Mongolia, dal carbone al cloud: il Fondo Sovrano Chinggis Khaan punta su data center verdi e governance trasparente

| 08/10/2025
Mongolia, dal carbone al cloud: il Fondo Sovrano Chinggis Khaan punta su data center verdi e governance trasparente

Con 1,4 miliardi di dollari di dotazione iniziale, la Mongolia accelera su infrastrutture digitali, rinnovabili e redistribuzione: un test di politica industriale che intreccia economia, diritto dell’innovazione e geopolitica.

La Mongolia, vasta quanto l’Europa occidentale, ma con appena 3,5 milioni di abitanti, prova a cambiare pelle. Dopo anni di crescita agganciata al ciclo delle commodity, Ulaanbaatar mette in cantiere una strategia che unisce finanza pubblica “di scopo”, infrastruttura digitale e transizione energetica. Al centro c’è il Chinggis Khaan Sovereign Wealth Fund: istituito per legge nell’aprile 2024, oggi gestisce 1,4 miliardi di dollari e si candida a trasformare rendite minerarie in servizi di calcolo “green”, reti, welfare e trasparenza verso i cittadini. L’orizzonte non è solo economico: data center alimentati da rinnovabili, zone speciali come Hunnu City, un’app pubblica per controllare in tempo reale come vengono allocati i proventi e una governance di tipo “Singapore–Norvegia” nelle intenzioni dei promotori.

Perché adesso: il boom della domanda di calcolo e il nuovo vincolo energetico

Il ciclo dell’intelligenza artificiale ha innescato una corsa globale a capacità di calcolo, potenza elettrica e connettività. Secondo Goldman Sachs Research, la domanda elettrica dei data center potrebbe crescere del 50% entro il 2027 e fino al 165% entro il 2030 (vs 2023), con una pressione senza precedenti su reti e generazione. È un cambio di scala che ridisegna la mappa della localizzazione industriale: conta il costo e l’affidabilità dell’energia, la disponibilità di aree fredde (per il raffreddamento), la resilienza regolatoria. La Mongolia mette sul tavolo clima, spazi, vento e sole del Gobi, più un costo fondiario competitivo. Per chi costruisce regioni cloud, l’arbitraggio energetico e climatico è tornato la variabile che decide investimenti miliardari.

L’architettura del Fondo: tre tasche, una regola d’oro e un’app per la trasparenza

Il Chinggis Khaan Fund è progettato con una struttura tripartita: un Future Heritage Fund per gli investimenti di lungo termine all’estero, un Development Fund per infrastrutture strategiche e un Savings Fund per interventi sociali diretti, integrati con i servizi digitali di E-Mongolia. Proprietà di Erdenes Mongol (holding statale mineraria), supervisione del Ministero delle Finanze, indipendenti nel board e advisor esterni in arrivo: un impianto che replica best practice note ai mercati istituzionali. Nella fase di avvio, la dotazione è gestita in modo conservativo e con lock-up fino al 2030, mentre la politica d’investimento è in consultazione e verrà finalizzata nel 2026. La promessa più dirompente è però l’app pubblica: ogni cittadino potrà verificare, voce per voce, fonti, allocazioni e benefici. Se funzionerà, non è solo finanza: è accountability-by-design.

Dalla steppa alla “cloud region”: Hunnu City e l’idea di una zona speciale digitale

La visione industriale prevede zone economiche speciali per colocation e hyperscale, con Hunnu City come città smart a basso impatto ambientale: masterplan internazionale, criteri “green & smart”, funzioni da free economic zone, connettività in fibra e accesso prioritario a capacità rinnovabile e storage. Qui la Mongolia conta di integrare raffreddamento climatico naturale, PPA rinnovabili, sistemi di accumulo e regole pro-investimento. I vantaggi climatici sono reali; la sfida è backhaul internazionale e interconnessioni affidabili verso i mercati finali.

