Gli scenari riportati di seguito non sono ovviamente certificati, ma non sono neanche da escludere a priori. L’esperienza dello scorso anno ci ha mostrato come alcune previsioni, considerate improbabili, si siano poi avverate in maniera sorprendente.
Quindici esperti di previsioni, analisti di politica estera e altre figure di spicco hanno delineato su Politico.eu i possibili scenari che potrebbero accadere nel nuovo anno.
Il 2024 è stato un periodo turbolento, segnato dal tentativo di assassinio contro Donald Trump (che forse ha influito sull’esito elettorale), dai conflitti in Medio Oriente (da Israele e Gaza all’Iran, al Libano e alla Siria, dal fallimento della campagna presidenziale di Joe Biden. Non ci sono ragioni concrete, almeno al momento, per credere che il 2025 si possa configurare come un anno di maggior serenità.
Le prospettive, infatti, fanno i conti intanto con le cose concrete, a partire dall’insediamento di Donald Trump al suo secondo mandato alla Casa Bianca, con tutte le implicazioni che ciò comporta per la linea politica del Paese. Ma questo rappresenta solo un aspetto della questione. È probabile, infatti, che emergano eventi imprevisti e sconvolgenti che potrebbero cambiare radicalmente il panorama attuale.
Abbiamo raccolto le opinioni di un gruppo eterogeneo di esperti — tra cui studiosi di previsioni strategiche, scienziati e analisti politici — tese ad immaginare quali potrebbero essere gli eventi del 2025 affetti dalla sindrome del cosiddetto “cigno nero”: ovvero episodi imprevedibili e apparentemente improbabili, capaci di stravolgere il corso della storia americana e globale.
Le previsioni spaziano da minacce legate all’intelligenza artificiale a potenziali epidemie devastanti, ma comprendono anche ipotesi di progressi significativi, come sviluppi inattesi in alcune aree geopolitiche sensibili.
Gli scenari riportati di seguito non sono ovviamente certificati, ma non sono neanche da escludere a priori. L’esperienza dello scorso anno ci ha mostrato come alcune previsioni, considerate improbabili, si siano poi avverate in maniera sorprendente.
Il più grande attacco informatico della storia?
Il primo cigno nero è di Gary Marcus, il cui ultimo libro, Taming Silicon Valley è stato uno dei libri raccomandati dal New Yorker nel 2024.
Il 2025 potrebbe vedere il più grande attacco informatico della storia, con la possibilità di mettere fuori uso, anche se temporaneamente, una parte rilevante delle infrastrutture globali. Il tutto potrebbe avvenire sia attraverso un piano finalizzato ad un riscatto, sia manipolando le persone per ottenere profitti dalle speculazioni sui mercati globali. Il crimine informatico, già di per sé un problema da miliardi di dollari, è uno di quei fenomeni che la maggior parte delle vittime preferisce non discutere apertamente. Si stima che il suo valore superi quello dell’intero traffico globale di droga. Quattro fattori potrebbero peggiorare drasticamente questa situazione nel 2025.
- Primo, l’IA generativa, sempre più diffusa e accessibile, rappresenta uno strumento ideale per i cybercriminali. Nonostante questa tecnologia non sia esente da inevitabili errori, eccelle nel creare testi plausibili, come e-mail di phishing per ingannare le persone e rubare credenziali o video deepfake, fino ala sottrazione di some ingenti da conti correnti bancari.
- Secondo, i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) sono vulnerabili a tecniche come il “jailbreaking” e i “prompt injection“, per le quali non esistono ancora soluzioni efficaci di contrasto.
- Terzo, gli strumenti di IA generativa sono sempre più utilizzati per scrivere codice, spesso da programmatori che non comprendono pienamente il codice generato. Questo ha già portato all’introduzione di nuove vulnerabilità di sicurezza.
