Tutto quello che avreste voluto sapere sull´EMFA (o quasi), ma non avete avuto il coraggio di chiedere (Prima parte – come si è arrivati all’EMFA)

| 06/08/2025
Tutto quello che avreste voluto sapere sull´EMFA (o quasi), ma non avete avuto il coraggio di chiedere (Prima parte – come si è arrivati all’EMFA)

Il travagliato percorso dentro le Istituzioni europee. Il direttore responsabile di Democrazia futura, Giacomo Mazzone, alla vigilia della sua entrata in vigore, offre una lunga disamina dell’European Media Freedom Act.

Il testo della proposta della Commissione Europea per garantire il pluralismo dei media è stato inviato al Parlamento europeo il 16 settembre del 2022, dopo una gestazione dentro il governo dell’Europa, durata molti mesi. Si trattava infatti di una misura annunciata dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, durante il suo secondo discorso sullo stato dell’Unione , quello del 2021, un anno dopo l’inizio del suo primo mandato.

Dopo tre riunioni di trilogo interistituzionale nella seconda metà del 2023, i negoziatori principali dei colegislatori (ossia il Parlamento europeo e il Consiglio, assistiti dalla Commissione europea) hanno raggiunto un accordo politico il 15 dicembre 2023.

All’accordo politico –ottenuto grazie ad una grande pressione della Presidenza spagnola- è seguito un ancora più complesso processo di redazione del testo, proseguito per diverse settimane all’inizio del nuovo anno, con l’intento di allineare i “considerando” iniziali del testo, per tener conto dei compromessi raggiunti a dicembre. Il testo è stato successivamente approvato dai Rappresentanti permanenti dei 27 (COREPER) il 19 gennaio 2024. Tutti gli Stati membri, tranne l’Ungheria, hanno votato in favore dell’Atto europeo per la libertà dei media (EMFA) nel suo testo definitivo. Il Consiglio dei ministri UE ha poi il 26 marzo –sotto la presidenza Belga dell’Unione- a maggioranza qualificata e col solo voto contrario, ancora una volta, dell’Ungheria, definitivamente approvato l’EMFA.

Il ministro Belga, Benjamin Dalle, rappresentante della Presidenza di turno, ha commentato cosi il voto:  ”Dei media indipendenti sono un elemento vitale di ogni società libera e democratica. Con l’adozione oggi dell’EMFA l’Unione Europea dà prova del suo continuo impegno nella protezione dei giornalisti e per la salvaguardia della libertà e del pluralismo dei media.”

Un discorso che non ha smosso di un millimetro l’Ungheria che ha mantenuto la sua posizione contraria all’EMFA . Cosi come previsto da molti osservatori, il 10 luglio 2024 (pochi giorni dopo aver assunto la Presidenza a rotazione del Consiglio Europeo) ha infatti presentato [1]ricorso alla Corte di Giustizia, contestando la legittimità di questo atto. Un ricorso che quasi sicuramente sarà rigettato, visto che un altro analogo ,presentato nel 2021 contro la decisione della Commissione di bloccare i fondi UE ad Ungheria e Polonia per gravi violazioni della Carta dei Diritti Fondamentali, fu bocciato con due sentenze della Corte di Giustizia Europea del 16/2/2022.[2]

Interessante vedere cosa è successo in Parlamento. La commissione Cultura e istruzione del Parlamento europeo, in qualità di commissione negoziale principale, ha approvato il testo con un voto del 24 gennaio 2024. Il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria, ha dato il via libera all’EMFA definitivo il 13 marzo con un’ampia maggioranza di eurodeputati (464 voti a favore, 92 contrari e 65 astensioni), seguendo l’invito della relatrice Sabine Verheyen (del Partito Popolare Europeo), che aveva guidato i negoziati in qualità di membro della commissione Cultura e Istruzione del Parlamento. Alcuni eurodeputati del gruppo Socialisti e Democratici (S&D), guidati dalla relatrice ombra Petra Kammerevert, hanno probabilmente votato per l’astensione in quanto avevano sperato in un testo più ambizioso, in particolare in relazione all’indipendenza dei media del servizio pubblico e alla protezione dei giornalisti e delle loro fonti.

