Gazprom annuncia un memorandum con Pechino per costruire il più grande gasdotto del mondo, ma il nodo dei prezzi rivela le asimmetrie di un’alleanza che intreccia energia, geopolitica e politica industriale
Un memorandum firmato a Pechino promette di ridisegnare la geografia dell’energia globale: il Power of Siberia 2, 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno dalla tundra artica fino alla Cina. Per Mosca è un passo vitale dopo il crollo delle esportazioni verso l’Europa, per Pechino un’occasione per strappare condizioni vantaggiose a un partner in difficoltà. Ma dietro gli annunci, resta irrisolta la questione cruciale: quanto costerà davvero il gas russo e chi pagherà il conto di un’infrastruttura titanica?
Una partnership senza limiti, ma con molte condizioni
Il summit di Pechino tra Vladimir Putin, Xi Jinping e il presidente mongolo Ukhnaagiin Khurelsukh ha offerto all’opinione pubblica l’immagine plastica di una partnership strategica. Russia e Cina hanno firmato un memorandum vincolante sul Power of Siberia 2, accompagnato dall’impegno ad aumentare i flussi attraverso il già operativo Power of Siberia 1, destinati a crescere fino a 44 miliardi di metri cubi l’anno. Mosca rilancia così la narrativa di un’alleanza “senza limiti”, ma dietro la formula suggestiva si nasconde un equilibrio ben più fragile: la Russia ha urgente bisogno di sbocchi alternativi dopo il tracollo del mercato europeo, mentre la Cina utilizza il suo potere contrattuale per negoziare prezzi sempre più vantaggiosi.
Il prezzo del gas come banco di prova
Alexei Miller, CEO di Gazprom, ha ammesso che il gas destinato al nuovo gasdotto sarà venduto a un prezzo inferiore rispetto a quello praticato con l’Europa. La motivazione ufficiale è logistica: la lunghezza e la complessità del tracciato giustificherebbero un costo ridotto. Ma il vero motivo è politico ed economico. Pechino sa di essere diventata il principale acquirente di riferimento per il Cremlino e non ha alcun incentivo ad accettare condizioni onerose. Per Mosca, questo significa consolidare i volumi di export, ma a prezzo di margini più bassi. Il tema del prezzo diventa così il simbolo della nuova relazione: un’alleanza necessaria, ma squilibrata.
Un’opera monumentale: ambizioni e rischi
Il Power of Siberia 2 non è solo una pipeline: è il progetto infrastrutturale più ambizioso mai concepito nel settore del gas. Collegare i giacimenti di Bovanenkovo e Kharasavey nella penisola di Yamal, attraversare la Siberia e raggiungere la Mongolia prima di approdare in Cina richiede un impegno titanico. Si parla di miliardi di dollari, anni di lavori e una sfida logistica senza precedenti. Per Mosca, l’opera è un messaggio al mondo: nonostante le sanzioni e l’isolamento, la Russia può ancora plasmare il mercato globale dell’energia. Ma i rischi sono evidenti: in un contesto di transizione energetica accelerata, costruire un’infrastruttura fossile di lungo periodo significa scommettere su un futuro incerto.
Europa e Asia: due traiettorie divergenti
La pipeline racconta anche la divergenza tra Europa e Asia nella gestione della crisi energetica. Nel 2019, l’Unione Europea importava 177 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia. Oggi quella quota è scesa al 18% e Bruxelles ha dichiarato l’obiettivo di azzerare la dipendenza entro il 2027. Parallelamente, le importazioni di petrolio russo sono crollate dal 30% al 3% del fabbisogno comunitario. La Cina ha occupato lo spazio lasciato libero: primo acquirente di petrolio e gas russo, secondo di carbone, terzo di GNL. Questo spostamento dei flussi non è solo economico, ma geopolitico: sancisce la progressiva marginalizzazione della Russia in Europa e il suo crescente allineamento con l’Asia.
Xi e Putin: oltre l’energia, un patto politico
Il vertice di Pechino non si è limitato al gas. Sono stati firmati 22 accordi bilaterali, incluso un patto strategico tra Gazprom e la China National Petroleum Corporation (CNPC). Xi Jinping e Vladimir Putin hanno ribadito la volontà di costruire un fronte comune contro l’egemonia occidentale, evocando la fine dell’ordine internazionale plasmato dopo il 1945. L’immagine politica è chiara: Mosca e Pechino vogliono presentarsi come il cuore di un nuovo multipolarismo. Tuttavia, le dinamiche restano asimmetriche: la Cina consolida il suo ruolo di compratore dominante, mentre la Russia si lega mani e piedi al mercato asiatico.
Politica industriale e catene del valore
Oltre la geopolitica, c’è la dimensione industriale. Costruire un gasdotto che attraversa territori estremi significa spingere al limite tecnologie ingegneristiche e catene di fornitura. Per la Russia è un modo per preservare la centralità della propria industria del gas; per la Cina, è un’opportunità per rafforzare il know-how sulle grandi infrastrutture energetiche. Non è un caso che molte delle imprese coinvolte potrebbero beneficiare di spin-off tecnologici anche in settori civili, dall’acciaio speciale alla logistica. La pipeline diventa così un progetto duale: politico ed energetico, ma anche industriale e tecnologico.
Le incognite giuridiche e ambientali
Il Power of Siberia 2 solleva interrogativi complessi sul piano legale. Chi deterrà la proprietà delle sezioni transfrontaliere? Come verranno ripartiti oneri e benefici tra Russia, Mongolia e Cina? Quali standard di sicurezza ambientale verranno applicati in territori così fragili? L’assenza di dettagli nei memorandum firmati mostra che la politica ha preceduto il diritto. In più, un’infrastruttura di lungo periodo basata sui combustibili fossili rischia di entrare in contraddizione con gli impegni internazionali di riduzione delle emissioni. Questo potrebbe generare tensioni non solo tra gli attori coinvolti, ma anche con la comunità globale.
Transizione energetica: una scommessa a tempo
Il progetto si inserisce in un paradosso. Mentre l’Europa investe massicciamente in rinnovabili e GNL alternativo, e la stessa Cina accelera su solare, eolico e nucleare, Mosca punta tutto su una pipeline fossile da completare in un orizzonte di decenni. Per la Cina, l’opera può essere una soluzione transitoria utile a garantire sicurezza energetica; per la Russia, un’ancora di salvezza per mantenere un ruolo nel mercato globale. Ma il rischio è che, nel lungo periodo, la pipeline diventi un’infrastruttura sotto-utilizzata, figlia di un compromesso politico più che di una strategia economica sostenibile.
Un’alleanza segnata da asimmetrie
Il Power of Siberia 2 è un simbolo del nuovo ordine energetico in gestazione. Da un lato, rappresenta la capacità di Mosca e Pechino di rafforzare la loro partnership e di sfidare l’Occidente sul terreno delle risorse. Dall’altro, mostra con chiarezza le asimmetrie: la Russia è costretta a cedere parte della sua rendita per mantenere flussi vitali, mentre la Cina si muove da acquirente forte, dettando le condizioni. La pipeline sarà forse il progetto infrastrutturale più ambizioso del secolo, ma il suo destino non dipenderà solo dall’acciaio che la comporrà. Sarà scritto nella capacità di Russia e Cina di trasformare una necessità tattica in un’alleanza realmente strategica. In un mondo che corre verso la transizione verde, investire miliardi in un’infrastruttura fossile resta una scommessa politica. E come tutte le scommesse geopolitiche, l’esito è tutt’altro che garantito.