La Cina ha assunto un ruolo di leadership mondiale nell’estrazione, produzione e raffinazione di terre rare. Il resto del mondo insegue, stringe accordi come gli Stati Uniti di recente, o lavora per evitare il peggio (ed è il caso dell’Europa). Mentre Pechino punta a costruirsi un proprio spazio economico con i BRICS
L’asso nella manica con cui la Cina sbanca al tavolo dell’economia globale è rappresentato dalle terre rare. I 17 elementi della tavola periodica che si estraggono dal sottosuolo sono la fonte di vita principale di una vasta gamma di strumenti elettronici che fanno parte del nostro vivere quotidiano, ma anche nell’industria pesante, sia civile che militare. Dagli smartphone sino alle componenti dei velivoli, senza dimenticare semiconduttori, strumenti medicali o le batterie, come quelle che alimentano le vetture elettriche tramite le quali Pechino sta spadroneggiando nel settore.
La leadership globale della Cina nel settore dei minerali critici e delle terre rare
Se è vero che le terre rare abbondano nella crosta terrestre, è anche vero che la loro concentrazione molto diluita ne rende complessa l’estrazione. Insomma, non consentono dei volumi estrattivi di una certa entità. La Cina, tuttavia, ha una posizione di fortissima leadership nella catena di approvvigionamento globale, in particolare per quanto riguarda minerali critici come il gallio, che secondo l’analisi aggiornata allo scorso dicembre di White & Case LLP ammonta ad una quota del 98,7% su scala mondiale, seguito da un 95% riguardante il magnesio, l’82,7% del tungsteno e quindi le famose terre rare, con una quota a livello mondiale del 69,7%.
Pechino non solo estrae e produce, ma è leader anche nella raffinazione. E il 90% delle stesse terre rare viene proprio raffinato nel territorio cinese, come riporta Visual Capitalist. Il quale sottolinea poi il fatto che su 92 milioni di tonnellate delle riserve mondiali, 44 milioni sono della Cina. Staccatissimi gli Stati Uniti con 1,9 milioni di tonnellate (dati US Geological Survey).
La stretta di Pechino e l’accordo con gli Stati Uniti
Con una posizione così prevalente, detenendo quasi la metà delle terre rare prodotte, estratte e lavorate in tutto il mondo, Pechino può contare su una posizione di forza nello scacchiere economico del pianeta.
Capita l’antifona, lo scorso ottobre il Governo cinese aveva imposto una stretta nell’esportazione delle terre rare per motivi di sicurezza nazionale, stabilendo a seconda dei casi se autorizzare la licenza o meno agli esportatori (chiamati a dare informazioni sugli utilizzatori finali). Una mossa per evitare che questi minerali critici finiscano nelle mani dei diretti concorrenti di Pechino, in particolare di chi possa sfruttare le terre rare in settori concorrenziali per l’economia cinese o nella difesa.
Inoltre il Ministero del Commercio ha imposto controlli più stringenti nell’utilizzo delle terre rare da parte di società terze. La misura di Pechino, tramite le decisioni dello scorso 9 ottobre, ha allargato la rosa di elementi su cui ricadono le restrizioni, ma anche le tecnologie e il know-how. Oltre a imporre alle società straniere di richiedere l’autorizzazione per l’export per magneti che presentano anche uno 0,1% di terre rare provenienti dalla Cina.
Quella cinese è una risposta ai dazi dell’amministrazione Trump, il quale però è riuscito a strappare a Pechino una deroga sui controlli del governo di Pechino sulle aziende americane impegnate nella catena di fornitura delle terre rare. Oltre a consentire la licenza di esportazione per elementi quali germanio, gallio, grafite e antimonio in territorio USA.
La Cina sospende per ora la stretta sulle terre rare con l’UE
Se gli Stati Uniti sono riusciti ad arrivare ad una tregua con la Cina, l’UE invece continua a lavorare per un accordo che non la metta in ulteriore difficoltà. Per ora tra Pechino e Bruxelles sono in corso dei colloqui tecnici, in particolare per oliare i meccanismi delle licenze, dopo la sospensione di 12 mesi sui controlli delle esportazioni da parte della Cina.
Pechino in realtà punterebbe a consolidare il suo primato mondiale costruendosi un’alleanza fondata sulle terre rare che comprende in particolare i Paesi del BRICS e quelli in via di sviluppo, selezionando quindi una clientela privilegiata tra le realtà mondiali per mettere all’angolo gli Stati Uniti. La Cina insomma dà le carte e può crearsi un proprio spazio economico che metterebbe alle corde l’Occidente.
Ma se gli USA si affidano al pragmatismo negoziale di Trump, chi fatica è l’Europa, che rischia di rimanere col cerino in mano se non raggiungerà un accordo più stabile e strutturale con Pechino. Non ci si può basare infatti sulle riserve della Germania, che grazie alla società di commercio di metalli rari Tradium ha stoccato una discreta quantità (parliamo di migliaia di fusti) di minerali fondamentali per l’elettronica di consumo e non solo come il neodimio, il disprosio e il terbio. Riserve, va sottolineato, non frutto di estrazione dal suolo tedesco, ma provenienti dalla Cina.
