Trump stringe la mano a Xi, ma il conto lo paga TikTok

RedazioneRedazione
| 22/09/2025
Trump stringe la mano a Xi, ma il conto lo paga TikTok

Una telefonata di due ore ha riaperto il dialogo tra Washington e Pechino. I due leader si sono impegnati a vedersi di persona in Corea del Sud, a margine del vertice APEC di fine ottobre. Sul tavolo TikTok, dazi, Ucraina e la sfida per l’egemonia globale.

Il prossimo capitolo della competizione tra Stati Uniti e Cina non si scriverà a Washington né a Pechino, ma a Gyeongju, in Corea del Sud. È lì che Donald Trump e Xi Jinping hanno promesso di incontrarsi di persona a fine ottobre, durante il vertice APEC. La telefonata di due ore tra i due leader ha aperto un fragile spiraglio di dialogo dopo mesi di silenzio, con TikTok come tema simbolico e insieme marginale di una partita che riguarda tecnologia, sicurezza, commercio e guerra.

Corea del Sud come palcoscenico della diplomazia

La scelta della Corea del Sud come teatro del prossimo incontro non è casuale. Gyeongju ospiterà a fine ottobre l’Asia-Pacific Economic Cooperation, forum che raccoglie le principali economie del Pacifico. Per Trump e Xi sarà l’occasione di un confronto diretto in territorio neutrale, ma altamente strategico: un paese legato militarmente a Washington, ma che convive quotidianamente con la pressione geopolitica cinese.

In questo contesto multilaterale, entrambi i leader potranno muoversi con maggiore margine tattico. Trump si presenterà come regista della diplomazia asiatica, pronto a incassare visibilità politica interna e credibilità internazionale. Xi, accettando l’incontro a Gyeongju, eviterà di concedere a Washington l’immagine di un leader costretto a recarsi negli Stati Uniti, mantenendo però il ruolo di protagonista globale.

TikTok come campo di battaglia globale

Al centro della telefonata, Trump ha rivendicato “progressi significativi” sul caso TikTok. L’app, usata da oltre 170 milioni di americani, è diventata negli ultimi mesi il simbolo delle tensioni tecnologiche tra Washington e Pechino. Il Congresso aveva fissato un ultimatum: senza un passaggio delle attività statunitensi a mani americane, l’app sarebbe stata bloccata entro gennaio 2025.

Trump ha annunciato che un accordo è “ben avviato” e che la firma potrebbe arrivare a breve. Ma i dettagli restano incerti. Chi controllerà davvero l’algoritmo? Quali margini resteranno a ByteDance, la società madre cinese? E soprattutto, fino a che punto Pechino accetterà di cedere una delle sue creature digitali di maggior successo?

Per la Cina, TikTok non è un semplice social: è il simbolo della capacità di competere con i giganti americani nella frontiera più delicata, quella dei dati e dell’intrattenimento digitale. Non a caso la dichiarazione ufficiale di Pechino si è limitata a ribadire che il governo “rispetta le scelte dell’azienda”, evitando di menzionare concessioni o impegni formali.

Il prezzo politico di un’app

La trattativa su TikTok non è solo un braccio di ferro geopolitico: è anche un affare miliardario. Trump ha suggerito che il governo americano potrebbe incassare una “fee” come compenso per aver mediato l’accordo, ipotizzando un gettito da più miliardi di dollari. Sarebbe un precedente clamoroso: un esecutivo che si fa pagare per una negoziazione commerciale tra privati.

Se da un lato questa mossa rafforzerebbe l’immagine di Trump come leader pragmatico e “deal maker”, dall’altro aprirebbe scenari destabilizzanti. Washington non apparirebbe più come regolatore imparziale dell’economia globale, ma come beneficiario diretto di un’operazione politica. Una strategia che potrebbe ridurre la fiducia internazionale negli Stati Uniti e accentuare la percezione di un approccio predatorio al commercio globale.

I dazi come arma politica

Il dossier TikTok si intreccia con una politica economica americana che, dall’inizio del nuovo mandato di Trump, ha assunto contorni fortemente protezionisti. Le tariffe imposte alle importazioni hanno raggiunto i livelli più alti in quasi un secolo, con un’attenzione particolare a colpire l’export cinese. La risposta di Pechino è stata immediata, generando un’escalation che ha portato alcuni settori a triplicare i costi doganali.