Val la pena di ricordare che i rappresentanti dei partiti italiani, si sono divisi con PD e Forza Italia che han votato a favore, mentre Fratelli d’Italia e Lega si sono astenuti , allorché i rispettivi gruppi europei di cui fanno parte: ID per la Lega e ECR per Fratelli d’Italia, hanno votato contro.

Dopo i passaggi formali in Parlamento prima ed al Consiglio dei Ministri europeo successivamente, il testo è stato pubblicato il 17 aprile sulla Gazzetta ufficiale dell’UE ed è quindi entrato in vigore passati 20 giorni, e cioè il 7 maggio 2024. L’EMFA prevede un’applicazione scaglionata e un periodo transitorio generale di 15 mesi dopo l’entrata in vigore del regolamento. La quasi totalità del nuovo regolamento si applicherà quindi dall’8 agosto del 2025. Alcune disposizioni, tuttavia, sono entrate in vigore alla pubblicazione, e per un caso specifico, quello dell’articolo 20 (cioè il diritto alla personalizzazione dell’offerta di media), è previsto un periodo più lungo (36 mesi), che lascia ai produttori di dispositivi e ai fornitori di interfacce utente interessati, un ampio margine di tempo per conformarsi ai nuovi requisiti (fino al maggio 2027).[3]

Come l’Unione Europea ha deciso di occuparsi di questo argomento solo ora?

Questa è una storia complessa, che affonda le sue radici lontano nel tempo, ma che merita di essere raccontata e dove l’Italia e le sue vicissitudini interne hanno giocato un ruolo di primo piano. Tutto risale alla legislatura europea 1994-1999, quando il Commissario italiano era Mario Monti, indicato dal primo governo Berlusconi, cui toccò il portafoglio dell’appena creato mercato interno (entrato in vigore il 1-1-1993). Erano gli anni in cui in tutta Europa si affermavano le tv commerciali, a scapito della carta stampata e dei servizi pubblici radiotelevisivi. Uno sconvolgimento epocale che all’epoca suscitò molte preoccupazioni, visto anche come Berlusconi aveva usato le sue tv commerciali per creare un partito e diventare leader politico. Molti partiti in parlamento europeo chiesero norme in difesa del pluralismo dei media e –come ricostruisce Ylenia Maria Citino nel numero speciale di Media laws- “nel 1995, l’allora Commissario Mario Monti scelse di affidare a due proposte che sono ancora ricordate con il suo nome, l’obiettivo di proteggere il pluralismo informativo mediante una regolamentazione della proprietà dei media: fu presentata una prima bozza di direttiva nel 1996, ma critiche avanzate da alcuni Stati (tra cui Germania e Regno Unito), riguardanti non solo i contenuti ma la stessa ammissibilità di una simile competenza in capo alla Commissione, portarono nel 1997 alla formulazione di una nuova proposta. Questa abbandonava l’idea del pluralismo per concentrarsi sul solo assetto proprietario dei media europei. Il fenomeno di crescente convergenza dei media, però, mostrò via via i difetti di simili approcci, che si proponevano di regolare il settore televisivo in maniera separata rispetto a quello delle telecomunicazioni. Agli albori del Duemila, l’idea di rivolgersi a scenari informativi soltanto “monomediali” appariva già obsoleta”.

Quello che la Citino sottace è che dietro il veto inglese c’era la ”manina” di Murdoch e dietro quello tedesco le “manine” di Bertelsmann e Leo Kirch, e dietro di entrambi c’era il veto di Berlusconi (che non poteva sconfessare il Commissario da lui stesso indicato). I tycoons della tv commerciale europea all’unisono temevano che ogni nuova regolamentazione dei media potesse frenare lo sviluppo della tv commerciale. Ma il quadro di chi bloccò la regolamentazione che sarebbe stata l’antenata dell’EMFA, non sarebbe completo se non si menzionasse anche la resistenza delle stesse tv pubbliche europee, che all’epoca pensavano di esser più protette sotto l’ombrello del “Protocollo di Amsterdam”, uno degli addendum al Trattato di Lisbona dell’Unione Europea, in cui si diceva che il nascente “mercato unico europeo” non avrebbe dovuto occuparsi dei servizi pubblici europei radiotelevisivi, perché la loro regolamentazione era e doveva restare di esclusiva competenza degli stati nazionali.  Per i servizi pubblici più forti, in primis quelli tedeschi ed inglesi, con canoni di gran lunga superiori a quelli dei loro gemelli del resto d’Europa e senza pubblicità (o quasi) era meglio negoziare coi politici nazionali, piuttosto che con gli arcigni regolatori di Bruxelles.[4] Un atteggiamento poi cristallizzato due anni dopo nel cosiddetto “Protocollo di Amsterdam”,[5] che sanciva la competenza esclusiva degli stati nazionali sui servizi radiotelevisivi pubblici, lasciando alla Commissione Europea un mero compito di verifica rispetto all’adempimento dei criteri previsti, al mero fine di evitare casi di concorrenza sleale con gli attori privati.