Energia: dal 18,3% al 30% rinnovabili entro il 2030, tra aste, storage e rete

I numeri fissano la rotta: 18,3% della capacità installata era rinnovabile nel 2023, con quota di produzione intorno al 9–10%; obiettivo 30% al 2030. A supporto, a Davos è stato annunciato l’accordo con EBRD per sviluppare fino a 300 MW solari e 200 MW eolici (con storage e infrastrutture di trasmissione) entro il 2028, con meccanismi d’asta e assistenza sulle strategie low-carbon. Sulla carta, è l’ossatura che rende credibile una capacità di calcolo “verde” per i data center; nella pratica, serviranno tempi certi di connessione, gestione della curtailment e una cabina di regia unica tra fondo, Ministero dell’Energia, regolatore e utility.

La diplomazia dei dati: tra Russia e Cina, diversificazione come assicurazione strategica

Stretta tra Russia e Cina, la Mongolia ha elevato i legami con entrambi a partnership strategiche comprensive. L’economia è agganciata a Pechino, che assorbe la quota preponderante delle esportazioni: una dipendenza che funziona finché non si sovrappone a tensioni geopolitiche o restrizioni tecniche. In questo contesto, la scommessa data center non è solo industriale: è politica estera economica. Per ridurre il rischio di lock-in tecnologico, Ulaanbaatar corteggia investitori giapponesi, coreani ed europei, e prova a posizionarsi come hub neutrale per calcolo e export di energia “verde”. Una strategia credibile richiede accordi su protezione dei dati, sovranità digitale e interconnessioni che non dipendano da un unico vicino.

Politica interna: protesta anti-corruzione, caduta del premier e la ricostruzione della fiducia

Nel 2025 le proteste anti-corruzione a Ulaanbaatar hanno innescato la sfiducia parlamentare e le dimissioni del premier Oyun-Erdene. È un passaggio che pesa sul rischio-Paese e che spiega l’enfasi del Fondo su regole, audit e trasparenza transazionale verso i cittadini. Senza credibilità interna, nessun progetto di lungo periodo regge; con essa, invece, l’ecosistema digitale-energetico può attrarre capitale privato su orizzonti pluriennali. La lezione è chiara: il capitale reputazionale vale quanto (e più di) quello finanziario.

Rischi industriali: rete, acqua, permitting. E come trasformarli in vantaggi competitivi

Gli investitori guarderanno tre fragilità. Primo, l’affidabilità di rete: l’infrastruttura elettrica mongola resta eterogenea e in parte obsoleta; la qualità del servizio dovrà risalire per sostenere carichi continui e picchi AI. Secondo, l’acqua: il raffreddamento è un tema globale e la pressione sugli acquiferi in aree aride si fa sentire; servono sistemi water-efficient (adiabatici avanzati, riuso acque reflue, free-cooling spinto) e trasparenza sui litri per MWh. Terzo, il permitting: tempi certi per rinnovabili, linee a 220 kV, storage e posa fibra. Sono fattori di rischio, ma anche vantaggi sfruttabili: se la Mongolia standardizza KPI (PUE, WUE, LCOE contrattualizzato, tasso di curtailment), offre visibilità regolatoria e pacchetti plug-and-play (terreno, grid-ready, PPA fisico/virtuale), può accorciare drasticamente il time-to-compute rispetto a molte giurisdizioni mature, oggi congestionate.

Minerali critici, rame e catene del valore: dal “sotto terra” ai rack

La traiettoria digitale non cancella il DNA estrattivo: lo integra. Il rame di Oyu Tolgoi – il più grande investimento estero del Paese – è esattamente il metallo “abilitante” per reti, trasformatori, server e cavi. Gli sviluppi recenti (acquisizione di Turquoise Hill da parte di Rio Tinto, crescita produttiva attesa) mostrano come upstream e digitale possano dialogare: la politica industriale deve fare in modo che parte del valore rimanga “on-shore” in forma di cluster tecnologici, manifatture leggere per l’ecosistema data center e servizi ingegneristici. Il Fondo, come anchor investor, può accelerare questa integrazione verticale morbida.