Trump descrive i dazi come uno strumento di pressione necessario per riequilibrare il commercio e riportare posti di lavoro in America. Molti economisti, però, sottolineano gli effetti perversi: aumento dei prezzi per i consumatori, minore competitività internazionale e rallentamento della crescita. In altre parole, una politica che punta al consenso interno rischiando di sacrificare la stabilità globale.

Ucraina, Taiwan e i silenzi strategici

Un passaggio particolarmente rilevante della telefonata riguarda la guerra in Ucraina. Trump ha dichiarato che Xi “vorrebbe vedere la fine del conflitto”, senza però chiarire se e come Pechino intenda esercitare un ruolo di mediazione. Per ora si tratta più di un segnale retorico che di un impegno concreto.

Colpisce, invece, il silenzio su Taiwan e sul Mar Cinese Meridionale, tradizionali detonatori delle tensioni bilaterali. Nessuno dei due leader ha voluto inserire questi temi sul tavolo, forse per non compromettere la possibilità di un incontro in Corea del Sud. È una pausa tattica, non un cambio di prospettiva: i dossier più delicati restano intatti e pronti a riemergere.

Fentanyl, la crisi interna che diventa geopolitica

Tra i punti discussi c’è anche il fentanyl, l’oppioide sintetico al centro di una crisi sanitaria devastante negli Stati Uniti. Washington accusa la Cina di tollerare l’export di precursori chimici, mentre Pechino respinge le accuse e parla di “strumentalizzazione politica”.

Per Trump, è un tema di forte impatto interno: la lotta al fentanyl è percepita come una battaglia per la vita delle comunità americane. Per Xi, invece, è una questione di immagine e sovranità, in cui non può permettersi concessioni che sembrino ammissioni di colpa. Il risultato è un dialogo che resta fermo alle dichiarazioni di principio, senza soluzioni operative.

Opinione pubblica e percezioni

Mentre le cancellerie parlano di “progressi”, nelle strade cinesi emergono scetticismo e diffidenza. A Shanghai, un giovane ha sintetizzato il sentimento comune: “Gli Stati Uniti non cercano un ‘win-win’, vogliono solo essere i capi.”

Queste percezioni hanno un peso politico enorme. Alimentano il nazionalismo interno, riducono gli spazi per il compromesso e consolidano l’idea che la competizione sia inevitabile. In un’epoca in cui la diplomazia si misura anche nelle piazze digitali, la fiducia – o la sua mancanza – diventa essa stessa un campo di battaglia.

Un futuro di tregue temporanee

Il summit di Gyeongju, in Corea del Sud, sarà il primo banco di prova. A seguire, Trump visiterà la Cina e Xi sarà atteso negli Stati Uniti. Un’agenda che suggerisce dialogo, ma che in realtà potrebbe produrre soltanto tregue temporanee.

Le relazioni tra Washington e Pechino vivono da anni di cicli: momenti di apertura seguiti da improvvisi irrigidimenti. Entrambi i leader hanno interesse a mostrare disponibilità, ma nessuno dei due sembra disposto a rinunciare alle proprie ambizioni strutturali.

Il secolo dell’algoritmo, con tappa in Corea

Gyeongju sarà il palcoscenico di questa fase cruciale. Non si tratterà solo di decidere il futuro di TikTok o di ritoccare i dazi, ma di misurare fino a che punto Stati Uniti e Cina siano pronti a gestire la loro competizione senza trasformarla in un conflitto aperto.

Il fragile patto che emerge oggi non è una soluzione definitiva, ma un indizio di quanto instabile sarà il nuovo ordine globale. Nel XXI secolo, la geopolitica non si gioca soltanto tra confini e trattati, ma negli algoritmi che decidono cosa vediamo, negli schermi che modellano opinioni e nelle percezioni che alimentano identità collettive.

La Corea del Sud, più che un semplice ospite, diventerà il simbolo di questo passaggio: un terreno neutrale scelto per provare a disinnescare tensioni che si estendono ben oltre il Pacifico. Ma la vera domanda resta aperta: il mondo sta assistendo a una tregua di convenienza o al primo passo verso una nuova architettura del potere globale?

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