L’anno zero della guida autonoma: Nvidia e Uber ridisegnano la mobilità globale

RedazioneRedazione
| 29/10/2025
L’anno zero della guida autonoma: Nvidia e Uber ridisegnano la mobilità globale

Robotaxi, intelligenza artificiale e ride-hailing: l’alleanza Nvidia–Uber punta a lanciare 100.000 veicoli autonomi dal 2027, ridisegnando i modelli di trasporto urbano e il business della mobilità.

Dalla piattaforma chip all’infrastruttura delle città: come l’accordo tra il colosso dei semiconduttori e il leader del ride-hailing può accelerare l’adozione dei robotaxi, tra sfide regolamentari, sicurezza, costi e consenso sociale.

Un annuncio che segna un punto di svolta

Il 2027 potrebbe passare alla storia come l’anno in cui l’intelligenza artificiale non si è più limitata a calcolare, ma ha iniziato davvero a guidare il mondo in cui viviamo.

È questa la promessa dell’accordo tra Nvidia, il gigante californiano dei chip per l’AI, e Uber, la piattaforma che ha reinventato il concetto di trasporto urbano.
Le due aziende hanno annunciato un piano che, per scala e ambizione, supera qualsiasi progetto precedente: 100.000 robotaxi autonomi in circolazione nelle grandi città del mondo entro la fine del decennio.

L’operazione non è una semplice espansione tecnologica. È una svolta industriale e culturale: l’intelligenza artificiale smette di essere un motore invisibile dei data center per entrare nella vita fisica delle persone, sulle strade, nel traffico, nel ritmo quotidiano delle città.
Per Nvidia, è la trasformazione della potenza computazionale in infrastruttura urbana; per Uber, il ritorno all’idea originaria di una mobilità completamente automatizzata, dopo anni di turbolenze e compromessi con la realtà.

Un matrimonio tra chip e metropoli

L’accordo tra Nvidia e Uber non nasce nel vuoto. Le due aziende rappresentano i poli opposti, ma complementari della nuova economia della mobilità: da un lato, la potenza tecnologica dei chip per l’intelligenza artificiale; dall’altro, la capacità di Uber di orchestrare una rete globale di mobilità urbana.
Nvidia porta in dote la sua piattaforma Drive Thor, un “cervello digitale” capace di gestire simultaneamente percezione ambientale, pianificazione del percorso, interazione vocale e risposta predittiva in tempo reale. È il sistema che consente a un veicolo di “vedere” il mondo, interpretarlo e reagire con precisione millimetrica.

Uber, invece, fornisce l’altra metà della sinergia: l’infrastruttura dati. Con milioni di corse ogni giorno in oltre 70 Paesi, l’azienda possiede un patrimonio unico di informazioni su traffico, flussi di mobilità, orari, abitudini e percorsi. Insieme, queste due componenti creano una rete cognitiva in cui ogni robotaxi non è un’entità isolata, ma un nodo interconnesso in un sistema che impara costantemente da sé.

Come ha spiegato un dirigente Nvidia, “l’obiettivo non è eliminare il conducente, ma reinventare il trasporto urbano come esperienza intelligente e adattiva”. Dietro quella frase, apparentemente futuristica, si cela una nuova architettura economica: una rete in cui i dati sono la benzina e l’intelligenza artificiale è il motore.

Dalla teoria alla strada: l’AI tra realtà e complessità

Portare la guida autonoma su strada è tutt’altro che un esercizio teorico. La città reale è un ecosistema caotico, fatto di imprevisti, condizioni meteo variabili, segnali deteriorati e comportamenti umani difficili da codificare.
I progressi tecnologici hanno ridotto drasticamente gli errori di percezione e le latenze decisionali, ma la sfida resta la gestione dell’eccezione, ciò che sfugge agli algoritmi addestrati in laboratorio.

Nvidia scommette sulla ridondanza: sistemi multipli di sensori e modelli di rete neurale che si sovrappongono per garantire sicurezza anche in caso di errore. La logica è quella dell’aviazione: non eliminare il rischio, ma gestirlo sistematicamente.
Uber, dal canto suo, sperimenta come adattare la propria rete a un modello misto — dove flotte autonome coesistono con conducenti umani — per evitare shock logistici e sociali.

In questa fase, il punto non è dimostrare che l’AI sappia guidare, ma che sappia convivere con l’imprevedibilità umana.

Il vero ostacolo: regole, fiducia e governance

Se la tecnologia corre, la regolamentazione arranca. Ogni città ha norme, permessi e procedure differenti, spesso modellate su un mondo in cui il conducente è una persona, non un software.
Servono nuove forme di governance urbana che bilancino innovazione e sicurezza: licenze dinamiche, audit di sicurezza indipendenti, protocolli trasparenti per la raccolta e l’uso dei dati.

Il tema della responsabilità legale è cruciale: chi paga se un robotaxi causa un incidente? Il costruttore del chip, il gestore della flotta o l’azienda che fornisce il software? Senza una risposta chiara, la fiducia pubblica resta fragile.
E la fiducia, oggi, è la moneta più scarsa del mercato tecnologico.

