La NASA riduce missioni, budget e ambizioni del programma Starliner dopo anni di ritardi, problemi tecnici e un confronto sempre più impari con SpaceX.
Il prossimo volo verso la ISS sarà senza equipaggio, mentre il contratto Boeing perde 768 milioni di dollari e il ruolo di Starliner nel panorama spaziale americano appare più incerto che mai.
Una decisione che cambia gli equilibri dello spazio americano
È una di quelle decisioni che arrivano come una fessura nel muro: piccola, all’inizio, ma capace di cambiare un intero paesaggio. La NASA ha scelto di ridurre drasticamente il programma Boeing Starliner, tagliando missioni, fondi e ambizioni.
Non è un fulmine a ciel sereno, ma piuttosto l’epilogo provvisorio di un percorso segnato da problemi tecnici, fallimenti operativi e una competizione che, nel frattempo, ha premiato l’unico vero protagonista di questi anni: SpaceX.
Il dettaglio più evidente e simbolico è che la prossima missione, prevista per il 2026, volerà senza equipaggio. Starliner, la capsula nata per riportare gli astronauti americani nello spazio senza dipendere dai russi, verrà trattata come un cargo.
Il fallimento del 2024 e quei propulsori che si sono spenti al momento sbagliato
La crisi era iniziata mesi prima.
Durante il primo volo con astronauti nel 2024, un test attesissimo, tutto sembrava procedere in modo nominale. Finché no.
Avvicinandosi alla ISS, diversi propulsori del sistema di controllo si sono spenti senza preavviso, costringendo gli astronauti Butch Wilmore e Suni Williams a una permanenza forzata sulla Stazione Spaziale che si è trasformata in un soggiorno di nove mesi.
In un settore in cui ogni vite, ogni linea di codice, ogni micro-componente deve funzionare in condizioni estreme, l’incidente è apparso come la conferma di un problema più profondo: un programma sofisticato ma fragile, ambizioso ma rallentato da difetti strutturali.
Un contratto ridimensionato: miliardi che evaporano, opportunità che scivolano
Quando Boeing firmò il contratto con la NASA, nel 2014, l’accordo aveva il sapore dell’ottimismo industriale. Valore complessivo: 4,5 miliardi di dollari. Sei missioni operative, una capsula “gemella” rispetto a Dragon, un sistema ridondante per garantire autonomia agli Stati Uniti.
Dieci anni dopo, lo scenario è capovolto.
La NASA ha ridotto il numero totale di missioni da sei a quattro, di cui:
- solo tre con equipaggio
- una completamente priva di astronauti
- due aggiuntive che restano “opzionali”
Il taglio al valore complessivo è di 768 milioni di dollari, portando il contratto a 3,732 miliardi.
E mentre Boeing cerca di rassicurare il pubblico i numeri raccontano un’altra storia: un programma che fatica a mantenere la sua promessa originaria.
La rivalità con SpaceX: un confronto diventato impietoso
C’è un altro attore sullo sfondo, ed è impossibile ignorarlo: SpaceX.
Dal primo volo con equipaggio nel 2020, la capsula Dragon è diventata il cavallo di battaglia della NASA, accumulando missioni, affidabilità, minuti di esperienza in orbita e un rapporto di fiducia quasi simbiotico con l’agenzia spaziale.
Non solo Dragon vola, ma vola spesso.
Starliner, invece, vola poco e malvolentieri.
I ritardi della capsula Boeing hanno obbligato la NASA ad assegnare missioni aggiuntive a SpaceX, garantendo alla società di Musk un ruolo dominante almeno fino al ritiro della ISS nel 2030.
Il rischio per Boeing è evidente: diventare la seconda scelta in un settore in cui il secondo posto può significare irrilevanza.
La NASA non può permettersi un solo veicolo americano
Nonostante tutto, la NASA continua a sostenere Starliner.
E non per benevolenza industriale, ma per necessità strategica.
Dipendere da un’unica capsula, seppure affidabile, significa esporsi a rischi sistemici: un incidente, un problema tecnico, un grounding improvviso e gli Stati Uniti si ritroverebbero a dipendere di nuovo dalla Russia.
Per questo l’agenzia insiste su un punto: servono due sistemi indipendenti.
Anche se uno dei due, oggi, è più un cantiere che una soluzione.
Starliner come futura capsula commerciale? Un’idea ancora lontana
Boeing immagina un futuro in cui Starliner servirà le stazioni spaziali commerciali che, nelle intenzioni delle aziende private, dovrebbero prendere il posto della ISS. È una visione affascinante, ma remota.
La verità, almeno oggi, è più semplice: Starliner deve prima dimostrare di poter svolgere la sua missione primaria senza problemi.
Il resto — mercato commerciale, collaborazione con stazioni private, trasporto turistico — è un racconto che verrà.
L’innovazione spaziale non e’ un percorso lineare
Il ridimensionamento del programma Starliner non è solo una nota tecnica nel bilancio NASA.
È un promemoria, forse brusco, del fatto che l’innovazione spaziale non è un percorso lineare.
Ci sono accelerazioni improvvise, come quella di SpaceX.
E ci sono inciampi, come quelli di Boeing.
Ma c’è anche una terza cosa: la consapevolezza che il futuro dell’esplorazione spaziale non sarà deciso da una singola azienda, bensì da una costellazione di attori pubblici e privati, che devono imparare ad avanzare insieme, coordinati nella stessa orbita.
Starliner potrà ancora trovare il suo posto.
O resterà un promemoria del passato, di un’epoca in cui i giganti industriali credevano di poter dettare il ritmo dell’innovazione.
Il prossimo volo, senza equipaggio, sarà più di un test: sarà un giudizio.
E da quel giudizio dipenderà se Starliner tornerà protagonista o se verrà ricordato come la più grande occasione mancata dell’aerospazio americano contemporaneo.