Meta chiude i social agli under 16 in Australia

RedazioneRedazione
| 19/11/2025
Meta chiude i social agli under 16 in Australia

Dal 10 dicembre Instagram, Facebook e Threads diventeranno off-limits per gli under 16 australiani. Una scelta che ridisegna rapporti di forza, responsabilità e, forse, anche la nostra idea di adolescenza digitale.

Meta, Australia e un “no” che vale più di mille policy

A volte non è una nuova tecnologia a cambiare le regole del gioco, ma un divieto.
Un gesto secco: basta così.

È quello che accadrà in Australia, dove Meta chiuderà l’accesso ai minori di 16 anni su Instagram, Facebook e Threads. Non una minaccia, non un test: un’operazione reale, scandita in giorni, ore, notifiche.

E per quanto la notizia possa sembrare una parentesi regionale, il sottotesto è enorme: un governo ha imposto a una Big Tech di bloccare una fascia d’età. E la Big Tech ha detto sì.

È qui, forse, che comincia una nuova fase dell’ecosistema digitale globale.

Un conto alla rovescia che si fa sentire

Meta ha iniziato a muoversi con una velocità insolita.
Messaggi in-app, email, SMS: “Sappiamo che potresti avere meno di 16 anni. Il tuo account verrà disattivato”.
Tono cortese, ma definitivo.

Il calendario è serrato:

  • Già ora: partono le notifiche ai ragazzi tra i 13 e i 15 anni
  • 4 dicembre: inizia la disattivazione vera e propria e stop alle nuove registrazioni under 16
  • 10 dicembre: blackout totale.

Secondo l’autorità internet australiana, parliamo di qualcosa come 150.000 utenti Facebook e 350.000 utenti Instagram sotto i 16 anni. Non numeri da colosso globale, certo, ma nemmeno irrilevanti se si considera il segnale politico.

Uno Stato ha detto: “Non vogliamo minori di 16 anni sui social”.
Le piattaforme, almeno per ora, hanno accettato l’imposizione senza contestarla.

L’età digitale non è un numero: è un algoritmo che scruta

Meta userà una serie di tecniche di age assurance: analisi dei dati dichiarati, coerenza interna degli account, strumenti più sofisticati in caso di sospetto.
Un mosaico di verifiche che, in realtà, racconta quanto sia difficile stabilire l’età di qualcuno online senza invadere la privacy.

Ed è proprio qui che Meta sottolinea la sua promessa: chiederemo il minimo indispensabile di informazioni aggiuntive.
Una frase che sembra innocua, eppure dice molto.
In un mondo dove la raccolta dati è spesso illimitata, rivendicare la minimizzazione è una scelta politica prima che tecnica.

Antigone Davis, responsabile globale della sicurezza, parla di un lavoro “multilayered”, continuo. Una sorveglianza gentile, ma pur sempre una sorveglianza.

Cosa succede ai ragazzi: identità sospesa, non cancellata

I teenager coinvolti potranno:

  • scaricare i propri dati (foto, chat, ricordi, tutto)
  • aggiornare i recapiti per essere riammessi una volta compiuti 16 anni
  • decidere di cancellare l’account.

È una pausa più che una fine.
Un’interruzione forzata, non una rottura definitiva.

Ma resta una domanda che va oltre la tecnologia:
che cosa significa togliere improvvisamente uno spazio sociale a un’intera fascia di adolescenti?
Soprattutto se è lo spazio dove, piaccia o no, costruiscono pezzi di identità, di relazione, di immaginario.

La legge non risponde a questo. Cerca di proteggere, certo. Ma non colma il vuoto.

Perché tutti guardano l’Australia

La legge australiana è una delle più radicali mai sperimentate: obbliga le piattaforme a impedire ai minori di 16 anni di avere un account. E fissa multe pesantissime: fino a 49,5 milioni di dollari australiani.

È un modello che potrebbe essere imitato oppure temuto.
Negli Stati Uniti, in Europa, nel Regno Unito, il dibattito è aperto da anni: tra chi denuncia gli effetti nocivi dei social sui più giovani e chi teme un paternalismo digitale che rischia di infantilizzare intere generazioni.

L’Australia ha scelto. Gli altri ora osservano. E prendono appunti.

Protezione o eccesso di controllo? Il confine che nessuno riesce a definire

Le motivazioni sono comprensibili: gli studi sul benessere mentale degli adolescenti non sono rassicuranti e la correlazione tra uso intensivo dei social e disturbi emotivi è un tema che nessun governo può ignorare.

Ma c’è un rovescio della medaglia.
Bloccare l’accesso ai social non elimina il bisogno di relazione, di sperimentazione, di spazio.
Rischia solo di spostarlo altrove.
Verso piattaforme non regolamentate, servizi nascosti, gruppi chiusi. Dove la tutela non esiste.

Il punto, forse, è che un divieto è facile.
La costruzione di una vera cultura digitale, per famiglie, scuole, ragazzi, lo è molto meno.

L’effetto domino: se Meta cede qui, cosa succede altrove?

Per Meta, questo è un banco di prova.
Dimostrare di poter rispondere rapidamente a una legge nazionale rafforza la narrativa della responsabilità.
Ma apre anche un precedente: se un Paese può imporre un divieto totale per una fascia d’età quanti altri potrebbero farlo?

E soprattutto: quanto costa, in termini di infrastruttura, verifiche, compliance continua?

Le piattaforme hanno costruito modelli pensati per essere globali, universali.
Le leggi nazionali stanno frantumando questa idea pezzo dopo pezzo.

L’inizio di una nuova adolescenza digitale?

L’Australia ha preso una decisione che lascia poco spazio alle interpretazioni.
È una scelta protettiva, certo.
Ma anche profondamente politica.

Non sappiamo se questo esperimento renderà i ragazzi più sicuri o più vulnerabili.
Se creerà un precedente virtuoso o un boomerang normativo.
Se sarà imitato o isolato.

Sappiamo, però, che segna una linea: la stagione dell’accesso illimitato è finita.
E che il futuro dell’adolescenza digitale si giocherà sulla capacità di bilanciare libertà, protezione e responsabilità, non solo delle piattaforme, ma anche delle istituzioni, dei genitori, di noi stessi.

Forse, guardando indietro, ricorderemo dicembre come il momento in cui l’infanzia e l’adolescenza hanno smesso di essere lasciate sole nel mare aperto dei social.
O magari come il momento in cui abbiamo scoperto che il mare, semplicemente, si sposta altrove.

La vera domanda, la più difficile, resta sospesa:
in che mondo digitale vogliamo che crescano i nostri figli e chi sarà davvero disposto a prendersene carico?

Barberio & Partners s.r.l.

Via Donatello 67/D - 00196 Roma
P.IVA 16376771008

Policy
Privacy Policy
Cookie Policy
Termini e Condizioni
iscriviti alla nostra newsletter
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e la Informativa sulla Privacy di Google, nonché i Termini di Servizio sono applicabili.