I rifiuti nucleari sono un problema o una opportunità? Cosa sono e come vengono smaltiti? Facciamo il punto con uno sguardo anche al caso dell’Italia, che punta ad aprire un deposito nazionale nei prossimi anni.
In un mondo che cerca di essere più sostenibile ed energeticamente più efficiente, l’opzione dell’energia nucleare torna di attualità. I traumi di Chernobyl (ma anche di Fukushima) condizionano ancora il dibattito, ma in realtà sono stati fatti dei decisi passi avanti in termini di sicurezza degli impianti e nel trattamento di questa forma di energia.
Verso il nucleare pulito, ma che fare con i rifiuti e le scorie?
Tanto è vero che oggi si parla di “nucleare pulito”, di centrali di terza e di quarta generazione (queste ultime sono in fase di costruzione o progettazione). Il presidente dell’Associazione Italiana Nucleare Umberto Minopoli, rispondendo ad una inchiesta pubblicata su Corriere.it, ha tratteggiato importanti progressi in questo settore. “[Il nucleare pulito] è fatto di 56 nuove centrali in costruzione nel mondo (29 programmate e decise in Europa). Grazie ad esse e alla decisione di allungare la vita operativa del 60% delle centrali oggi attive (423), la potenza nucleare installata nel mondo è prevista più che raddoppiare (da 390 GW a 830 GW) al 2050”.
Ma c’è un dato che preoccupa l’opinione pubblica, sempre relativo alla sicurezza. Ovvero lo smaltimento dei rifiuti nucleari. Un articolo pubblicato su New Atlas passa in rassegna la questione facendo il punto sulle possibilità di stoccaggio oggi.
Cosa sono i rifiuti nucleari
Anzitutto la definizione: “i rifiuti nucleari o radioattivi sono il sottoprodotto di reattori nucleari, lavorazione e riprocessamento del combustibile, produzione di armi, strutture mediche e laboratori di ricerca”. Ma in realtà il termine si può applicare a diverse tipologie di rifiuti, prosegue New Atlas. E non solo, parliamo di un tipo di rifiuto che può cambiare in maniera drastica le sue proprietà nel tempo.
Concentriamoci perciò sulle scorie prodotte da centrali nucleari. Altra definizione, in questo caso quella di combustibile nucleare offerta dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica: “Le materie fissili impiegate o destinate a essere impiegate in un impianto nucleare. Sono inclusi l’uranio in forma di metallo, di lega o di composto chimico (compreso l’uranio naturale), il plutonio in forma di metallo, di lega o di composto chimico e ogni altra materia fissile che sarà qualificata come combustibile con decisione del Comitato direttivo dell’Agenzia per l’energia nucleare (NEA – Nuclear Energy Agency) dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)”.
Come avvengono i processi in un reattore nucleare
Nelle centrali nucleari tradizionali questo combustibile è sottoforma di pellett, contenente uranio arricchito. Ovvero che presenta un maggior contenuto dell’isotopo 235 U.
I cilindretti di uranio sono inseriti dentro dei tubi di lega metallica, ovvero delle barre raccolte in fasce. A loro volte queste fasce sono immerse in acqua, che serve a refrigerare il tutto.
Avviene quindi la divisione degli atomi di uranio che producono ciascuno due neutroni. All’interno del reattore questo processo viene rallentato in modo tale che i neutroni possano essere assorbiti da un atomo di uranio-235. In questo modo avviene un’altra divisione con conseguenti due neutroni emessi, a loro volta assorbiti da altri atomi. Così avviene la reazione nucleare, spiegata in maniera brutale, con conseguente produzione di energia e trasformazione di alcuni atomi di uranio-238 in plutonio nell’assorbire i neutroni. Si creano anche altri isotopi come il cesio-137 o lo stronzio-90. Il combustibile si esaurisce e diventa un rifiuto quando si consuma una quantità sufficiente di uranio-235.
Come riporta inoltre New Atlas, “un singolo grammo di uranio rilascia l’energia equivalente a tre tonnellate di carbone. Ciò significa che in un grande reattore da gigawatt vengono prodotte meno di 30 tonnellate di combustibile esausto all’anno”.
