New York chiama, il mondo risponde: la settimana del clima più grande di sempre

| 20/09/2025
New York chiama, il mondo risponde: la settimana del clima più grande di sempre

Oltre 1.000 eventi e la partecipazione record di aziende, fondazioni e società civile: la Climate Week 2025 segna un nuovo primato. Mentre l’entusiasmo cresce tra attori non statali, i governi rallentano, lasciando irrisolte le grandi sfide della crisi climatica.

New York vibra di energia. Sale gremite, grattacieli trasformati in teatri di discussione e cocktail party dove CEO, attivisti e filantropi si mescolano per parlare di futuro. È la Climate Week più grande di sempre, con oltre mille eventi e un entusiasmo che sorprende persino gli organizzatori. Ma dietro la vitalità di Manhattan si cela un paradosso: mentre la città si accende di impegni e promesse, i governi che dovrebbero guidare la transizione restano fermi al palo.

Un’edizione da record

Dal 2009, la Climate Week accompagna l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come una sorta di forum parallelo, meno istituzionale, ma sempre più influente. Nel 2025 tocca il suo apice: più di 1.000 eventi, quasi il 20% in più rispetto l’anno scorso. Per la prima volta, la partecipazione supera ogni aspettativa in un contesto politico dominato da segnali regressivi.

L’amministrazione statunitense ha scelto di rilanciare il settore fossile, smantellare normative ambientali e tagliare fondi per la ricerca sul clima. Uno scenario che avrebbe potuto scoraggiare. Invece, ha prodotto l’effetto opposto: una mobilitazione massiccia di aziende, fondazioni e società civile.

“Ci chiedevamo se la gente si sarebbe presentata,” confessa Helen Clarkson, CEO del Climate Group. “In realtà, c’è un entusiasmo enorme”.

La società civile prende il testimone

A spiegare questa vitalità è Christiana Figueres, ex capo delle Nazioni Unite per il clima e architetta dell’Accordo di Parigi del 2015. “Dieci anni fa erano i governi a trainare l’agenda climatica. Oggi il traino arriva da stakeholder, dall’economia reale, dai mercati”.

Questa inversione di ruoli è evidente. Aziende come Climeworks, pioniera nella cattura del carbonio, hanno quadruplicato la loro presenza rispetto al 2024. “La domanda per la rimozione di CO₂ è in costante crescita” spiega il co-CEO Christoph Gebald. “E l’interesse da parte dei vertici aziendali è più alto che mai”.

Dietro i numeri c’è un messaggio politico chiaro: quando gli Stati arretrano, altri soggetti si organizzano per riempire il vuoto.

Governi in ritirata, potenze emergenti in avanzata

La Climate Week si svolge in parallelo alla General Assembly dell’ONU, dove il segretario generale António Guterres ospita un summit dedicato al clima. Eppure, gli storici protagonisti – Stati Uniti ed Europa – scelgono il silenzio. Nessun nuovo target, nessuna ambizione rinnovata.

Sono, invece, i Paesi emergenti a prendersi la scena. La Cina si prepara ad annunciare un piano di riduzione delle emissioni, anche se i dettagli rischiano di deludere. Il Brasile, che ospiterà la COP30, ha assunto un ruolo di leadership, nel tentativo di costruire un’agenda credibile a livello globale.

L’Europa, un tempo faro di ambizione, oggi appare divisa. Pur avendo già ridotto le emissioni del 54% rispetto ai livelli del 1990 fatica a trovare coesione per alzare ulteriormente l’asticella. “Siamo solo il 6% delle emissioni globali” osserva il ministro danese Lars Aagaard. “Ora tocca a tutti gli altri”.

Aziende tra promesse e realtà

Più della metà delle grandi multinazionali ha promesso di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Ma dietro le dichiarazioni altisonanti si nasconde un vuoto inquietante. Secondo un’analisi del TPI Global Climate Transition Centre della London School of Economics, il 98% delle aziende non ha ancora presentato un piano concreto per allineare spese e investimenti ai propri obiettivi climatici.

Il rischio è quello di un greenwashing sistemico: slogan e campagne reputazionali da un lato, modelli di business ancora dipendenti da energia fossile e supply chain inquinanti dall’altro. È il grande nodo di credibilità che Climate Week deve affrontare se vuole trasformarsi in qualcosa di più di un festival di buone intenzioni.

Cooperazione internazionale: la domanda dal basso

“La vera sfida è immaginare nuove forme di cooperazione” afferma Rajiv Shah, presidente della Rockefeller Foundation. Non si tratta solo di far incontrare CEO e attivisti, ma di ridisegnare gli strumenti stessi con cui il mondo affronta minacce comuni.

Un sondaggio globale promosso dalla fondazione fotografa il sentimento comune: l’86% della popolazione mondiale considera la cooperazione internazionale cruciale per combattere la crisi climatica. È un consenso senza precedenti, che però non trova ancora corrispondenza nelle diplomazie.

L’inerzia dei governi, l’urgenza del futuro

Climate Week 2025 mostra un paradosso potente. Mentre i governi arretrano, l’energia della società civile e delle aziende cresce come non mai. Più eventi, più partecipazione, più investimenti: Manhattan diventa per una settimana la capitale di un mondo che non vuole arrendersi.

Ma l’entusiasmo, da solo, non basta. Senza obiettivi vincolanti, senza politiche chiare e senza un coordinamento globale, il rischio è che le promesse restino confinate nei grattacieli di New York.

Il futuro del clima si giocherà sulla capacità di trasformare questa energia in azione e di passare da panel e cocktail party a impegni concreti. Non si tratta più di scegliere se agire, ma di decidere se la politica saprà affiancare la società civile prima che sia troppo tardi.

In un mondo che si scalda, l’inerzia non è più neutrale: è una scelta.

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