. E a Filippo Maria Pandolfi (all’epoca ministro dell’agricoltura e delle foreste) che con un tono un po’ lamentoso diceva “ecco domani mi attiverò, andrò a Bruxelles e cercherò di limitare i danni” replicai: “Eravamo appena usciti dallo scandalo del vino adulterato dei Ciravegna (produttori piemontesi). Non la ringrazierò per questo perché fa solo il suo dovere”. Dopo un mese lo incontrai a un convegno e gli chiesi se si fosse offeso. Mi disse “No per carità: io quella sera venni a dire le stesse cose a tutti e tre i Tg. Ma tutti si ricordavano solo quello del Tg2 con lei. La devo ringraziare per questo”.

Roma, 9 maggio 2018

Il presente articolo e' una anticipazione della rubrica "Memorie nostre" di Democrazia Futura, che riprenderà presto le pubblicazioni anche attraverso If-Italia nel Futuro

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