Gli unici attori del mercato dei media che allora chiedevano a gran voce un intervento in questo senso erano gli editori della carta stampata (ma non tutti: solo quelli rimasti fuori dal mercato delle tv): un potere troppo debole per poter far sentire la sua voce. E cosi Monti fu costretto a rimettere nel cassetto la sua proposta di direttiva. La montagna però partorì due topolini che, nel corso del tempo, sono diventati “castori” ed hanno contribuito ad erodere la diga fino a farla saltare: il rapporto annuale sul pluralismo dei media (Media Pluralism Monitor)[6], commissionato dal 2014 ad un Consorzio di università guidato dallo European University Institute di Firenze, e –qualche anno piu tardi, nel 2020- la Relazione annuale sullo stato di diritto nei vari paesi membri dell’Unione, preparata dai servizi della Commissione sotto la guida della Direzione Giustizia e Consumatori, ma con la collaborazione di varie altre DG (DG Connect per i media, DG home, ecc.).[7]

Cosa è cambiato in questi ventanni, che ha creato le condizioni per arrivare ad approvare un Regolamento come l’EMFA, di cui una proto-versione molto light, era stata accantonata in silenzio nel 1995 ?

Un fattore importante è stata sicuramente l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, visto che gli inglesi storicamente dentro la UE sono sempre stati contro qualsiasi ampliamento delle competenze europee a scapito degli stati nazionali.

Ma i veri fattori scatenanti sono stati due: la paura fra i governi europei del contagio di vere e proprie “democrature” [8] come quella ungherese e quella polacca dei gemelli Kaczinski e la paura fra i media tradizionali (stavolta inclusi anche quelli radiotelevisivi, sia privati, che pubblici) delle grandi piattaforme di Internet.

I governi tradizionali dei paesi membri UE (che fino alla passata legislatura erano prevalentemente espressione di affiliazioni del PPE – Partito Popolare Europeo, del S&D – partiti socialisti e democratici, o dell’ALDE – Liberali) hanno assistito (dapprima con sorpresa e poi con crescente preoccupazione) a come partiti arrivati al potere tramite elezioni, in alcuni paesi, hanno provato a trasformare le regole del gioco democratico, per assicurarsi la perennità al potere, intervenendo sulla giustizia, sui media, sulle autorità di regolazione e sulle misure anticorruzione negli appalti pubblici. L’esempio più temuto (e riuscito) è quello rappresentato da Orban e dal suo partito Fidesz, da 15 anni al potere in Ungheria, che ha usato questo tempo per stabilire un ferreo controllo sulla magistratura, sui media pubblici, ma anche su quelli privati, [9]usando la leva degli appalti pubblici. Approfittando della debolezza dei cosiddetti “editori puri”, che hanno perso la maggiorparte della loro pubblicità a favore delle piattaforme internet, il governo Orban è riuscito a chiudere o a far comprare da imprese vicine al governo, la maggiorparte dei giornali e delle agenzie di stampa a lui ostili o anche semplicemente “non allineati”,. I pochi media che hanno provato a resistere alla presa di controllo del governo hanno subìto persecuzioni di ogni tipo e, in alcuni casi, addirittura si sono visti revocare le licenze di trasmissione[10]. Per non parlare del controllo sui media pubblici del paese (MTV,MR, Duna TV, ecc.), esercitato con brutalità, fino a procedere a partire dal 2011 ad una vera e propria epurazione di oltre la metà dei dipendenti che non erano “in linea” con le idee del partito al potere[11].