Molti analisti sottolineano che la prossima grande innovazione non sarà tecnica, ma politica: creare un modello regolatorio globale che renda interoperabili le flotte, i protocolli di sicurezza e le norme etiche. Solo allora la guida autonoma potrà diventare un servizio di massa.

Economia dei robotaxi: efficienza, scala e marginalità

Dietro ogni sogno di innovazione c’è sempre un foglio Excel. L’economia dei robotaxi si regge su un principio semplice, ma implacabile: più chilometri autonomi, meno costi per corsa.
Eliminando il conducente, le piattaforme di ride-hailing riducono fino al 70% le spese operative. Ma il vantaggio reale emerge solo su scala, quando la flotta può operare 24 ore su 24, senza turni o limiti umani.

Per Uber, significa avvicinarsi per la prima volta alla redditività strutturale, mentre per Nvidia rappresenta un nuovo mercato per le sue piattaforme AI: non solo chip, ma servizi di aggiornamento, monitoraggio e manutenzione predittiva.
Gli investitori vedono in questa alleanza un segnale potente: il passaggio dall’AI come prodotto a l’AI come infrastruttura.

Come ha sintetizzato un analista di Goldman Sachs “la guida autonoma non è un business di auto, ma di dati. Chi controllerà i dati controllerà la città”.

Il prezzo umano dell’autonomia

Ogni innovazione porta con sé vincitori e perdenti. L’introduzione di robotaxi su larga scala ridisegnerà inevitabilmente il mercato del lavoro.
Milioni di autisti potrebbero trovarsi progressivamente sostituiti da software, mentre crescerà la domanda di tecnici, manutentori e specialisti di teleassistenza. Il rischio, come già accaduto con l’automazione industriale, è una transizione diseguale, che colpisce soprattutto le fasce di lavoratori meno protette.

Uber ha annunciato l’intenzione di avviare programmi di riqualificazione e percorsi di transizione, ma la sfida resta sociale prima che aziendale.
Perché i robotaxi possano essere accettati, dovranno dimostrare non solo efficienza, ma valore condiviso. Una città con auto autonome, ma senza inclusione sociale non sarà una città intelligente, sarà solo un algoritmo ben addestrato.

Accettazione pubblica: la tecnologia che deve meritarsi la fiducia

I sondaggi mostrano che oltre il 70% delle persone continua a diffidare delle auto a guida autonoma.
Le ragioni non sono solo psicologiche, ma esperienziali: gli utenti devono percepire sicurezza, trasparenza e affidabilità.
Le aziende lo sanno: non basta un comunicato o un test riuscito, serve un dialogo continuo con i cittadini.

La fiducia nasce quando un sistema non solo funziona, ma sbaglia in modo sicuro.
Ogni errore diventa un caso di studio, ogni incidente un’occasione di apprendimento. È la differenza tra un’intelligenza artificiale che guida e una che si prende la responsabilità di farlo.

Città intelligenti o città algoritmiche?

La rivoluzione dei robotaxi non è solo una questione tecnologica, ma urbanistica e politica.
Le città che adotteranno per prime questi sistemi dovranno ripensare il proprio design: parcheggi trasformati in hub di ricarica, corsie preferenziali per veicoli autonomi, sistemi di traffico interconnessi.
Si passerà da infrastrutture statiche a ecosistemi dinamici, dove il software decide il flusso, ottimizza la congestione, regola l’energia.

Il rischio, tuttavia, è che questa efficienza produca nuove dipendenze: città governate da algoritmi proprietari, piattaforme chiuse, logiche di sorveglianza.
La vera sfida sarà mantenere un equilibrio tra intelligenza e libertà, tra la città connessa e quella democratica.

Il 2027 come turning point

Tra quattro anni, sapremo se l’alleanza Nvidia–Uber avrà mantenuto la promessa.
La timeline è ambiziosa, ma non impossibile: entro il 2025 i test pilota, nel 2026 le prime licenze urbane, nel 2027 la distribuzione su larga scala.
Molto dipenderà dal contesto macroeconomico, dalle normative locali e dalla capacità di gestire i casi di crisi senza perdere fiducia pubblica.

Se riuscirà, il progetto non segnerà solo un successo tecnologico, ma una nuova fase della civiltà urbana. Le città diventeranno reti cognitive, i dati il loro linguaggio e l’intelligenza artificiale la loro infrastruttura invisibile.

L’AI scende in strada, ma la direzione resta umana

L’accordo tra Nvidia e Uber è più di un’alleanza industriale: è un test sul rapporto tra l’uomo e la macchina.
Per la prima volta, la società affida a un sistema artificiale una parte critica della sua infrastruttura vitale: il movimento.
Se i robotaxi diventeranno realtà, cambierà il nostro modo di abitare le città, di percepire il tempo, di definire la fiducia.

Ma la tecnologia, da sola, non basta. Ogni algoritmo che guida dovrà rispondere a scelte politiche, etiche e culturali.
In fondo, il progresso non è una corsa alla velocità dell’AI, ma una marcia collettiva verso una nuova forma di coesistenza tra intelligenze.
L’AI può prendere il volante. Ma la direzione, quella, ancora, spetta a noi.

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