Se l’Unione Europea decidesse di riallocare alla difesa le risorse non ancora utilizzate dal PNNR entro il 2026, il rischio per l’Italia sarebbe concreto. Le risorse che non siamo stati in grado di spendere potrebbero essere dirottate altrove, privando l’economia nazionale di un’opportunità cruciale per la modernizzazione e la crescita.
L’Unione Europea sta valutando la possibilità di destinare circa 93 miliardi di euro di fondi non spesi del Recovery Fund alla difesa comune europea. Secondo il Financial Times, questa decisione potrebbe rappresentare sì un punto di svolta per l’integrazione militare europea, ma solleva anche interrogativi cruciali per i singoli Stati membri, in particolare per l’Italia.
I 93 miliardi di euro di cui parla il Financial Times sono risorse formalmente a disposizione degli Stati membri nell’ambito del Recovery Fund (in particolare del Recovery and Resilience Facility, RRF), ma non ancora “prenotate” o richieste integralmente.
In altre parole, quando l’Unione Europea ha messo a disposizione i fondi per fronteggiare la crisi post-pandemica, ha predisposto una quota di sovvenzioni (grants) e una di prestiti (loans), di cui i Paesi avrebbero potuto usufruire presentando i relativi piani di spesa e riforme. Molti Stati membri non hanno richiesto la totalità dei prestiti disponibili, temendo un incremento eccessivo del proprio debito pubblico. Ecco perché è emersa la disponibilità di un vero e proprio “tesoretto” non utilizzato, stimato, appunto in circa 93 miliardi di euro.
Ora la Commissione Europea sta valutando la possibilità di “riorientare” queste risorse verso altre priorità, come la difesa comune, alla luce delle tensioni geopolitiche degli ultimi anni.
Se l’Unione Europea dovesse decidere di dirottare una parte di tali fondi verso spese militari, ogni Paese rischierebbe di perdere qualsiasi opportunità di accesso a quelle risorse, tanto più se manifestano lentezza nell’utilizzo dei finanziamenti o non dimostrano di avere un piano di spesa concreto e credibile.
Da qui emergono alcuni quesiti che potrebbero riguardare direttamente l’Italia.
Ad esempio, oltre alla valorizzazione di questo “tesoretto”, c’è il rischio che anche i fondi già assegnati a singoli Paesi e non spesi entro il 2026 siano destinati alla difesa?
L’Italia è, come è noto, uno dei principali beneficiari del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tuttavia, la capacità di assorbire e spendere efficacemente questi fondi è stata finora limitata da ritardi burocratici e difficoltà nella realizzazione dei progetti.
Se l’Unione Europea decidesse di riallocare le risorse non utilizzate entro il 2026 alla difesa, il rischio per l’Italia sarebbe concreto: i fondi che il Paese non sarà in grado di spendere potrebbero essere dirottati altrove, privando l’economia nazionale di un’opportunità cruciale per la modernizzazione e la crescita.
Questa prospettiva evidenzia due sfide fondamentali.
Da un lato, l’Italia deve accelerare l’attuazione del PNRR per evitare di perdere finanziamenti essenziali.
Dall’altro, emerge una questione politica più ampia: l’Unione Europea sta progressivamente riorientando la propria agenda verso la difesa comune, riflettendo le nuove sfide geopolitiche legate al conflitto in Ucraina e alle tensioni globali.
Va infine sottolineato che, nonostante alcune ipotesi di dilazione emerse recentemente, sarà molto difficile in questo nuovo contesto ottenere una proroga per l’utilizzo dei fondi del PNRR, i quali dovranno a questo punto essere spesi integralmente entro giugno 2026.
Se da una parte il rafforzamento della difesa europea è un obiettivo strategico comprensibile, dall’altra la riconversione di fondi pensati per stimolare la crescita economica potrebbe penalizzare i Paesi che più ne hanno bisogno.
L’Italia, quindi, si trova davanti a un bivio: sfruttare al massimo e velocemente le risorse disponibili per la ripresa o rischiare di vederle reindirizzate verso priorità diverse.
Il governo italiano deve agire con urgenza per accelerare i progetti del PNRR e assicurarsi che ogni euro destinato al Paese venga effettivamente investito nel rilancio dell’economia. In parallelo, è necessario un confronto a livello europeo per garantire che eventuali riallocazioni di fondi non penalizzino le economie più fragili. La partita è aperta e il tempo stringe.