Un esempio poi copiato dal partito Law and Justice (PIS) in Polonia, che è riuscito ad impadronirsi della tv e della radio pubblica, oltre che dei regolatori dei media, ma che –per fortuna- non è riuscito ad imporre il suo controllo alle tv commerciali e sui giornali. Questo soltanto perché la proprietà di molte di esse era in mano di imprese straniere che non si sono prestate al gioco ed hanno fatto intervenire in loro difesa i governi nazionali (quello tedesco in primis).

Di fronte a questi esempi di flagrante violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, i partiti tradizionali hanno reagito isolando movimenti come Fidesz (“espulso” dai popolari nel 2021) e cercando di forzare questi paesi a rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Di qui la decisione di bloccare i soldi del Fondo Sociale Europeo ai paesi in procedura d’infrazione[12], e di qui la decisione di avviare sei anni fa la pubblicazione di questi report periodici (fortemente voluti dal socialista Timmermans, in qualità allora di vicepresidente della Commissione) sulla situazione dello Stato di Diritto nei paesi membri. Rapporti che hanno fornito la base giuridica per bloccare l’erogazione dei fondi europei ai paesi che violano la Carta dei Diritti fondamentali.

Ma si è visto che tutto questo non era sufficiente. L’esempio di Ungheria e Polonia [13] stava cominciando a far proseliti anche altrove, allargandosi a Repubblica Ceca e Slovacchia, con la creazione del gruppo di Visegrad, ed anche oltre. Perfino all’Austria dove nel 2019 il vicepremier della FPO Heinz Christian Strache venne filmato di nascosto mentre chiedeva soldi ad un presunto oligarca russo per potersi comprare i media che gli danno fastidio[14] .

La reazione dei governi di ispirazione PPE,S&D e ALDE è stata quindi quella di concordare con la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, l’inserimento nel suo programma di governo dell’ EMFA e del blocco dei fondi europei ai paesi che violino lo stato di diritto, come strumenti per provare ad arrestare il contagio.

Ma la volontà politica di questi partiti da sola probabilmente non sarebbe bastata a superare le resistenze dei media privati e pubblici, che erano stati l’altra componente attiva che ventanni fa aveva bloccato la Direttiva Monti. A convincerli anche in questo caso è stata la paura: non delle democrature, bensì delle piattaforme Internet, che stanno sottraendo agli editori tradizionali risorse pubblicitarie, attenzione del pubblico (in procinto di passare dai media tradizionali ai social) e perfino ruolo sociale.

Ed infatti tre sono le direttrici su cui interviene EMFA:

  • migliorare il funzionamento del mercato interno dell’UE per i servizi dei media per rimuovere le barriere nazionali ancor oggi presenti.
  • promuovere valori fondamentali come la libertà, l’indipendenza e il pluralismo dei media.
  • difendere i media tradizionali (e i corpi di mestiere ad essi collegati) rispetto alle piattaforme Internet.

Un mix di obiettivi che è riuscito a conciliare interessi diversi, mossi soprattutto dalla paura di nemici comuni: le democrature da una parte e le piattaforme internet dall’altra, in nome del rispetto della Carta Europea dei Diritti Fondamentali.

Come l’EMFA intende difendere il pluralismo?

L’EMFA cerca di conciliare l’integrazione economica e gli obiettivi culturali. Il perseguimento di questi duplici obiettivi sulla base delle competenze economiche dell’UE (ossia l’articolo 114 del TFUE[15]) e la scelta dello strumento giuridico (ossia un regolamento direttamente applicabile) sono stati criticati per il (presunto) spostamento di competenze dagli Stati membri all’UE. Per questo motivo l’EMFA, nelle aree più sensibili che toccano le prerogative degli Stati membri, stabilisce principi di alto livello, lasciando agli Stati membri un margine di manovra per la loro concreta attuazione a livello nazionale. È importante notare che l’EMFA consente agli Stati membri di adottare norme più severe o più dettagliate a livello nazionale in alcuni dei settori coordinati (comprese le garanzie per l’indipendenza dei Servizi Pubblici), andando oltre il livello minimo comune di armonizzazione, a condizione però che queste norme nazionali aggiuntive garantiscano un livello più elevato di protezione del pluralismo dei media e dell’indipendenza editoriale.

