OpenAI e le Magnifiche Sette: 1.300 miliardi di dollari di rivoluzione (e rischio)

RedazioneRedazione
| 20/09/2025
OpenAI e le Magnifiche Sette: 1.300 miliardi di dollari di rivoluzione (e rischio)

Dall’ascesa di OpenAI all’irresistibile corsa di Anthropic e xAI, sette startup hanno raggiunto un valore che sfida le logiche di mercato. L’intelligenza artificiale è la nuova frontiera della crescita, ma anche il potenziale detonatore di una bolla globale.

Luci al neon illuminano capannoni che sembrano città: data center in costruzione in Nevada e in Irlanda si estendono per chilometri, divorando energia come intere metropoli. Dietro quelle mura silenziose si gioca la più grande scommessa tecnologica del secolo. OpenAI, Anthropic, xAI e pochi altri nomi dominano un’arena privata che oggi vale 1.300 miliardi di dollari. È l’epopea di una rivoluzione che promette di riscrivere il futuro, ma che porta con sé la stessa vertigine delle bolle che hanno incendiato la storia della finanza.

L’alba di un impero privato

Tre anni fa, il lancio di ChatGPT trasformò l’intelligenza artificiale da curiosità di laboratorio a fenomeno planetario. Da allora, il mercato privato ha assistito a una delle crescite più rapide della storia del capitalismo tecnologico. Secondo Forge Global, un paniere di sette startup guida oggi vale complessivamente 1.300 miliardi di dollari: una cifra che, se fosse quotata, supererebbe l’intero PIL di paesi come la Spagna o il Messico.

Questi numeri non sono semplici segni contabili: raccontano un cambio d’epoca. Mai così tanto capitale si era concentrato in così poche mani e in un tempo tanto breve.

Le Magnifiche Sette della tecnologia privata

Al centro del fenomeno c’è OpenAI, valutata oltre 320 miliardi di dollari, che ha saputo catalizzare investimenti, contratti miliardari e partnership strategiche con giganti come Microsoft. Ma accanto a lei si muove Anthropic, startup fondata da ex ricercatori di OpenAI, che ha raggiunto i 178 miliardi di dollari in appena quattro anni.

C’è poi xAI, l’ultima creatura di Elon Musk, che dopo pochi mesi di vita è già valutata 200 miliardi, segno della fiducia – o della scommessa – che il mercato ripone nell’eclettico imprenditore.

Il quadro si completa con aziende che operano su fronti diversi, ma convergenti: SpaceX (456 miliardi), che coniuga spazio e difesa; Databricks (100 miliardi), specializzata in analisi e gestione dei dati; Stripe (92 miliardi), che rivoluziona i pagamenti digitali; e Anduril (53 miliardi), startup della difesa che ha fatto dell’AI il perno della sicurezza nazionale.

Insieme, queste società incarnano non solo la forza dell’innovazione tecnologica, ma anche una nuova gerarchia di potere economico e geopolitico.

L’AI come nuovo petrolio

Se il Novecento è stato dominato dall’oro nero, il XXI secolo sembra avere trovato la sua risorsa equivalente: l’intelligenza artificiale. È la nuova linfa che alimenta mercati, governi e industrie. La domanda di AI si riflette nei flussi di capitale: nel 2025, il 77% degli investimenti privati è confluito in appena 19 aziende, quasi tutte legate al settore.

Questa concentrazione riflette una convinzione quasi unanime: l’AI non è una moda passeggera, ma la nuova infrastruttura strategica della società globale. Sanità, difesa, finanza, logistica: ogni settore si prepara a essere trasformato da algoritmi sempre più potenti. Ma la stessa concentrazione apre scenari di fragilità: se pochi attori controllano la risorsa più preziosa, il rischio sistemico aumenta esponenzialmente.

Quando il privato plasma i mercati pubblici

La distinzione tra private e public market appare sempre più sfumata. Pur non essendo quotate, queste società condizionano direttamente i mercati azionari. Oracle ha visto il suo titolo volare del 36% in un solo giorno grazie a un contratto con OpenAI. Broadcom ha chiuso un accordo colossale con la stessa azienda. Microsoft, con la sua partecipazione in OpenAI, continua a beneficiare di un posizionamento privilegiato.

