María Corina Machado: l’incubo di Maduro, la speranza del Venezuela

| 11/10/2025
María Corina Machado: l’incubo di Maduro, la speranza del Venezuela

In un Paese dilaniato da crisi economiche, repressione e disperazione, una donna ha scelto di restare e parlare, contro ogni logica di potere. María Corina Machado non è solo un’oppositrice: è un segno che un’altra storia è possibile.

Ha sfidato intimidazioni, divieti e perfino l’oblio forzato. Eppure, in ogni villaggio dimenticato, in ogni strada della capitale, la sua presenza rianima una memoria collettiva sopita. La sua lotta non è solo politica: è un risveglio della dignità venezuelana.

Un paese in attesa di risveglio

Il Venezuela che María Corina Machado affronta non è un’entità astratta: è un territorio consumato dalla fuga, scosso da alluvioni di povertà e segnato da un senso annichilito di smarrimento. Qui, strade dissestate, ospedali che chiudono i battenti e supermercati vuoti non sono scenari da passato remoto, ma la quotidianità di milioni di cittadini.
In questo Paese che sembra aver smarrito la parola futuro, María Corina Machado diventa un elemento di discontinuità. Non porta solo la denuncia: rilancia un’idea collettiva di patria che non si misura in confini, ma in relazioni, memoria e possibilità.

Quando parla di Venezuela, non vede terra o petrolio: vede persone, le nuove generazioni che non conoscono che la miseria, le madri che hanno perso i figli durante le migrazioni, gli anziani rimasti isolati. È con queste storie che ricostruisce, pezzo dopo pezzo, la stoffa di una Nazione.

Le origini di una ribellione lucida

In una Caracas ancora plasmata dalle speranze democratiche degli anni Ottanta, María Corina Machado cresce respirando tensioni politiche e divari sociali. Figlia di una classe benestante, avrebbe potuto voltare lo sguardo altrove. Invece, da giovane, comincia a interrogarsi: perché chi ha tutto può isolarsi, mentre chi non ha nulla ha bisogno di parlare?
La scelta di studiare ingegneria industriale non è disgiunta dalla politica: lei studia sistemi, processi, efficienza, ma dentro di sé matura la convinzione che la macchina statale vada riallineata all’etica e al servizio civile.

Quando fonda l’associazione Súmate, non lo fa come gesto simbolico: lo fa in un momento in cui il chavismo tendeva ad azzerare ogni spazio critico. Súmate diventa uno strumento concreto di cittadinanza attiva: segnalare brogli, verificare liste, educare al voto. Quell’azione le costa l’essere dichiarata “traditrice” dal potente Chávez; le vale il marchio dell’irriducibilità. Ed è da quel conflitto che nasce il suo stile: un’opposizione radicale, ma non distruttiva, che pretende un Venezuela diverso senza distruggere la società che ha resistito al disfacimento.

La solitudine del coraggio

Non è semplice stare in piedi, da soli, quando tutto ti urla di chinare la testa. Ma María Corina Machado non si piega. Quando viene espulsa dall’Assemblea Nazionale — quell’istituzione che dovrebbe essere la casa di ogni voce — non fugge. Restare diventa la scelta più potente.
La solitudine in cui si muove è visibile: nei suoi sguardi stanchi, nelle mani che stringono biglietti di viaggio mai fatti, nelle notti in cui sogna la libertà di un Paese. È una solitudine che somiglia a responsabilità: un peso di rappresentanza che trascende il singolo.

Eppure, in quella solitudine, trova – curioso a dirsi – comunione. Perché molti venezuelani stanno soli nelle loro case, in quartieri abbandonati, col fiato corto. Quando María Corina Machado arriva lì, la sua presenza dà voce a quell’isolamento. Si fa ponte tra solitudini invisibili.

Rinascita dalle macerie

Non esiste rinascita forte e duratura se non parte dalle fondamenta. Lei lo ha capito: non basta attaccare il potere; bisogna rigenerare la comunità.
Così, percorre centinaia di miglia, tra montagne e pianure, bussando a porte dimenticate, entrando in case sfitte, ascoltando chi ha perso tutto. Dietro ogni volto riconosce una domanda: “Che cosa resta da sperare?” E la sua risposta non è promessa, ma invito.

Le primarie del 2023 non sono state una gara: sono state un momento di referendum morale. Con decine di migliaia di cittadini, in posti dove l’elettricità manca e la posta non arriva, María Corina Machado ha mobilitato più che voti: ha mobilitato coscienze.
E quando il regime ha cercato di cancellarla — impedendole la candidatura, nascondendo il suo nome — il tentativo è fallito: il sentimento che aveva generato aveva già superato le urne.

Il potere della parola

In un regime democratico ceduto al culto dell’immagine e del silenzio, María Corina Machado ha scelto la verità come arma. Non la verità diplomatica, ma quella rumorosa, che sa di pelle, fame e memoria.
Quando pronuncia “libertà”, non invoca un’idea astratta: evoca i corpi che hanno pagato il prezzo del silenzio. Quando pronuncia “giustizia”, non chiede rinunce, chiede riconoscimento per chi è stato calpestato.