- Quarto, infine, la nuova amministrazione statunitense sembra orientata verso una deregolamentazione estrema, con tagli ai costi e atteggiamenti che rischiano di umiliare le prestazioni dei dipendenti. Questo potrebbe demoralizzare i funzionari federali, spingendoli a cercare opportunità altrove e portando a un calo significativo nella qualità e quantità delle indagini e dell’applicazione delle leggi. Questo contesto rischia di lasciare il mondo ancor più esposto ad attacchi informatici sempre più audaci.
Un accordo segreto per fermare l’Iran nello sviluppo di armi nucleari?
Il secondo cigno nero è di Mathew Burrows, consigliere dell’Ufficio Esecutivo e responsabile del Programma per il Strategic Foresight Hub dello Stimson Center. In precedenza, è stato consigliere nel National Intelligence Council.
La Russia non desidera un Iran dotato di armi nucleari più di quanto lo facciano gli Stati Uniti. In passato, Mosca ha tentato di supportare l’amministrazione di Joe Biden nel rilanciare l’accordo nucleare internazionale, discutendo con Teheran di un’intesa provvisoria che prevedeva un alleggerimento limitato delle sanzioni in cambio di alcune restrizioni al programma nucleare iraniano. Nondimeno, l’Iran ha respinto la proposta e, appena un mese dopo, la Russia ha dato il via all’invasione dell’Ucraina.
Attualmente, i legami tra Russia e Iran si sono intensificati, con Mosca dipendente dai droni iraniani per la sua guerra in Ucraina. Nel frattempo, l’influenza della Russia in Medio Oriente è in declino, aggravata dalla caduta della dinastia Assad in Siria. In patria, Vladimir Putin è sotto pressione e viene criticato per l’apparente perdita di controllo sulla regione. Un attacco all’Iran sostenuto dagli Stati Uniti potrebbe ulteriormente dimostrare l’indebolimento del potere russo.
Anche Donald Trump si trova in una posizione difficile. I repubblicani, suoi alleati, lo spingono a sostenere un attacco israeliano per impedire a Teheran di acquisire capacità nucleari. Tuttavia, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MBS), amico di Trump, lo avverte dei rischi: pur essendo contrario a un Iran nucleare, teme che un attacco israeliano possa portare a ritorsioni contro le infrastrutture petrolifere saudite, causando un’impennata nei prezzi dell’energia. Per Donald Trump, questa sarebbe una minaccia diretta alla stabilità economica.
Secondo le indiscrezioni raccolte da Politico, in una conversazione notturna su una linea sicura Putin avrebbe informato Trump di aver raggiunto un accordo segreto con Teheran per congelare lo sviluppo di armi nucleari per 5 anni. L’accordo prevederebbe che Trump dissuada Israele dall’attaccare l’Iran. A sua volta, Trump sarebbe riuscito a persuadere il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, promettendogli il sostegno di Mohammed bin Salman, disposto a normalizzare i rapporti con Israele in cambio dell’astensione da un attacco all’Iran.
Quello che Trump sottovaluta però, secondo Burrows, è che Putin avrebbe segretamente concordato con Teheran la fornitura di sistemi avanzati di difesa aerea entro un anno, per proteggere l’Iran da eventuali azioni militari israeliane. Questo dettaglio potrebbe alterare gli equilibri di potere nella regione.
La marcia dei secessionisti in USA
Il terzo cigno nero è di Amy Zalman, stratega ed esperta in previsioni, già CEO della World Future Society e presidente della sezione di integrazione dell’informazione presso il U.S. National War College.
Nel corso del suo primo anno di mandato, il presidente Donald Trump aveva approvato la richiesta del movimento Greater Idaho di trasferire 15 contee dall’Oregon all’Idaho. Questo placet — concesso forse con leggerezza durante una conferenza stampa — entusiasmò gli abitanti delle aree rurali dell’Oregon orientale, desiderosi di liberarsi dall’influenza legislativa e culturale delle città occidentali dello Stato, dominate da valori progressisti.
Il commento casuale di Trump si diffuse rapidamente, amplificato dai leader del movimento sui social media di destra e poi dai media nazionali. Diventò un grido di battaglia per alcuni legislatori conservatori e una preoccupazione per molti americani che non avevano mai preso seriamente in considerazione i movimenti secessionisti. Improvvisamente, questi movimenti acquistarono una nuova visibilità.
