Il nodo delle norme digitali rallenta l’intesa transatlantica e apre nuove fratture tra Bruxelles e Washington.
Il contesto della trattativa commerciale
La trattativa tra Unione Europea e Stati Uniti per formalizzare l’accordo commerciale annunciato a luglio 2025 si è trasformata in un banco di prova per l’intero equilibrio economico e tecnologico transatlantico. Secondo quanto riportato dal Financial Times, lo scontro si concentra sulla classificazione delle regole digitali europee come “barriere non tariffarie”. Per Washington, norme come il Digital Services Act (DSA) rappresentano un ostacolo al libero mercato; per Bruxelles, invece, costituiscono un pilastro della strategia di sovranità digitale. Questa divergenza non è nuova: già nel 2022, durante il negoziato sul Trade and Technology Council, gli USA avevano espresso timori analoghi, ma senza arrivare a uno scontro diretto.
Dazi ridotti ma nuove tensioni
L’accordo commerciale di luglio aveva temporaneamente scongiurato il rischio di un’escalation tariffaria: i dazi USA sui beni europei sono stati fissati al 15%, anziché al 30% originariamente minacciato. Tuttavia, questa riduzione ha solo attenuato il conflitto, senza risolvere le divergenze di fondo. La questione si complica ulteriormente per il settore automobilistico europeo, già colpito da margini ridotti e transizione green: la mancata riduzione dei dazi sulle auto dal 27,5% al 15%, promessa, ma rinviata da Trump, potrebbe costare miliardi di euro in export mancato a Paesi come Germania, Italia e Francia. Secondo i dati ACEA, solo nel 2024 l’UE ha esportato oltre 5 milioni di veicoli verso gli Stati Uniti, per un valore superiore ai 250 miliardi di euro.
La posta in gioco: il Digital Services Act
Il Digital Services Act non è solo una legge europea: è un modello che molti osservatori ritengono possa influenzare le future regolamentazioni globali del digitale. Entrato in vigore nel 2024, il DSA obbliga i colossi tecnologici a controlli stringenti sulla rimozione di contenuti illegali, sulla trasparenza degli algoritmi e sulla protezione dei minori. Washington lo percepisce come una barriera perché, nella pratica, impone costi di compliance multimiliardari a imprese americane come Google, Meta e Amazon, che generano oltre il 70% dei loro ricavi digitali fuori dagli Stati Uniti. Bruxelles, però, insiste sul fatto che non si tratta di protezionismo: il DSA, insieme al Digital Markets Act (DMA), mira a creare un ecosistema online più sicuro e competitivo, evitando posizioni dominanti e pratiche abusive.
Implicazioni economiche e industriali
Le tensioni sulle regole digitali hanno conseguenze dirette per le filiere industriali e tecnologiche. Secondo un report del World Economic Forum, la frammentazione normativa tra Stati Uniti, UE e Asia potrebbe costare all’economia globale fino a 3 trilioni di dollari entro il 2030. Per le imprese tecnologiche, l’incertezza si traduce in duplicazione dei costi di adeguamento e in rischi reputazionali. Sul fronte industriale, aziende manifatturiere come Siemens o Bosch temono che eventuali ritorsioni tariffarie possano colpire componenti chiave delle catene del valore, rallentando la transizione verso l’Industria 5.0 e l’elettrificazione dei trasporti.
Dimensione geopolitica e diritto dell’innovazione
Lo scontro transatlantico va letto anche come riflesso della competizione globale per il controllo degli standard tecnologici. Se da un lato la Cina spinge con forza la sua agenda di “sovranità digitale” attraverso iniziative come la Digital Silk Road, dall’altro la Russia e altri attori emergenti cercano di definire regole alternative per il cyberspazio. In questo contesto, le divisioni tra UE e USA rischiano di indebolire il fronte occidentale, offrendo terreno fertile a modelli meno democratici di governance digitale. Sul piano giuridico, la questione richiama il dibattito sul diritto dell’innovazione, un concetto emergente che mira a bilanciare la promozione della crescita economica con la tutela dei diritti fondamentali. L’Europa si posiziona come laboratorio normativo, mentre Washington continua a preferire un approccio più flessibile e orientato al mercato.
Prospettive e scenari futuri
Gli scenari restano incerti. Se le parti non raggiungeranno un compromesso, le conseguenze potrebbero spaziare dal rallentamento dei flussi di investimento transatlantici alla crescita della volatilità sui mercati finanziari. L’OCSE stima che ogni aumento del 10% dei dazi tra USA ed Europa potrebbe ridurre il PIL dei due blocchi dello 0,3% nel medio periodo. Tuttavia, un compromesso non è impossibile: negli ultimi anni, il Trade and Technology Council ha dimostrato che UE e USA possono trovare convergenze su temi come semiconduttori, IA e sicurezza delle supply chain. La vera sfida sarà trasformare il conflitto attuale in un’occasione per costruire regole comuni sul digitale, capaci di coniugare competitività, trasparenza e tutela dei cittadini.