Il livello di armonizzazione varia anche in relazione ai diversi destinatari delle norme, dal momento che, ad esempio, l’UE e gli Stati membri hanno solo una competenza molto limitata per interferire con la libera stampa, che rimane in larga parte soggetta ad autoregolamentazione. L’EMFA non contiene solo norme applicabili ai fornitori di servizi media (MSP), ma regola anche altri attori che svolgono un ruolo nel mercato interno dei media. Soprattutto, l’EMFA si basa su un concetto di “servizio mediatico” ampio e inclusivo, che comprende tutti i sottosettori rilevanti dei mercati mediatici (cioè, media audiovisivi, audio/radio e stampa e, grande novità, anche i social media).

L’EMFA stabilisce per la prima volta minimi comuni denominatori per i Servizi Pubblici radiotelevisivi e dei media

Questo regolamento si applica a tutti i “fornitori di servizi di media” : dai giornalisti agli editori ed anche alle piattaforme Internet. Ma ha un’attenzione particolare verso quel “fornitore di servizi di media cui è affidata una missione di servizio pubblico ai sensi della legislazione nazionale e che riceve finanziamenti pubblici per l’adempimento di tale missione” (articolo 2, paragrafo 2, definizioni).

L’EMFA si basa sul presupposto che gli enti di servizio pubblico possono svolgere il loro importante ruolo sociale, culturale e democratico solo se operano in modo indipendente e sono protetti da indebite interferenze da parte di poteri politici o economici. Gli Stati membri sono quindi tenuti a stabilire un quadro che garantisca l’indipendenza editoriale e funzionale dei fornitori di Media di Servizio Pubblico (MSP), in modo che possano offrire un servizio pluralistico. Gli Stati membri restano responsabili della definizione della portata e dei dettagli del servizio, che sono stabiliti nel mandato di servizio pubblico che deve esser definito per legge. Per consentire ai MSP di operare in modo indipendente, l’EMFA prevede alcuni requisiti relativi alla governance dei MSP e al loro funzionamento interno, al loro finanziamento e alla loro supervisione. Gli obblighi sono rivolti agli Stati membri, che devono istituire meccanismi appropriati per la gestione dei servizi pubblici. In particolare è importante che l’EMFA ponga fine al sottofinanziamento del MSP obbligando gli Stati membri a fornire finanziamenti adeguati, sostenibili e prevedibili in linea con i compiti stabiliti nel suo mandato, lasciando spazio all’innovazione e allo sviluppo, ad esempio in relazione a nuovi servizi in linea con i compiti stabiliti nella sua missione.

In questa maniera viene superato quanto previsto dal Protocollo di Amsterdam, poiché l’EMFA crea un livello minimo di requisiti per i servizi pubblici che deve esser rispettato in ciascun paese. Per esser piu espliciti, mentre prima era il singolo stato a stabilire con proprie leggi o regolamenti come garantire (o no) l’indipendenza dei servizi pubblici, quale dovesse essere il livello di finanziamento o come nominare i loro vertici, adesso la traduzione di questi principi in norme nazionali non sarà piu solo una prerogativa esclusiva dei singoli stati, ma potrà esser sottoposta ad un vaglio collegiale. I singoli stati continueranno a stabilire le norme applicative, ma se esse non dovessero rispettare i principi comuni dell’EMFA, allora sarà possibile aprire una procedura d’infrazione contro il governo inadempiente. A questo punto si pone il problema di chi possa avviare un’azione di questo tipo. E anche su questo l’EMFA introduce grandi novità. Ai regolatori nazionali – che qualche volta in passato hanno ceduto alle pressioni dei governi in carica o che in altri casi ,piu semplicemente, erano sotto il controllo dell’esecutivo- si affianca un Comitato Europeo dei Media CEM, cosi definito nel testo EMFA, ma che si è ribattezzato European Media Board (EMB) al momento del suo insediamento a febbraio 2025. Di esso fanno parte tutti i regolatori europei dell´audiovisivo, che puo esser chiamato in causa e fornire un parere su eventuali discostamenti delle leggi e regole nazionali dai principi EMFA.