Attraverso questa legittimazione, altri gruppi secessionisti organizzano manifestazioni pubbliche. In breve tempo, slogan come New State or No State! appaiono in proteste organizzate nelle capitali statali, sostenute da organizzazioni che cercano di separarsi dai loro Stati o, nel caso di Texas e California, dall’intera nazione. New Illinois spera in uno stato senza Chicago, mentre gli abitanti della Weld County, in Colorado, sognano di unirsi al Wyoming.
Ben presto, contro-manifestanti si riuniscono attorno ai raduni con slogan come All States, Every State! Questi eventi stanno diventano sempre più comuni, creando un clima teso e polarizzato.
In autunno passato, la situazione è degenerata: gruppi suprematisti bianchi armati e vigilanti si sono infiltrati nei raduni. La tensione è culminata con la morte di un manifestante secessionista e di un contro-manifestante durante un’operazione di dispersione della folla da parte della polizia nello Stato di New York.
E così, mentre il presidente sposta la sua attenzione su altre priorità, l’idea di secessione guadagna slancio. Nuovi referendum e task force vengono pianificati per l’anno in corso, portando la discussione sulla dissoluzione o sulla messa in discussione dei confini statali e nazionali verso una maggiore legittimità politica.
L’epidemia raggiungerà presto proporzioni critiche
Il quarto cigno nero è di Georges C. Benjamin, direttore esecutivo dell’American Public Health Association.
Il caso ipotetico è quello di una epidemia da malattia infettiva iniziata in una comunità rurale con copertura vaccinale insufficiente. I sintomi iniziali — febbre, mal di testa, dolori muscolari e mal di gola — somigliano a quelli di un’influenza stagionale. Le autorità locali credono inizialmente si tratti di un normale focolaio, ma i test per influenza, Covid e RSV risultano negativi.
Gli operatori sanitari rintracciano il “paziente zero” in una persona appena rientrata da un Paese estero, dove una malattia non identificata ha già colpito oltre 100 persone. Il Dipartimento della Salute avvia un’indagine. Successivamente, intervengono anche i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC). Tuttavia, le autorità locali esitano a imporre misure come tracciamento dei contatti, quarantene e mascherine, temendo una reazione negativa della comunità, che ha recentemente approvato leggi per limitare i poteri del dipartimento di sanità.
La disinformazione sui social media complica ulteriormente la situazione. Un post amplificato da media stranieri afferma, erroneamente, che la malattia si diffonde attraverso la posta. Intanto, il focolaio si espande, attraverso morti e casi che si diffondono a comunità vicine, comprese una grande città e due stati confinanti. Il numero crescente di malati porta alla chiusura di scuole e attività per carenza di personale, nonostante la riluttanza delle autorità locali.
Esiste un vaccino sperimentale, ma richiede un’autorizzazione per l’uso d’emergenza. Tuttavia, il Dipartimento della Salute, guidato da scettici sull’uso di vaccini non ancora testati, non riesce a decidere sull’approvazione. Altre opzioni terapeutiche esistono, ma le aziende farmaceutiche, scoraggiate dal clima politico e dall’assenza di garanzie legali, esitano a produrle. La Food and Drug Administration (FDA) fatica a intervenire, poiché i comitati consultivi per la valutazione di vaccini e terapie sono stati sciolti.
Di conseguenza, l’epidemia raggiunge proporzioni critiche negli Stati Uniti. Paesi stranieri impongono divieti di viaggio ai cittadini americani e l’economia viene colpita duramente; le merci vengono bloccate nei porti e si rileva una crescente scarsità di beni e servizi. Quella che poteva essere un’emergenza gestibile si trasforma in una crisi che uccide molte persone e riporta l’economia in una spirale negativa, simile a quella vissuta durante la pandemia di Covid.