Il risultato è un ecosistema ibrido: poche startup private influenzano le strategie delle big tech quotate, che a loro volta ridefiniscono gli equilibri delle Borse globali. La catena di causa-effetto non parte più dalle aziende pubbliche, ma da player privati capaci di orientare interi settori industriali.

Sam Altman: tra visione e vertigine

Persino i protagonisti della corsa ammettono la fragilità del momento. Sam Altman, CEO di OpenAI, ha definito le valutazioni attuali “insane” e ha riconosciuto che sì, siamo in una bolla. Una dichiarazione che, pronunciata dall’uomo simbolo di questa rivoluzione, suona come un monito.

Eppure, nel giro di poche frasi, Altman rilancia: “OpenAI spenderà trilioni di dollari in data center, forse più di qualsiasi azienda abbia mai speso in qualsiasi cosa”. È il paradosso della Silicon Valley: la consapevolezza del rischio non frena la corsa, anzi la alimenta.

Il paradosso del capitalismo privato

L’aspetto più sorprendente è che queste società non hanno alcuna fretta di approdare in Borsa. Grazie alla liquidità offerta dai mercati privati, possono finanziare la loro espansione senza sottoporsi agli obblighi di trasparenza e regolamentazione tipici dei mercati pubblici.

Come ha osservato Kelly Rodriques, CEO di Forge Global: “Se hanno accesso a capitali illimitati e strumenti di liquidità, l’unica cosa che può costringerle ad andare in Borsa è la regolamentazione.”

La conseguenza è una trasformazione silenziosa: il centro di gravità dell’innovazione tecnologica si sposta sempre più verso ambienti privati, difficili da monitorare e da controllare. Un capitalismo opaco, che concentra potere e capitale in poche mani, al riparo dagli occhi dei mercati e delle istituzioni.

Oltre l’euforia: fragilità e conseguenze

La narrativa dominante celebra l’accelerazione senza precedenti dell’innovazione. È la lettura ottimistica: l’AI ridisegnerà interi settori, aprendo opportunità economiche e scientifiche mai viste. Ma esiste anche un’altra lettura, più inquietante. Una corsa alimentata da capitali illimitati rischia di costruire castelli su fondamenta instabili.

La storia insegna che le bolle tecnologiche – dalla dot-com degli anni 2000 alle criptovalute – lasciano dietro di sé macerie finanziarie e sociali. La differenza, oggi, è che l’AI non è un settore di nicchia: è infrastruttura critica. Se i protagonisti di questa corsa crollassero, le conseguenze non ricadrebbero solo sugli investitori, ma sull’intero sistema economico e industriale.

Il prezzo del futuro

La corsa delle Magnifiche Sette segna un passaggio storico. Mai prima d’ora così tanto capitale si era concentrato in così poche aziende, in un tempo tanto breve. OpenAI, Anthropic, xAI e le altre incarnano il sogno di un progresso illimitato, ma anche la vertigine di una crescita che rischia di sfuggire al controllo.

Il futuro dell’intelligenza artificiale non si giocherà soltanto sulla capacità di creare algoritmi più sofisticati. Si giocherà sulla possibilità di costruire un equilibrio tra innovazione e sostenibilità, tra concentrazione e distribuzione, tra visione e responsabilità.

La vera domanda non è se l’AI cambierà il mondo. È se riusciremo a governare questa trasformazione prima che ci travolga.

AziendaVal. $ mldSettoreFocus principale
OpenAI324Intelligenza ArtificialeModelli linguistici avanzati e AI generativa (ChatGPT)
SpaceX456Aerospazio & DifesaLanci spaziali, satelliti Starlink, esplorazione marziana
Anthropic178Intelligenza ArtificialeAI “allineata ai valori umani”, modelli Claude
xAI200*Intelligenza ArtificialeAI trasparente e integrata nell’ecosistema Musk (Tesla, X, Neuralink)
Databricks100Data & AnalyticsPiattaforma cloud per gestione e analisi dei dati integrata con strumenti di AI
Stripe92FintechInfrastruttura globale per i pagamenti digitali ed e-commerce
Anduril53Difesa & SicurezzaSistemi di difesa basati su AI, droni autonomi, tecnologie di sorveglianza

*Valutazione stimata in fase di raccolta fondi

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