La Commissione Europea stessa ha compiti di verifica e di controllo sull’ applicazione del regolamento. Può farlo direttamente, o puo farlo su sollecitazione dei soggetti rilevanti, che sono in primis i giudici nazionali (in Italia: TAR e Consiglio di Stato, giudici ordinari, Corte Costituzionale), le autorità regolatorie (in Italia: AGCOM, AGM, garante privacy…), gli organi della pubblica amministrazione competenti, ma anche (sulla base dell´art. 3) i sindacati, le associazioni di settore e perfino i singoli cittadini in qualità di utenti dei media.[16] Insomma tutti coloro che ritengano che i loro diritti siano stati lesi, potranno chiedere , direttamente o per via giudiziaria, l’intervento della Commissione Europea.

Quali strumenti operativi avra’ a disposizione l’EMFA?

Tutta la quinta sezione del testo dell’EMFA è dedicata alle nuove procedure e ai requisiti che promuovono un mercato unico dei media ben funzionante, competitivo e pluralistico. A questo proposito, l’EMFA stabilisce requisiti diversi per i vari tipi di misure nazionali (legislative, regolamentari o amministrative) che influiscono sul pluralismo dei media o sull’indipendenza editoriale dei Media di Servizio Pubblico (articolo 21). Un MSP (Media Service provider) compreso quello che sia direttamente e individualmente interessato da una misura di questo tipo- ha il diritto di impugnarla davanti a un organo di ricorso e può sottoporre la questione all’attenzione del Comitato per i servizi di media (lo EMB che riunisce tutte le autorità nazionali di regolamentazione competenti a livello UE). Sia il Comitato che la Commissione possono emettere un parere (non vincolante) sulla compatibilità di una misura nazionale (normativa o amministrativa) con il diritto fondamentale alla libera circolazione dei servizi (dei media). La soglia al di sopra della quale il Comitato o la Commissione possono intervenire però è piuttosto alta, in quanto la misura nazionale deve avere un effetto negativo significativo (transfrontaliero) sulle attività dei MSP nel mercato interno. La principale novità è che mentre in precedenza gli Stati membri avevano un margine di discrezionalità, ora sono obbligati a introdurre regole/procedure che consentano di valutare l´impatto delle concentrazioni del mercato dei media attraverso precise misurazioni del pluralismo dei media e dell’indipendenza editoriale uguali per tutti gli stati membri (articolo 22). L’EMFA stabilisce requisiti minimi comuni per tali regole/procedure. Questo nuovo meccanismo di revisione è complementare (cioè distinto) da qualsiasi valutazione di impatto (“competition law)  delle concentrazioni nell’ambito delle norme sul controllo delle fusioni a livello nazionale e comunitario. Se una concentrazione nel mercato dei media compromette il funzionamento del mercato interno, lo Stato membro (cioè le autorità nazionali competenti) deve consultare il Comitato (lo EMB), che emette un parere (non vincolante) prima di prendere una decisione definitiva. Se lo Stato membro si discosta dal parere del Comitato, deve motivare la sua decisione. Il Comitato può coinvolgere la Commissione, che può emettere un proprio parere, o perseguire uno Stato membro in base ai poteri esecutivi conferitigli dai Trattati (ad esempio, indagare sulla conformità di uno Stato membro al diritto dell’UE) (articolo 23). Sebbene i pareri del Comitato (=EMB) e della Commissione non siano vincolanti, gli Stati membri saranno invogliati a seguire le valutazioni dell´EMB e della Commissione, per non esporsi al rischio di procedure di infrazione.


