L’illusione fiscale di Parigi: come la Francia rischia di perdere la sua sovranità economica

RedazioneRedazione
| 07/10/2025
L’illusione fiscale di Parigi: come la Francia rischia di perdere la sua sovranità economica

Il dossier Le Chiffre – Revue des finances publiques n. 08/2025, pubblicato dal Ministero dell’Economia, mette nero su bianco i limiti del modello francese: deficit oltre il 5 % del PIL, debito sopra il 115 % e una spesa pubblica che resta la più alta d’Europa.
Dietro le cifre, si delinea la questione centrale del nostro tempo: può una potenza economica mantenere la sua influenza globale continuando a finanziare il consenso interno a debito?

Nel lessico tecnico di Le Chiffre, ogni parola pesa come un verdetto.
Il documento ammette che la Francia si trova in una zona di vulnerabilità inedita: debito pubblico al 115,5 % del PIL, deficit strutturale a –4,8 %, e una spesa pubblica che sfiora il 57 % dell’intera economia.
Numeri che basterebbero a far scattare l’allarme in qualsiasi altra capitale europea.
Eppure Parigi, fedele al suo dna di potenza amministrativa, continua a considerare la spesa come leva identitaria e strumento politico, non solo economico.

Il problema non è l’entità del deficit, ma la sua natura: un disavanzo cronico, strutturale, alimentato da un sistema di welfare generoso, da un apparato pubblico ridondante e da un modello economico in cui il capitale privato resta spesso subordinato allo Stato.
Nel breve periodo, questa architettura garantisce stabilità sociale. Nel lungo, erode la capacità dello Stato di finanziare innovazione, transizione energetica e investimenti strategici.

Oltre la contabilità: il significato politico del deficit

Il deficit francese non è un mero indicatore macroeconomico: è il prodotto di una scelta culturale.
La Francia ha costruito la propria modernità sull’idea che lo Stato sia garante del benessere collettivo, anche a costo di indebitarsi.
È una visione che affonda le radici nella Quinta Repubblica e nel “dirigisme” economico di metà Novecento, quando la spesa pubblica era sinonimo di progresso e sovranità.

Oggi però, quel modello mostra le sue crepe.
Con i tassi in crescita e i vincoli europei di nuovo in vigore, Parigi non può più considerare il debito una variabile secondaria.
Il ritorno della disciplina di bilancio a Bruxelles significa che la Francia dovrà ridurre il suo deficit strutturale di almeno mezzo punto di PIL all’anno per restare nella fascia di sicurezza.

Dietro le formule contabili si cela un dilemma politico: fino a che punto un Paese può sacrificare la propria capacità di spesa in nome della credibilità internazionale?
E soprattutto, quanta parte della sua identità può rinunciare a finanziare senza mettere a rischio la coesione sociale?

La spesa pubblica come specchio del modello francese

Nel 2025, la spesa pubblica francese ammonta a quasi 1.700 miliardi di euro.
Due terzi di questa cifra non generano crescita diretta: finanziano salari pubblici, pensioni, sussidi e prestazioni sociali.
La Francia destina oltre il 31 % del PIL al welfare, la quota più alta d’Europa.
È il cuore del suo contratto sociale, ma anche il suo limite.

Ogni tentativo di ridurre la spesa incontra barriere politiche e istituzionali.
Riformare le pensioni o ridurre i trasferimenti significa affrontare sindacati, categorie professionali, lobby regionali.
Il governo cammina su un crinale sottile: tagliare troppo rischia di destabilizzare il tessuto sociale; non tagliare affatto compromette la sostenibilità del bilancio.
È una tensione che nessun algoritmo macroeconomico può risolvere.

Il dossier Le Chiffre ricorda con chiarezza un principio spesso dimenticato: il debito non è solo un problema economico, ma un indicatore di fiducia.
Finché i mercati credono nella capacità di Parigi di onorare i propri impegni, la Francia resta una potenza finanziaria.
Se quella fiducia vacilla, anche un Paese con la più solida tradizione statalista può ritrovarsi vulnerabile.

Debito e sovranità: quando la finanza diventa geopolitica

Il debito pubblico francese non è più un tema domestico, ma una questione di sovranità geopolitica.
Oggi oltre un terzo dei titoli di Stato è detenuto da investitori esteri, in gran parte fondi sovrani asiatici e istituzioni internazionali.
Ciò significa che una quota crescente della stabilità economica nazionale dipende da decisioni prese fuori dai confini.

La Banca Centrale Europea, nel frattempo, ha iniziato a ridurre gli acquisti di titoli sovrani, riportando la Francia sul mercato globale dei capitali in un momento di tassi elevati.
Ogni punto di aumento del costo medio del debito equivale a circa 12 miliardi di euro l’anno in maggiori spese per interessi.
Una cifra che supera l’intero budget annuale della ricerca pubblica francese.