L’impatto dei rifiuti nucleari
Ma che fare con tutto questo scarto? Abbiamo parlato delle paure dell’opinione pubblica, in merito anzitutto alla radiazione emessa dai rifiuti. Anche qui qualche dato per capire di cosa stiamo parlando, e ci viene in soccorso sempre New Atlas. “I rifiuti ad alto livello costituiscono il 3% del combustibile esaurito in volume, ma producono il 95% della radioattività. Non solo sono altamente radioattivi, ma sono anche termicamente caldi, quindi devono essere schermati con cura e possono essere maneggiati solo da manipolatori a distanza. Per dare un’idea di quanto siano radioattivi questi rifiuti quando escono dal reattore, emettono 10.000 rem/ora di radiazioni per i successivi 10 anni. Bastano solo 500 rem/ora per uccidere un essere umano”.
Insomma, possono rappresentare effettivamente un pericolo. Considerando inoltre che, come abbiamo detto in precedenza, i rifiuti nel corso della loro emivita (ovvero il tempo di decadimento della massa iniziale) mutano da un elemento all’altro. Alcuni di essi possono richiedere anche una quantità di tempo notevole, come il plutonio-239 che impiega 24.000 anni per decadere. Lo iodio-131 necessita di meno tempo, ma emette però più radiazioni del plutonio.
Lo stoccaggio dei rifiuti nucleari
Di conseguenza il combustibile esausto nelle centrali nucleari viene immerso in piscine di stoccaggio per alcuni anni. Per ridurre la radioattività di un millesimo in genere bisogna attendere un quarantennio. Per scorie di alto livello si passa quindi a livello intermedio, con una radiazione più leggera e la trasformazione in elementi transuranici.
Dopo il raffreddamento nelle vasche, le barre raffreddate di combustibile vengono immesse in fusti, dove rimangono per un decennio e possono resistere a calamità naturali o attacchi terroristici. In fase di stoccaggio il combustibile viene estratto dalle barre. A loro volta i rifiuti ad alto livello diventano una polvere essiccata, mescolata con vetro fuso. Il risultato viene versato in contenitori in acciaio inossidabile di un metro di altezza, e quindi lasciato raffreddare. Questo processo consente di ridurre le emissioni di radiazioni con la dispersione nel vetro. Quindi, questi contenitori vengono inviati nella struttura di stoccaggio.
Esistono comunque diverse opzioni teoriche che vanno al di là dell’attuale stoccaggio in siti geologicamente stabili, come il contenimento delle scorie in involucri in acciaio e confinati nella calotta glaciale antartica, sepolti per 100.000 anni sotto il ghiaccio. O spediti in pozzi profondi tra due placche tettoniche e quindi lasciati sprofondare nel mantello fuso della Terra, riporta New Atlas. O ancora nelle profondità oceaniche, facendoli sprofondare anche qui ma nel limo.
Sono tutti metodi che presentano aspetti critici per via delle implicazioni tecniche o geopolitiche. Ma anche in termini di eventuale recupero dei rifiuti una volta smaltiti. Questo perché le scorie possono essere “riciclate” per la creazione di nuovo combustibile. Oppure contenere al loro interno isotopi nucleari utili ad esempio nell’industria medica.
I depositi di stoccaggio in Italia e il progetto nazionale al vaglio
In Italia, come riporta il Sole 24 Ore, esistono 100 depositi di stoccaggio in 22 siti. In essi vengono confinati i prodotti di scarto medicali di bassa e media attività. Non esiste però un deposito nazionale vero e proprio di smaltimento definitivo (cosa che ha determinato una procedura di infrazione al nostro Paese da parte della Commissione Europea). Tuttavia siamo in fase procedurale, in attesa di un’autorizzazione unica prevista per il 2029 e una entrata in servizio stimata entro il 2039.
Le possibili aree dove nascerà il deposito nazionale
Per quanto riguarda le aree potenziali, esse sono state individuate in Basilicata (10 in tutto), a cavallo con la Puglia (4) e una nella stessa regione, nel Lazio e in particolare nel viterbese (21), nell’alessandrino in Piemonte (5), in Sardegna (8) e in Sicilia (2).
Come ha spiegato il ministro dell’Ambiente Picchetto Fratin si tratta di proposte del CNAI, al vaglio dell’Autorità di regolamentazione per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, e ancora nulla è stato deciso “sino al completamento della procedura di Valutazione Ambientale Strategica“, coinvolgendo le amministrazioni locali. Il ministro ha anche sottolineato l’importanza del Deposito anche come opportunità di sviluppo per i territori coinvolti.
Il termine a disposizione delle amministrazioni locali per inviare le proprie osservazioni sulla Carta Nazionale delle Aree Idonee è scaduto lo scorso 26 dicembre. Ma il ministero ha concesso una proroga di trenta giorni “al fine di consentire un coinvolgimento, un dialogo e una valutazione migliori da parte delle autonomie locali”.