Pirelli tra Roma, Pechino e Washington: come la geopolitica sta riscrivendo il destino del made in Italy tecnologico

| 31/10/2025
Pirelli tra Roma, Pechino e Washington: come la geopolitica sta riscrivendo il destino del made in Italy tecnologico

Nel cuore della trasformazione industriale globale, il caso Pirelli racconta come l’Italia si muove fra due potenze rivali, cercando di difendere la propria autonomia tecnologica senza rinunciare al suo respiro internazionale.

Mentre Sinochem valuta un ridimensionamento e il governo italiano tenta di bilanciare diplomazia e strategia, Pirelli diventa il laboratorio di una nuova era: quella in cui l’innovazione industriale è anche una questione di sovranità politica.

Una visita che vale un messaggio politico

Quando Adolfo Urso ha varcato i cancelli dello stabilimento Pirelli di Milano, l’atmosfera era tutt’altro che ordinaria. Le luci, i flash, la presenza discreta di funzionari e dirigenti non erano solo cornice. Quella visita era un segnale: l’Italia vuole tenere il controllo del suo campione industriale più simbolico in un’epoca in cui ogni tecnologia strategica è anche un campo di tensione geopolitica.

Accanto al ministro, Marco Tronchetti Provera, veterano dell’industria e figura chiave della storia recente di Pirelli, insieme all’amministratore delegato Andrea Casaluci, volto della nuova generazione manageriale. Tutti consapevoli che oggi, per un gruppo globale, i consigli d’amministrazione contano quanto i tavoli diplomatici.

Urso ha scelto parole misurate: “Siamo sulla strada giusta per garantire a Pirelli lo sviluppo globale della sua tecnologia. Il governo farà la sua parte fino in fondo”.
Dietro quella frase, un messaggio doppio: rassicurare Pechino, ma soprattutto Washington, che l’Italia è pronta a proteggere i propri interessi industriali senza chiudersi.

I Cyber Tyres e la corsa ai dati

La questione al centro della disputa è più profonda di quanto sembri: i Cyber Tyres, pneumatici intelligenti dotati di sensori che raccolgono dati durante la marcia e li inviano in tempo reale ai sistemi di bordo.
Non si tratta solo di un’innovazione tecnica, ma di una svolta culturale nel modo di concepire l’auto: lo pneumatico non è più un semplice prodotto meccanico, ma un nodo di una rete digitale globale.

In un mondo dove i dati sono la nuova valuta del potere, chi gestisce l’informazione domina la filiera. Ecco perché gli Stati Uniti guardano con sospetto alla presenza di Sinochem, un conglomerato di Stato cinese, in un’azienda che produce dispositivi capaci di comunicare con veicoli connessi, flotte aziendali e sistemi di intelligenza artificiale.
Per Washington, il rischio non è industriale, ma sistemico: il trasferimento di dati verso entità sotto l’influenza di Pechino rappresenta un potenziale varco nella sicurezza nazionale.

Così, un’invenzione nata nei laboratori di Bicocca si è trasformata in un caso di geopolitica industriale. E Pirelli, suo malgrado, è diventata il simbolo di una nuova forma di competizione: non più sulle merci, ma sulle informazioni.

L’Italia tra prudenza e ambizione

Il governo italiano, dopo un’analisi approfondita, ha stabilito che Sinochem non violava le regole sul controllo strategico, ma ha imposto condizioni stringenti per salvaguardare l’autonomia decisionale del gruppo.
Non è un gesto ostile verso la Cina, bensì un atto di equilibrio: Roma difende la propria libertà tecnologica, senza rinunciare all’apertura che ha sempre alimentato la forza del suo sistema industriale.

Negli ultimi anni, l’Italia ha imparato che la politica industriale non può più essere neutrale. Le filiere globali si sono incrinate e l’Unione Europea sta riscoprendo il concetto di “de-risking”: ridurre la dipendenza dalle potenze rivali, ma senza interrompere i legami economici.

Urso, nella sua dichiarazione, ha scelto il registro pragmatico: “È compito degli azionisti trovare la soluzione giusta; il governo ha creato le condizioni perché ciò accada”.
In altre parole, il messaggio è chiaro: l’Italia non imporrà una decisione dall’alto, ma farà in modo che il risultato sia coerente con i suoi interessi strategici.

La mossa cinese: apertura alla vendita

Le indiscrezioni trapelate nelle ultime settimane raccontano un cambio di prospettiva a Pechino. Sinochem avrebbe manifestato disponibilità a valutare la vendita, totale o parziale, della propria partecipazione in Pirelli, se arrivasse un’offerta adeguata.
Un gesto che ha il sapore della diplomazia economica: evitare uno scontro diretto, preservando nel contempo il valore dell’investimento.

Per la Cina, Pirelli resta un asset di prestigio, ma anche un fardello politico in un momento in cui l’Europa e gli Stati Uniti intensificano le restrizioni sulle tecnologie sensibili.
Per Roma, invece, l’eventuale uscita di Sinochem rappresenterebbe una vittoria silenziosa, capace di restituire alla società la libertà di operare nei mercati occidentali senza zone d’ombra.

Un laboratorio di futuro industriale

Il “caso Pirelli” è molto più di una disputa azionaria: è un precedente destinato a ridisegnare la politica industriale europea.
Il messaggio è chiaro: l’epoca della globalizzazione senza identità è finita. Ogni azienda strategica diventa oggi un soggetto politico e ogni innovazione porta con sé una dimensione di sicurezza nazionale.

In questo scenario, l’Italia ha la possibilità di ritagliarsi un ruolo singolare. Non come potenza di contrapposizione, ma come ponte culturale e industriale tra sistemi economici diversi. È un compito difficile, ma coerente con la sua storia: un paese che ha sempre costruito la propria forza nella capacità di mediare, innovare e adattarsi.

Verso una nuova sovranità tecnologica

Il prossimo appuntamento chiave sarà la primavera del 2026, quando Pirelli rinnoverà il proprio consiglio di amministrazione. Ma la partita, in realtà, è già iniziata.
Dietro le scelte di governance si muove un dibattito più ampio: che cosa significa oggi sovranità industriale?

Non si tratta di chiudere i confini o di ricorrere al protezionismo. La vera sovranità consiste nel possedere le competenze, la tecnologia e la capacità di decidere autonomamente come usarle.
Per l’Europa, il caso Pirelli rappresenta un banco di prova: può un continente che ha costruito la sua ricchezza sulla cooperazione globale continuare a prosperare in un mondo di rivalità sistemiche?

Pirelli e il futuro del made in Italy

Nel silenzio dei laboratori di Bicocca, dove ingegneri e ricercatori testano i prototipi del futuro, si respira l’essenza della sfida. Pirelli non è solo un marchio storico: è un simbolo di resilienza tecnologica, di un Paese che deve imparare a difendere la propria eccellenza senza smarrirne la vocazione internazionale.

Oggi la competizione non si gioca più solo sul prezzo o sulla qualità, ma sulla capacità di gestire l’innovazione come bene strategico.
E in questo nuovo mondo, in cui ogni chip e ogni sensore sono anche strumenti di potere, Pirelli racconta una verità semplice e complessa allo stesso tempo: il futuro dell’industria italiana dipenderà non solo da ciò che sa produrre, ma da ciò che saprà proteggere.

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