Nuova joint venture tra Leonardo ed EDGE negli Emirati: nasce un polo industriale per sistemi avanzati di difesa, progettati e prodotti nel Golfo.
Dal Dubai Airshow prende forma un’alleanza che va oltre la semplice collaborazione: una società mista, 51% EDGE e 49% Leonardo, chiamata a sviluppare sensori, piattaforme integrate, capacità industriali e competenze locali, ridisegnando il ruolo del Golfo nella geografia globale della difesa.
L’accordo tra Leonardo ed EDGE, annunciato al Dubai Airshow, è uno di quei casi. Forse perché arriva in un momento in cui i Paesi del Golfo non vogliono più limitarsi a comprare tecnologie dall’Occidente: vogliono farle, modellarle su misura, persino esportarle.
E allora sì, la nuova joint venture che nascerà negli Emirati nel 2025 è molto più di un gesto di cortesia industriale.
Una struttura societaria che racconta già una storia
51% EDGE, 49% Leonardo. La matematica è semplice, ma non banale.
È la regola negli Emirati (la maggioranza locale), ma è anche la fotografia di un mondo che scivola verso una multipolarità industriale.
Leonardo porta know-how, esperienza, piattaforme già pronte.
EDGE porta ambizione, risorse, mercato e una certa impazienza tecnologica, diciamolo.
Siamo lontani anni luce dal vecchio schema “Europa vende, Medio Oriente acquista”.
Qui si parla di design, sviluppo, produzione, test. È una filiera completa, non un appendice commerciale.
Cosa faranno davvero? (Non è così lineare come sembra)
La lista ufficiale è ampia: sensori, piattaforme multi-dominio, sistemi elettro-ottici, soluzioni di integrazione.
Sembra quasi un inventario, ma in realtà è un’indicazione strategica: la joint venture non sarà un’officina, ma un cervello industriale.
E poi c’è un altro passaggio che nei comunicati è sempre elegante, quasi sfumato: industrializzazione e formazione.
Che, tradotto, significa: “Creiamo competenze locali. Radichiamo capacità negli Emirati”.
Un dettaglio che fa tutta la differenza, perché costruisce autonomia, non dipendenza.
È un salto culturale enorme. Non più “ti vendiamo un radar”: costruiscilo con noi, testalo con noi, miglioralo con noi.
La voce dei CEO: meno protocollo, più verità tra le righe
Roberto Cingolani, CEO di Leonardo, parla di “mesi di lavoro intenso”.
E si sente. La trattativa dev’essere stata piena di incastri, di equilibri da non rompere: Italia, Emirati, logiche NATO, sensibilità geopolitiche.
Si può immaginare quante volte il documento sia passato da un tavolo all’altro.
Hamad Al Marar, CEO di EDGE, invece allarga lo sguardo: “Possiamo offrire soluzioni su misura per nuovi mercati ancora inesplorati”.
Quel “nuovi mercati” non è un dettaglio. È il vero nocciolo: questa JV non nasce solo per gli Emirati. Nasce per andare fuori dagli Emirati e con la patente congiunta “tecnologia italiana + piattaforma industriale emiratina”.
Gli Emirati come hub: un’ambizione che non si nasconde più
EDGE non è un semplice conglomerato. È, di fatto, lo strumento con cui gli Emirati stanno ridisegnando il proprio ruolo nella difesa globale.
Se fino a qualche anno fa acquistavano aerei e sistemi d’arma dalle potenze occidentali, oggi vogliono decidere, progettare e produrre.
È un cambio di paradigma. E Leonardo, forse più di altri player europei, ha capito la direzione del vento.
Non sorprende che Al Marar parli apertamente di voler ampliare le partnership, anche con i giganti statunitensi. Quello che si sta costruendo non è un brand, è un ecosistema.
Oltre la tecnologia: politiche, rischi, nodi irrisolti
Guardiamola con onestà: una JV del genere porta opportunità enormi, ma anche qualche interrogativo scomodo.
Il transfer tecnologico: quanta tecnologia italiana potrà circolare? In quali mani? Verso quali mercati finali? È un tema serio.
La reputazione: collaborare con Paesi strategici, ma complessi, richiede equilibrio, soprattutto sul fronte dei diritti umani e delle dinamiche regionali.
Gli equilibri geopolitici: l’Italia rafforza la sua presenza nel Golfo, ma deve farlo senza incrinare le proprie relazioni altrove.
Sono domande che non si troveranno nei comunicati ufficiali, ma che chi osserva la difesa da vicino non può ignorare.
Una prospettiva di lungo periodo: il vero potenziale è ancora invisibile
Se il progetto funzionerà, e tutte le premesse ci sono, è probabile che la JV non resti confinata alla produzione su licenza.
Potrebbe evolvere in un centro di co-sviluppo, magari in grado di generare piattaforme destinate non solo al Medio Oriente, ma anche ad altre regioni che cercano soluzioni integrate, meno dipendenti dai grandi blocchi.
Potremmo ritrovarci, tra qualche anno, con un polo tecnologico misto che unisce capacità europee, flessibilità mediorientale e un posizionamento commerciale molto più aggressivo di quanto Leonardo potrebbe avere da sola.
Una JV come specchio del nuovo ordine industriale
In definitiva, l’alleanza Leonardo–EDGE è uno di quei segnali che raccontano un mondo industriale che cambia più velocemente delle analisi dei think tank.
Gli Emirati non vogliono più limitarsi ad acquistare armi, vogliono produrle.
L’Europa, e l’Italia in questo caso, non può più permettersi un approccio attendista nei mercati strategici.
E le aziende della difesa devono imparare a muoversi in uno scenario dove la tecnologia vale quanto (se non più) della diplomazia.
Forse la domanda più interessante non è “funzionerà?”.
La domanda è: chi riuscirà a guidare questo nuovo equilibrio?
Perché la difesa del futuro non sarà solo una questione di sistemi, sensori o piattaforme. Sarà una questione di alleanze.
E questa, anche se oggi appare come un passo industriale, somiglia molto al prototipo di un nuovo modo, più fluido, più ambizioso, più geopolitico, di stare nel mondo.