Di fronte alle restrizioni cinesi all’export di terre rare, il Giappone emerge come caso di studio nella diversificazione delle fonti, tra investimenti mirati, autonomia tecnologica e relazioni internazionali. Un paradigma per U.S., UE e settore manifatturiero globale.
La sicurezza delle catene di approvvigionamento strategiche è tornata al centro dell’agenda geopolitica. Dopo l’inasprimento delle restrizioni cinesi all’export di terre rare — minerali critici essenziali per i settori automotive, difesa, elettronica e tecnologie pulite — l’attenzione globale si concentra su come diversificare le fonti e ridurre le vulnerabilità. In questo contesto, il Giappone rappresenta un benchmark di resilienza e politica industriale lungimirante.
2010: il precedente che ha cambiato la strategia di Tokyo
L’embargo imposto da Pechino nel 2010 a seguito di tensioni territoriali con Tokyo ha segnato una svolta strutturale. In soli due mesi, la dipendenza giapponese da terre rare cinesi — allora superiore al 90% — si è trasformata in una priorità nazionale. Da allora, il governo nipponico ha attivato una strategia multilivello basata su stockpiling, investimenti in progetti internazionali (notoriamente in Lynas, Australia), riciclo avanzato e incentivi a tecnologie alternative.
Oggi, la dipendenza è scesa sotto il 60% e potrebbe scendere sotto il 50% entro fine anno.
Industria, governo, ricerca: un approccio sistemico
Il modello giapponese si distingue per la sinergia tra pubblico e privato. Il Japan Oil, Gas and Metals National Corporation (JOGMEC) ha investito in esplorazioni oceaniche per nuovi giacimenti e ha co-finanziato impianti di raffinazione fuori dalla Cina. L’industria, dal comparto automobilistico (Nissan, Suzuki) a quello robotico, ha adeguato la supply chain alle nuove esigenze.
Niron Magnetics — società statunitense nata all’indomani della crisi del 2010 — riconosce il vantaggio competitivo giapponese nella gestione del rischio geopolitico: stoccaggi, accordi strategici e catene di valore alternative sono oggi realtà consolidate in Giappone, ma ancora solo in fase embrionale negli Stati Uniti e in Europa.
La sfida delle terre rare pesanti e i limiti della diversificazione
Nonostante i progressi, restano criticità. In particolare, il Giappone — come il resto del mondo — dipende ancora quasi totalmente dalla Cina per le terre rare pesanti, meno abbondanti e più complesse da lavorare. Molti dei materiali estratti da Lynas, ad esempio, vengono ancora raffinati in Cina.
Tuttavia, Lynas ha annunciato progressi significativi nella produzione autonoma di elementi pesanti, ponendosi come attore strategico per l’Asia e l’Occidente.
Implicazioni industriali: automotive e rischio di fermo produzione
Le ricadute industriali della nuova guerra commerciale si fanno già sentire. Suzuki ha sospeso la produzione della Swift in Giappone, mentre Nissan ha attivato task force interne in coordinamento con il governo e la Japan Automobile Manufacturers Association per mitigare gli impatti.
Il CEO di Nissan, Ivan Espinosa, ha dichiarato che “flessibilità e ricerca di alternative” sono ora essenziali per mantenere la continuità operativa.
Occidente in ritardo: l’Europa guarda a Solvay, gli USA a incentivi e reshoring
In Europa, Solvay opera l’unico impianto di raffinazione di terre rare fuori dalla Cina. L’obiettivo è soddisfare il 30% del fabbisogno UE per magneti permanenti entro il 2030. Negli Stati Uniti, si invocano agevolazioni fiscali, fast-track autorizzativi e un approccio multi-stakeholder per ridurre il gap competitivo.
Secondo Gracelin Baskaran (CSIS), l’Occidente sta costruendo un mercato alternativo “in un momento di prezzi bassi e profittabilità incerta”. Solo un intervento coordinato tra UE e USA potrà garantire la scalabilità necessaria.
Una nuova architettura della sicurezza economica
Il caso giapponese conferma che resilienza significa visione industriale, investimento strategico e collaborazione pubblico-privata. In un mondo frammentato e multipolare, la sicurezza delle forniture critiche è oggi parte integrante delle politiche di competitività, difesa e innovazione.
La lezione è chiara: senza piani di lungo termine, capacità produttive locali e cooperazione transnazionale, nessun sistema economico avanzato potrà sottrarsi al rischio di una nuova dipendenza strategica.