La corsa globale all’intelligenza artificiale ridisegna poteri e dipendenze. L’Europa, ancora intrappolata tra regole ambiziose e infrastrutture insufficienti, rischia di trovarsi marginale nello scenario che definirà l’economia e la politica dei prossimi decenni.
Secondo il recente report “AI Sovereignty – A strategic imperative for European industry” di Roland Berger e Aleph Alpha, la sovranità dell’intelligenza artificiale non è un lusso, ma un imperativo strategico. Senza infrastrutture, competenze e una visione comune, l’Europa rischia di ridursi a semplice consumatore della rivoluzione digitale, perdendo la capacità di decidere del proprio futuro industriale e politico.
Un bivio storico
C’è una cifra che basta da sola a raccontare la posta in gioco: nel 2024, gli Stati Uniti hanno prodotto quaranta modelli avanzati di intelligenza artificiale, l’Europa appena tre. Non è solo un divario statistico, ma la fotografia di un continente che, pur vantando una delle normative più avanzate al mondo – l’AI Act – fatica a tradurre la propria capacità regolatoria in leadership tecnologica.
Il recente report di Roland Berger, realizzato con Aleph Alpha, è netto: se non recupera terreno, l’Europa diventerà dipendente da infrastrutture e piattaforme esterne, incapace di decidere autonomamente come usare i propri dati industriali e come orientare l’innovazione. È un allarme che non riguarda solo i governi, ma l’intero tessuto industriale, chiamato a ripensare in chiave strategica il proprio rapporto con l’IA.
La sovranità come questione politica e culturale
Troppo spesso la parola “sovranità digitale” viene interpretata in senso riduttivo, come localizzazione dei dati o adeguamento a normative di protezione. In realtà, significa molto di più: significa avere la possibilità di progettare, governare e adattare le tecnologie in linea con i propri valori.
Per l’Europa, questo implica mantenere fede a principi come la trasparenza, la sicurezza, la sostenibilità e la centralità della persona. Ma senza infrastrutture e modelli sviluppati localmente, queste ambizioni rischiano di restare lettera morta. L’AI Act, in assenza di strumenti concreti, può trasformarsi in un boomerang: un insieme di regole che limitano le aziende europee, mentre i concorrenti americani e cinesi corrono senza vincoli comparabili.
L’IA come leva industriale
Il potenziale trasformativo dell’intelligenza artificiale non si limita ai laboratori di ricerca. Già oggi, settori strategici come automotive, energia e manifattura stanno testando applicazioni che promettono di rivoluzionare processi consolidati.
Un caso emblematico è la manutenzione predittiva: sistemi basati su IA analizzano dati provenienti da sensori e documentazione tecnica per anticipare guasti e proporre soluzioni in tempo reale. Il risultato non è soltanto una riduzione dei costi di fermo macchina, ma anche una nuova forma di “intelligenza collettiva” che trattiene conoscenza tecnica prima dispersa.
Eppure, c’è un paradosso: molte di queste soluzioni si appoggiano a piattaforme extraeuropee. Ciò significa che i dati industriali – uno degli asset più preziosi delle aziende – vengono di fatto intermediati da attori non europei. In un mondo dove il controllo dei dati equivale al controllo del valore, questo rappresenta una vulnerabilità strategica.
Il nodo della dipendenza tecnologica
Il concetto di vendor lock-in – la dipendenza da un unico fornitore – non è nuovo, ma nell’era dell’IA rischia di diventare strutturale. Se le imprese europee si affidano esclusivamente a modelli sviluppati altrove, nel tempo perderanno non solo flessibilità, ma anche capacità decisionale. Ogni evoluzione tecnologica sarà dettata da roadmap e interessi che non coincidono necessariamente con quelli europei.
Per questo la modularità delle soluzioni non è un dettaglio tecnico, ma un principio politico. Significa creare piattaforme adattabili, integrate con sistemi legacy e capaci di evolvere senza costringere le aziende a riscrivere da zero i propri processi. In altre parole: progettare con resilienza, per garantire autonomia nel lungo periodo.
L’oro nascosto dei dati europei
Se c’è un vantaggio che l’Europa possiede, è la ricchezza del suo patrimonio informativo. Dalla manifattura avanzata all’energia, dal settore sanitario alle infrastrutture, i dati generati quotidianamente sono immensi. Ma troppo spesso restano dispersi, non standardizzati, difficili da integrare.
Il paradosso è evidente: il continente ha una miniera d’oro sotto i piedi, ma senza strumenti e strategie adeguate rischia di vederla sfruttata da altri. Trasformare questa ricchezza nascosta in un asset strategico richiede governance chiara, standard condivisi e piattaforme capaci di valorizzarla senza esportarla altrove. È qui che si gioca buona parte della vera sovranità europea.
Dalla sperimentazione al valore reale
Negli ultimi anni molte aziende hanno avviato progetti pilota in ambito IA, ma spesso restano confinati a iniziative isolate, senza una strategia di scala. Il passaggio dalla sperimentazione al valore concreto richiede governance forte, visione industriale e coraggio nell’investire su casi d’uso che incidano realmente sul business.
È il momento di smettere di considerare l’IA come un “giocattolo” per dipartimenti innovazione e iniziare a trattarla come un pilastro della competitività, al pari della sostenibilità o della digitalizzazione. Le aziende che comprenderanno questo cambio di prospettiva saranno quelle capaci di dettare il ritmo, invece che subirlo.
Il futuro che l’Europa deve scegliere
L’Europa è ancora in tempo per cambiare la traiettoria, ma la finestra si sta chiudendo rapidamente. Non si tratta di inseguire Stati Uniti e Cina sul loro terreno, ma di definire un proprio modello di sviluppo, coerente con i valori e le esigenze del continente.
La sovranità dell’intelligenza artificiale non significa autarchia tecnologica: significa capacità di scegliere, governare e adattare l’innovazione senza dipendere da altri. Se questo obiettivo non verrà perseguito con decisione, il rischio è che l’Europa resti relegata al ruolo di consumatore passivo della rivoluzione digitale.
La storia insegna che i momenti di svolta non aspettano. L’IA è il banco di prova del XXI secolo: un’occasione per riaffermare la centralità europea nel mondo o, al contrario, la conferma di una marginalità già scritta. L’ultima chiamata è oggi. Sta all’Europa decidere se rispondere da protagonista o accontentarsi di restare spettatrice.