[1] https://www.politico.eu/article/hungary-take-eu-court-over-media-freedom-viktor-orban/

[2] Si legga la sentenza sul ricorso ungherese : EUR-Lex – 62021CJ0156 – EN – EUR-Lex e quella sul ricorso polacco: EUR-Lex – 62021CJ0157 – EN – EUR-Lex

[3] Ecco alcuni esempi dello scadenzario di applicazione previsto per i vari articoli: articolo 3 (accesso a contenuti e media pluralistici) entra in vigore il 7 novembre 2024. L’articolo 4(1) e (2) (protezione dell’indipendenza e libertà editoriale), insieme al 6 (3) (protezione dell’indipendenza delle decisioni editoriali in materia di notizie ed attualità), al 7 (indipendenza delle autorità regolatorie), 13 (competenze del Board) e 28 (emendamenti alla Direttiva AVMS) entra in vigore il 7 febbraio 2025, 14,15,16 e 17 (cooperazione fra le autorità di regolazione nazionali e la Commissione europea) entra in vigore 12 mesi dopo la pubblicazione in Gazzetta e cioè il 7 maggio 2025.

Il famoso articolo 5 (quello sull’indipendenza dei Servizi pubblici europei) il 7 agosto 2025 mentre il 20 ( il diritto alla personalizzazione dell’offerta di media) solo il 7 maggio 2027.

[4] Trattato di Amsterdam che modifica il trattato sull’Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi – Protocolli allegati al trattato che istituisce la Comunità europea – Protocollo sul sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri (GU C 340 del 10.11.1997, pag. 109). contiene il testo del Protocollo 32 del Trattato di Amsterdam del 1997, diventato poi parte integrante del Trattato di Lisbona come Protocollo 29.

[5] EUR-Lex – 11997D/AFI/CE – IT (europa.eu)

[6] Media Pluralism Monitor – Centre for Media Pluralism and Freedom

[7] Relazione sullo Stato di diritto 2024, quinta edizione: l’UE è attrezzata meglio per affrontare le sfide in questo ambito – Commissione europea

[8] Treccani: s. f. Regime politico improntato alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti a un autoritarismo sostanziale. ◆ Eduardo Galeano coniò la parola democratura per descrivere la convivenza di elementi democratici e autoritari all’interno di un modello che potremmo definire come “democrazia ristretta” o in altri termini “dittatura costituzionale” Democratura – Significato ed etimologia – Vocabolario – Treccani

[9] https://www.centrumreport.com/longform/2019/5/29/mani-orban-sui-media

[10] Particolarmente noto il caso di Klubradio, una radio indipendente che aveva rifiutato di cedere il controllo ad imprese vicine al governo, ed è stata punita nel 2021 con il mancato rinnovo della concessione. Orban spegne KlubRadio, l’ultima emittente critica in Ungheria (ilriformista.it)

[11] Per una ricostruzione della tragica discesa agli inferi del Servizio Pubblico ungherese è utile leggere il Rapporto 2011 di Freedom House sull’Ungheria : https://freedomhouse.org/sites/default/files/Hungary%20draft.pdf

[12] Decisione confermata come legittima dalle due succitate sentenze della Corte di Giustizia europea che hanno rigettato già nel 2022 i ricorsi di Ungheria e Polonia: https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2022-02/cp220028it.pdf

[13] Anche se in Polonia, nelle elezioni generali del 2023, dopo dieci anni di governo, il PIS è stato battuto dal KO di Donald Tusk, ex presidente del Consiglio Europeo, che sta ora cercando di ripristinare il bilanciamento dei poteri ed il pluralismo che era stato gravemente compromesso nel decennio di dominio PIS. Un’operazione resa ora ancor più complicata dall’elezione del nuovo Presidente della Repubblica sostenuto da Trump.

[14] «Ibizagate»: ce que l’on sait de la vidéo | Tribune de Genève. Questa la frase di Strache piu interessante fra le tante presenti nel video: « Ditegli [all’oligarca russo NdR] che se ci compra la « Kronen zeitung » (il giornale piu influente dell’Austria) prima delle prossime elezioni, il governo gli garantirà in cambio tutti gli appalti pubblici che oggi vanno al Gruppo Strabag  [ gruppo leader delle grandi opere in Austria N.d.R.]. Esattamente quanto era accaduto in Ungheria qualche anno prima e che , per Strache, sembrava un obiettivo da raggiungere a qualsiasi costo.

[15] Articolo che si intitola proprio : « Misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.”

[16] Si veda intervento di Luigi Malferrari al corso USIGRAI di Napoli del 3 luglio 2025

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