Ci sarà un’alleanza tra Trump e Xi Jinping
Il quinto cigno nero è di Nancy Qian, Professor presso la Kellogg School of Management, co-direttrice del Global Poverty Research Lab alla Northwestern University e fondatrice del China Econ Lab.
Il primo mandato di Donald Trump è stato segnato da una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. In previsione del suo secondo mandato, Trump ha intensificato la retorica anti-Cina, promettendo un dazio del 60% su tutte le importazioni cinesi. Questa posizione ha sollevato preoccupazioni su una possibile escalation delle tensioni geopolitiche con Xi Jinping, che ha dichiarato di voler difendere quelli che considera i diritti della Cina. Comunque, un’analisi più approfondita suggerisce che potrebbe verificarsi l’opposto: un’alleanza tra Trump e Xi.
Rispetto al primo scontro tra i due leader, le circostanze attuali presentano meno contrasti e più opportunità di cooperazione. Tra il 2016 e il 2020, la rivalità tra Cina e Stati Uniti ha raggiunto il culmine, con la Cina che dichiarava di voler superare gli Stati Uniti come prima economia mondiale, e promuoveva la superiorità del proprio modello politico ed economico. Il piano “Made in China 2025” era visto come una minaccia diretta dagli Stati Uniti e da molti altri Paesi. Ciò nonostante, la Cina ha da allora moderato le sue ambizioni, affrontando una serie di sfide economiche, tra cui gli effetti dei lockdown prolungati per il Covid-19, una crisi immobiliare, l’aumento del debito locale, la disoccupazione giovanile e il rapido invecchiamento della popolazione.
Anche le priorità degli Stati Uniti sono cambiate.
Durante la campagna elettorale del 2024, Trump ha promesso di porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina, iniziata dopo il suo primo mandato. Sia Trump che Xi, entrambi ammiratori dichiarati di Vladimir Putin, potrebbero collaborare con quest’ultimo per negoziare un accordo di pace che soddisfi i tre leader. Inoltre, Trump ha promesso di ridurre l’immigrazione, una misura che potrebbe limitare la disponibilità di manodopera e aumentare i prezzi al consumo negli Stati Uniti.
In questo contesto, Donald Trump potrebbe trovare difficile mantenere alti dazi sui prodotti cinesi senza aggravare ulteriormente i costi per i consumatori americani. È probabile, pertanto, che dia priorità al controllo dell’immigrazione, tema centrale della sua campagna elettorale, aprendo così uno spazio per negoziati e compromessi con Xi.
Per queste ragioni, il 2025 potrebbe essere l’anno in cui Trump e Xi scopriranno di avere più interessi comuni di quanto si creda, trasformando la loro rivalità in una collaborazione strategica.
“Una soluzione a due stati”
Il sesto cigno nero è di John McLaughlin, già direttore ad interim e vicedirettore della CIA dal 2000 al 2004 e ora docente presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies.
Oggi il mondo è così interconnesso che il potenziale per eventi inaspettati supera qualsiasi limite visto negli ultimi anni. Il punto cardine di questa rete di pressioni è, secondo John McLaughlin, la guerra in Ucraina. Se Vladimir Putin non avesse invaso l’Ucraina e non si fosse ritrovato impantanato nel conflitto, non sarebbe nata la collaborazione-alleanza con la Corea del Nord, l’Iran non starebbe pianificando la produzione di droni in Russia e la cooperazione tra Cina e Russia non si sarebbe così profondamente rafforzata. Tuttavia, un eventuale accordo negoziato sulla guerra in Ucraina nel 2025 — troppo probabile per essere definito un vero cigno nero — potrebbe generare effetti imprevedibili in Corea del Nord, Iran e Cina. La Corea del Nord, per esempio, potrebbe riportare migliaia di truppe nella penisola, rafforzate dall’esperienza sul campo, aumentando così il rischio di un conflitto con la Corea del Sud.
Il più sorprendente grande cigno nero potrebbe però verificarsi in Medio Oriente: un movimento verso una soluzione a due Stati per il conflitto tra israeliani e palestinesi, una prospettiva che appare al momento quasi impossibile.