Con il suo linguaggio, ha risposto allo spaesamento nazionale. Ha preso il frammento e lo ha restituito al coro. Ha preso le migliaia di silenzi e ne ha fatto resistenza.
E quando una persona la interrompe con una domanda dura, lei sorride, riflette, risponde, non con formule, ma con empatia. È così che seminano parole e crescono movimenti.

Oltre la politica: la rivoluzione della dignità

María Corina Machado rifiuta quella che chiama “politica del risarcimento”. Non promette ricompense, assistenza distribuita dall’alto, compensazioni. Sostiene che la vera rivoluzione è quando ogni cittadino riprende il controllo — non del palazzo presidenziale, ma della propria esistenza.
Vuole un Venezuela in cui lo Stato non sia padrone, ma garante; in cui gli individui non siano spettatori, ma protagonisti. Questo progetto non si misura in decreti, ma in cittadini che riaprono le scuole, che fotografano il buco dell’asfalto, che denunciano, che ricostruiscono.

La sua visione non riguarda solo il Venezuela: è una provocazione morale al resto dell’America Latina, dove molti governi si danno culto del consenso, ma ignorano la dignità. María Corina Machado ci ricorda che la libertà è fragile: va curata ogni giorno. E che quella che resiste non è la migliore propaganda, ma la coerenza della parola incarnata.

Il riconoscimento globale: un Nobel per la resistenza civile

Quando María Corina Machado ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, la notizia ha attraversato il mondo come una scossa silenziosa. Non era solo un riconoscimento personale, ma un atto politico, un modo con cui la comunità internazionale restituiva voce a un popolo dimenticato.
Il Comitato norvegese ha motivato la scelta con parole che hanno riecheggiato a lungo: “Per la sua instancabile difesa dei diritti civili e della libertà politica in Venezuela, per la sua lotta nonviolenta contro la repressione e per aver restituito dignità alla partecipazione democratica in America Latina.”

María Corina Machado, durante la cerimonia di consegna a Oslo, non ha parlato di sé. Ha parlato del popolo venezuelano, di “otto milioni di assenti che non hanno mai smesso di appartenere alla patria”. Ha dedicato il premio “a chi ha resistito senza armi, a chi ha scelto la parola quando era più facile scegliere la paura”.
Il suo discorso è stato un manifesto etico, più che politico: un richiamo al coraggio di dire la verità in tempi di menzogna.
E mentre riceveva l’applauso della platea, milioni di venezuelani hanno percepito che quel riconoscimento non era per lei soltanto, ma per una intera Nazione che da anni vive tra oscurità e speranza.

Il Nobel non ha risolto la crisi venezuelana, ma ha spostato il suo racconto: da tragedia interna a causa globale. Da ieri, il Venezuela è tornato sulla mappa morale del mondo e il volto di María Corina Machado si è trasformato in quello di una generazione che ha scelto la resistenza come forma di sopravvivenza civile.

Un popolo sospeso tra esilio e ritorno

Non si muovono solo corpi: si spostano identità. Otto milioni di venezuelani vivono all’estero, spesso invisibili, con documenti scaduti, lingue nuove, ricordi offuscati.
Eppure, la figura di María Corina Machado li richiama. Non come leader lontana, ma come referente esistenziale: qualcuno che può ascoltare la nostalgia e convertirla in partecipazione politica.
Negli studi universitari di Bogotá, nelle chiese di Madrid, nelle chat messicane dei migranti, c’è chi invoca il suo nome, chi condivide i suoi video, chi accende una torcia virtuale in memoria della patria.

Il ritorno che lei auspica non è solo fisico: è rigenerativo. È quando quei milioni ricostruiscono legami che la politica interna non sa più fare. È quando la diaspora diventa risorsa, non fuga.

Il futuro come atto di fede civile

María Corina Machado probabilmente non sarà mai ufficialmente presidente. Non è certo che lo Stato venezuelano la candiderà o la riconoscerà. Ma con certezza è possibile dire che ha già mutato qualcosa di irreversibile: ha restituito al Venezuela la grammatica della libertà.
Ha riportato alla luce vocaboli essenziali: verità, coraggio, dignità. In un’epoca dilaniata da menzogna e disillusione, il semplice fatto di parlare resta un atto sovversivo.
Il suo lascito non si misura in mandati, ma in coscienze. In generazioni che imparano a resistere come pratica quotidiana, non solo come gesto eroico.
E quando, un giorno, il Venezuela tornerà a respirare, non sarà il risultato di un colpo di Stato. Sarà l’eclissi dell’oblio, l’alba di un popolo che si è ricordato di valere.
Perché in un mondo che cerca silenzi, María Corina Machado ha scelto la voce. E quella voce — fragile, umana — potrebbe mutare la storia.

Barberio & Partners s.r.l.

Via Donatello 67/D - 00196 Roma
P.IVA 16376771008

Policy
Privacy Policy
Cookie Policy
Termini e Condizioni
iscriviti alla nostra newsletter
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e la Informativa sulla Privacy di Google, nonché i Termini di Servizio sono applicabili.