La sentenza definisce un principio chiave sulla fiscalità applicabile al ride-hailing: gli operatori locali fuori Londra non dovranno applicare l’IVA al 20% sui servizi. Rilievi giuridici, effetti economici e implicazioni sistemiche per il mercato UK e le piattaforme digitali.
Nel 2021, una storica sentenza della Suprema Corte del Regno Unito aveva stabilito che i conducenti Uber vanno qualificati come “lavoratori” e non autonomi, rendendoli idonei al salario minimo e al diritto alle ferie. Una delle conseguenze dirette di quella decisione fu l’obbligo per Uber di applicare l’IVA al 20% sul costo delle corse nel Regno Unito. Questo vincolo, però, non si estendeva automaticamente agli operatori privati concorrenti, soprattutto nelle aree extra-metropolitane.
Nel tentativo di riequilibrare le condizioni fiscali e normative nel mercato del trasporto privato, Uber ha cercato di ottenere una dichiarazione giuridica che imponesse l’applicazione dello stesso schema contrattuale e fiscale anche ai suoi rivali nelle regioni di Inghilterra e Galles al di fuori di Londra, dove vige un regime regolatorio distinto.
Il giudizio della Corte Suprema: esclusa la contrattualizzazione diretta tra operatori e passeggeri
Poche ore fa la Corte Suprema del Regno Unito ha emesso la sua sentenza definitiva, respingendo all’unanimità l’appello presentato da Uber contro la precedente decisione della Corte d’Appello, confermando che gli operatori di taxi privati non sono obbligati a stipulare un contratto diretto con i passeggeri. Di conseguenza, non sussiste per tali soggetti l’obbligo di applicare l’IVA sul valore totale della corsa, come avviene invece per Uber a seguito della sua ristrutturazione contrattuale.
Questa pronuncia chiude un contenzioso chiave avviato da Uber e fa seguito a una lunga battaglia giuridica innescata dall’intervento di operatori concorrenti come Delta Taxis e Veezu, che avevano impugnato con successo il precedente verdetto dell’High Court del 2023.
Impatti sul settore: una crisi evitata e una concorrenza ancora frammentata
Secondo gli avvocati di Delta Taxis, un esito favorevole a Uber avrebbe provocato gravi conseguenze economiche per centinaia di operatori regionali, costringendoli ad aumentare le tariffe del 20% per coprire il carico fiscale aggiuntivo. Anche Veezu, una delle principali piattaforme per il trasporto privato nel Regno Unito, ha definito la sentenza “una vittoria per il settore”, sottolineando come essa consenta di preservare tariffe competitive e accessibili nelle regioni extraurbane.
Dal punto di vista macroeconomico, la decisione preserva la sostenibilità operativa di un segmento rilevante dell’economia locale, spesso dominato da micro-imprese e piccole flotte, tutelando al contempo l’equilibrio competitivo tra operatori con strutture e modelli di business molto differenti.
Fiscalità digitale e trattamento differenziale: un quadro normativo ancora disomogeneo
Nonostante la chiarezza della sentenza, il caso Uber evidenzia una persistente disomogeneità nel trattamento fiscale delle piattaforme digitali. A Londra, Uber continua a essere soggetta a obblighi più stringenti, anche a causa delle regole più severe imposte dalla Transport for London (TfL). Nelle altre aree del Regno Unito, invece, vige un regime più flessibile, che consente agli operatori locali di limitarsi alla tassazione sul margine, e non sul prezzo finale del servizio.
Una situazione analoga ha interessato anche la piattaforma Bolt, startup estone attiva nel ride-hailing e food delivery, che ha recentemente vinto un ricorso contro l’Agenzia delle Entrate britannica (HMRC) in merito all’applicazione dell’IVA. In quel caso, è stato confermato che Bolt è tenuta a pagare l’IVA solo sul margine, non sul valore totale della corsa. Tuttavia, HMRC ha ottenuto il diritto di presentare appello alla Corte d’Appello, mantenendo il quadro in una condizione di instabilità interpretativa.
Prospettive di riforma: necessità di un framework normativo armonizzato
Come sottolineato da Kimberly Hurd, Senior General Manager UK di Bolt, la vicenda mette in luce l’urgenza di un nuovo quadro regolatorio nazionale, in grado di armonizzare le regole tra le diverse regioni del Regno Unito e ridurre l’incertezza per operatori, consumatori e autorità fiscali. La coesistenza di regimi paralleli di tassazione e contrattualizzazione mina la trasparenza e l’efficienza del mercato, oltre a ostacolare la scalabilità di soluzioni digitali in ambito mobilità.
Una riforma coerente del settore dovrebbe affrontare questioni complesse come:
- La qualificazione giuridica del rapporto tra utente, piattaforma e conducente
- La distribuzione delle responsabilità fiscali e previdenziali
- L’equità concorrenziale tra grandi piattaforme e operatori indipendenti
- L’interoperabilità normativa con i regimi fiscali europei post-Brexit
Tecnologia, diritto e fiscalità nell’era della mobilità ibrida
Il caso Uber segna una tappa rilevante nell’evoluzione della regolazione della mobilità digitale nel Regno Unito, toccando punti nevralgici per il diritto dell’innovazione, la politica industriale e la fiscalità del digitale. Più in generale, la vicenda evidenzia le difficoltà di applicare categorie fiscali tradizionali a modelli economici ibridi e algoritmici, in cui la linea tra intermediazione, fornitura e rapporto contrattuale è sempre più sfumata.
Nel breve termine, la sentenza garantisce stabilità e sostenibilità per gli operatori locali. Nel medio termine, però, sarà fondamentale costruire un framework normativo integrato, capace di bilanciare innovazione, tutela dei diritti e coerenza fiscale in un mercato della mobilità sempre più frammentato, ma al tempo stesso interdipendente.