La “sovranità finanziaria” di Parigi è dunque più fragile di quanto appaia.
La capacità di difenderla passa non solo attraverso il rigore contabile, ma anche tramite una politica industriale intelligente, capace di generare valore aggiunto e attrarre capitale privato.
Un compito che richiede visione strategica, non solo misure tecniche.

Europa e disciplina: Parigi tra Bruxelles e la propria ombra

Il ritorno dei vincoli europei segna una svolta nel rapporto fra Parigi e Bruxelles.
Per anni la Francia ha invocato flessibilità, sostenendo che le sue spese per difesa, transizione energetica e coesione sociale meritassero un trattamento speciale.
Ma la stagione della “tolleranza espansiva” sembra finita.

Nel nuovo quadro europeo, ogni Paese deve presentare un piano di consolidamento credibile: riduzione del deficit, contenimento del debito e controllo della spesa.
La Francia, con il suo 115 %, non può più invocare eccezioni permanenti.

Questo riporta la politica economica al suo significato originario: fare scelte.
E per Parigi la scelta è tra due strade difficili:
– accettare la disciplina europea e sacrificare parte della sua autonomia di spesa, oppure
– mantenere il proprio modello sociale, a rischio però di isolamento nei mercati e perdita di fiducia istituzionale.

In entrambi i casi, la Francia dovrà ridefinire il concetto stesso di “grandeur”, adattandolo a un’epoca di risorse finite.

Le riforme che ancora mancano

Le Chiffre individua tre linee di intervento prioritarie, tutte note, ma sempre rinviate:

  1. Riformare la spesa sociale – razionalizzare pensioni e sussidi senza intaccare il principio di equità, rendendo il sistema sostenibile
  2. Rilanciare la produttività – alleggerire il costo del lavoro, sostenere l’innovazione e incentivare il capitale privato nelle regioni fuori da Parigi
  3. Riorganizzare la finanza locale – ridurre il debito degli enti territoriali e creare meccanismi di governance multilivello più trasparenti.

Il problema non è la mancanza di idee, ma di coraggio politico.
Le stesse raccomandazioni emergono da oltre un decennio di rapporti del Cour des comptes, ma vengono sistematicamente diluite da compromessi parlamentari e cicli elettorali ravvicinati.
Ogni governo promette di agire “quando la congiuntura lo permetterà”, ma la congiuntura non arriva mai.

La politica come ultima leva fiscale

In un contesto in cui la leva monetaria è neutra e la leva fiscale esausta, resta la leva politica.
Per uscire dalla stagnazione, la Francia dovrà ricostruire fiducia non solo nei numeri, ma nelle istituzioni.
Un piano di consolidamento credibile deve essere percepito come giusto, non solo necessario.
L’esperienza dei gilet gialli ha dimostrato che ogni tentativo di austerità senza consenso rischia di tradursi in protesta sociale.

La sfida è dunque duplice: riformare lo Stato senza tradirne la missione.
Trovare una nuova forma di “dirigisme democratico” — capace di conciliare rigore e protezione, competitività e solidarietà.
Solo in questo equilibrio, la Francia potrà tornare a essere non solo solvibile, ma anche ispirante.

2025: un test di verità per la Repubblica

Il 2025 non sarà un anno contabile, ma politico.
Con la pubblicazione di Le Chiffre, il governo francese ha messo in chiaro che il tempo dell’ambiguità è finito.
Ogni punto di PIL di spesa non sostenibile, ogni deficit rinviato, ogni riforma mancata si tradurrà in minore margine d’azione nei prossimi anni.

La Francia resta una delle grandi potenze del mondo sviluppato — un Paese con capitale umano elevato, un’industria avanzata e un sistema finanziario profondo.
Ma la sua vera forza si misurerà nella capacità di adattare la tradizione a un nuovo paradigma.
In un mondo dove la potenza si misura in credibilità, il bilancio diventa la vera Costituzione economica.

Il futuro come questione di volontà

Nel linguaggio impersonale delle tabelle di Le Chiffre si intravede una verità semplice: la crisi francese non è una crisi di risorse, ma di volontà.
Il Paese dispone ancora di un capitale sociale e produttivo enorme, ma fatica a mobilitarlo.
Le sue debolezze non derivano da ciò che non possiede, bensì da ciò che non osa cambiare.

Il futuro della Francia dipenderà meno dalle regole di Bruxelles o dai giudizi delle agenzie di rating, e più dalla capacità politica di reinventare la propria idea di Stato.
Se saprà farlo, potrà trasformare il debito in investimento e il rigore in innovazione.
Se non ci riuscirà, continuerà a pagare — anno dopo anno — il prezzo del potere.

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