SAF, critiche dall’industria aerea alla strategia europea: «Costosa, inefficace, sbilanciata»

| 17/07/2025
SAF, critiche dall’industria aerea alla strategia europea: «Costosa, inefficace, sbilanciata»

L’IATA accusa Bruxelles: pochi benefici ambientali, prezzi distorti e disponibilità insufficiente. A rischio la transizione energetica del settore aviation.

La International Air Transport Association (IATA) ha lanciato un duro attacco alla strategia dell’Unione Europea sul SAF – Sustainable Aviation Fuel, ritenendola costosa, mal calibrata e inefficace sotto il profilo ambientale. Durante un incontro con la stampa a Singapore, il direttore generale Willie Walsh ha dichiarato che la politica europea obbliga all’utilizzo di un prodotto “largamente indisponibile”, con il risultato paradossale di aumentare i costi e aggravare l’impronta carbonica complessiva, anziché ridurla.

L’associazione, che rappresenta circa 300 compagnie aeree mondiali, mette in discussione non tanto l’obiettivo della decarbonizzazione del trasporto aereo, quanto l’approccio regolatorio adottato, che secondo IATA rischia di penalizzare gli operatori senza generare vantaggi ambientali concreti.

La normativa ReFuelEU e gli obblighi crescenti per le compagnie aeree

Nel quadro della strategia “Fit for 55”, l’UE ha introdotto il regolamento ReFuelEU Aviation, che impone una quota obbligatoria di carburanti sostenibili nei rifornimenti aerei: si parte da una miscela minima del 2% nel 2025, per salire al 6% nel 2030 e raggiungere il 70% entro il 2050. Il SAF, ottenuto da scarti agricoli, rifiuti organici o biomasse avanzate, rappresenta la leva chiave della decarbonizzazione del settore aviation, responsabile del 2-3% delle emissioni globali.

Tuttavia, secondo IATA, i livelli attuali di produzione globale non sono allineati con tali target. La stessa associazione stima che nel 2025 la produzione mondiale di SAF raggiungerà appena 2 milioni di tonnellate, ovvero lo 0,7% del fabbisogno totale del settore. Un divario strutturale che rischia di trasformare un obiettivo ambientale in un freno economico.

Effetti economici distorsivi: monopolio, scarsità, sovrapprezzo

Un altro punto critico sollevato da IATA riguarda l’effetto combinato tra obblighi normativi e dinamiche di mercato. Secondo Walsh, i fornitori che producono SAF — per obbligo o per incentivo — stanno applicando prezzi gonfiati ben oltre i costi effettivi di produzione, approfittando della scarsità dell’offerta. “L’UE ha di fatto facilitato la creazione di fornitori in posizione dominante che fissano prezzi elevati, senza alcun beneficio reale in termini ambientali”, ha affermato.

Inoltre, l’uso di SAF prodotto altrove (es. in Asia) e poi trasportato in Europa per rispettare gli obblighi locali aumenta l’impatto carbonico del carburante stesso, vanificando la logica ambientale dell’intervento normativo.

La mappa globale della produzione: focus su Asia ed export

Mentre l’Europa si muove a livello normativo, la geografia industriale del SAF si sta rapidamente spostando verso l’Asia. Almeno cinque impianti per la produzione di SAF sono entrati in funzione o sono in via di avvio in Asia Sudorientale nel 2025 — in particolare a Singapore, Malesia e Indonesia — con l’obiettivo dichiarato di servire il mercato europeo. Anche il Giappone sta accelerando sul fronte dell’idrogeno verde e dei carburanti avanzati.

Questa dinamica solleva un ulteriore nodo: la dipendenza dell’Europa da forniture extra-UE, con conseguente vulnerabilità logistica e commerciale. Una filiera energetica davvero sostenibile dovrebbe, infatti, essere anche prossimale e circolare, non solo certificata.

L’ambiguità delle materie prime: il nodo del palm oil

Altro tema sensibile è quello delle materie prime utilizzate per produrre SAF, in particolare l’olio di palma. Walsh ha sollevato dubbi sull’equivalenza tra “olio di palma sostenibile” e “non sostenibile”, chiedendo un approccio più sfumato e scientificamente validato. In alcuni mercati, come l’Indonesia o la Malesia, l’uso del palm oil è centrale per la produzione di biocarburanti, ma rimane controverso dal punto di vista della deforestazione, della biodiversità e delle emissioni indirette.

L’IATA chiede quindi standard globali armonizzati, che distinguano in modo trasparente tra feedstock sostenibili e a rischio, evitando approcci troppo ideologici o normativamente rigidi.

Governance dell’innovazione e politica industriale europea

Il caso del SAF mette in luce una criticità più ampia: il difficile equilibrio tra ambizione climatica e fattibilità industriale. L’Unione Europea ha posto target avanzati in linea con la neutralità climatica al 2050, ma rischia ora di anticipare troppo gli obblighi rispetto alla maturazione tecnologica e alla scalabilità industriale.

Serve una politica industriale coerente che accompagni la regolazione con investimenti massicci in produzione, ricerca e filiere locali. Il rischio, altrimenti, è di vedere aumentare la pressione economica sulle compagnie aeree europee — già sottoposte all’ETS e ad altri vincoli — a vantaggio di competitor extraeuropei che operano in contesti normativi meno stringenti.

Transizione energetica sì, ma con realismo

La posizione critica dell’IATA non è un rigetto della transizione green, ma un appello al realismo industriale e alla coerenza sistemica. Una transizione efficace nel settore dell’aviazione richiede più SAF, a prezzi sostenibili, da fonti realmente rinnovabili, non solo obblighi regolatori.

Per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica, è necessario un ecosistema normativo, finanziario e produttivo integrato, capace di stimolare l’offerta, contenere i costi e monitorare con rigore la sostenibilità effettiva dei carburanti usati. In gioco non c’è solo il futuro dell’aviazione, ma la credibilità stessa della transizione europea.

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