Cosa guarderanno gli investitori: KPI tecnici, contratti e diritto dell’innovazione

La “banca dati” che convince un investment committee non è uno slogan. È un term sheet solido: PUE garantito e migliorabile, WUE con soglie massime e piani di recupero/riuso, availability contrattuale, PPA (fisici o virtuali) con tenori 10–15 anni e indicizzazione chiara, diritti di wayleave e trenching per fibra, incentivi fiscali calibrati su CAPEX/opex e deroghe smart su dogane per apparecchiature critiche. Sul fronte giuridico, servono cornici di data protection interoperabili con standard UE/OCSE, clausole di sovranità dei dati per clienti pubblici e meccanismi ADR per le controversie. In sintesi: certezza del diritto e certezza del kilowattora.

Una roadmap credibile

Nei prossimi dodici mesi il Fondo Sovrano Chinggis Khaan affronterà la sua prima prova di concretezza. La priorità sarà la chiusura della policy d’investimento, un documento chiave che definirà la strategia d’allocazione, i criteri ESG e le soglie di rischio accettabili. In parallelo, il governo prevede di varare il primo ciclo di aste per la capacità rinnovabile, sostenuto da un backstop finanziario multilaterale — una garanzia economica che riduca il rischio percepito dagli investitori stranieri e dia segnali di stabilità regolatoria.
Contestualmente dovrebbero prendere forma due progetti pilota, concepiti come dimostratori industriali: uno dedicato alla colocation, per ospitare imprese locali e regionali, e uno hyperscale, orientato a partner cloud internazionali, entrambi sostenuti da Power Purchase Agreement dedicati che assicurino prezzo e continuità dell’energia verde.

Cosa accadra’ nel secondo anno

Nel secondo anno, la tabella di marcia punta al completamento delle prime dorsali di trasmissione elettrica e ai sistemi di storage utility-scale, elementi indispensabili per stabilizzare la rete e garantire continuità ai data center. In questa fase la Mongolia mira ad accogliere un operatore cloud globale e un integratore di fibra ottica neutral-host, capace di connettere i nuovi poli digitali con le reti transfrontaliere verso la Cina e la Russia, ma anche con i futuri sbocchi verso Corea e Giappone.

Gli obiettivi del terzo

Entro il terzo anno, l’obiettivo è più ambizioso e simbolico: Hunnu City dovrà essere pienamente operativa, con il suo primo campus di data center attivo, ridondanza di rete garantita e una reportistica ESG accessibile via app pubblica. In questa fase, il governo punta a superare quello che gli analisti definiscono il kitchen-sink test: nessun blackout, livelli di SLA (Service Level Agreement) rispettati, indicatori di efficienza idrica (WUE) sotto le soglie internazionali e audit indipendenti pubblicati senza riserve.
Solo allora, la Mongolia potrà dimostrare di non aver costruito un sogno tecnologico sulla sabbia, ma una piattaforma reale, funzionante e trasparente, capace di trasformare le promesse di diversificazione in infrastruttura, fiducia e nuova identità economica.

La grande scommessa della fiducia

La Mongolia non sta semplicemente costruendo data center. Sta tentando una ingegneria istituzionale in cui capitale naturale, capitale finanziario e capitale civico si tengono insieme. Se il Chinggis Khaan Fund riuscirà a mantenere le promesse di trasparenza, a far correre le rinnovabili al ritmo delle GPU e a distribuire una quota tangibile dei benefici, il Paese potrà passare dal carbone al cloud senza perdere coesione sociale. In caso contrario, resterà l’ennesimo progetto fermato tra permitting, volatilità politica e reti inadeguate.

La differenza la farà una cosa semplice e difficilissima: la fiducia. È il moltiplicatore che trasforma 1,4 miliardi in un ecosistema e che persuade i capitali pazienti a restare per un decennio. Se Ulaanbaatar saprà garantirla – nelle leggi, nei contratti, nei chilowattora e nelle bollette dei cittadini – non diventerà solo un luogo dove si ospita calcolo: diventerà un Paese che crea valore, lo governa e lo condivide. E in un’epoca in cui l’energia decide la geografia dei dati, questo potrebbe essere il vero vantaggio competitivo della steppa.

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