Una soluzione di questo tipo richiederebbe cambiamenti straordinari. Israele dovrebbe avere un governo disposto a mettere da parte i politici di estrema destra e a smantellare numerosi insediamenti in Cisgiordania, un passo simile a quanto proposto dall’ex Primo Ministro Ehud Barak durante i negoziati di Camp David del 2000. Allo stesso tempo, i palestinesi dovrebbero trovare una nuova leadership capace di unire le varie fazioni e rappresentarle credibilmente nei negoziati. Gaza necessiterebbe di un piano concreto per la ricostruzione e una governance stabile.
Un impegno attivo da parte dei principali governi arabi, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, sarebbe fondamentale per sostenere questo processo.
Questa lunga sequenza di eventi, improbabile ma non impossibile, rende questa prospettiva il candidato ideale come cigno nero per il 2025.
Un crollo del mercato che scatena un panico globale
Il settimo cigno nero è di Amy Webb, CEO del Future Today Institute e professoressa di previsione strategica presso la Stern School of Business della New York University.
Nel contesto di una deregolamentazione crescente dei mercati e di un governo ridimensionato rispetto alle forze di mercato, gli “zar tecnologici” dell’amministrazione Trump danno bassa priorità alla pianificazione degli scenari. I botnet hanno già dimostrato quanto gli algoritmi di IA avanzati possano essere strumenti efficaci per diffondere disinformazione. Con le elezioni ormai concluse (che nel 2024 hanno visto oltre 2 miliardi di persone al voto), nel 2025 i gruppi politici malintenzionati e gli Stati ostili spostano il loro obiettivo verso i mercati finanziari.
L’intelligenza artificiale analizza enormi quantità di dati di mercato in tempo reale (dai prezzi delle azioni alla loro volatilità), Report finanziari e indicatori economici, monitorando nel contempo piattaforme di social media come X e Reddit o Facebook e Instagram per valutare il sentiment pubblico. Tra i vari fattori di intervento fraudolento, l’IA identifica vulnerabilità, puntando su aziende con fondamentali finanziari fragili o una percezione pubblica negativa, ovvero soggetti particolarmente suscettibili rispetto agli shock di mercato. Successivamente, inizia la diffusione della disinformazione: si creano false voci su dirigenti aziendali, si fabbricano notizie riguardanti richiami di prodotti o problemi di sicurezza e persino prove inventate di frodi finanziarie.
Prima di lanciare l’attacco, l’IA genera milioni di scenari, analizzando le variabili per identificare i momenti e i canali migliori per la campagna di disinformazione. Una volta pronta la strategia, il gruppo politico malintenzionato scatena un’ondata di panico artificiale nei mercati. L’IA esegue operazioni di trading con elevata frequenza e con una precisione ineguagliabile, spingendo hedge fund e investitori a seguire il flusso. La velocità e complessità dell’attacco, in conseguenza anche di un perimetro regolamentare non adeguato e aggiornato ai nuovi strumenti, colgono impreparata l’amministrazione Trump, i cui esperti liquidano la situazione come “un piccolo non senso.”
Intanto il panico si diffonde e l’incapacità tecnica dell’amministrazione diventa evidente: non ci sono né personale qualificato né piani di emergenza. L’attacco, quasi impossibile da rilevare e attribuire ad una fonte certa, rende difficile l’implementazione di contromisure.
Il crollo del mercato provoca un’ondata di panico globale, colpendo gli investitori di tutto il mondo. Attacchi simili vengono lanciati contro le borse di Londra e Tokyo. Si diffonde il sospetto che dietro l’attacco ci sia una milizia tecnologica di estrema sinistra, intenzionata a colpire il presidente Trump nel suo punto più vulnerabile: la sua ricchezza personale.
“Le scelte climatiche diventano una regola”
L’ottavo cigno nero è di Katharine Hayhoe, professoressa presso la Texas Tech University e scienziata capo di The Nature Conservancy; è anche autrice di Saving Us: A Climate Scientist’s Case for Hope and Healing in a Divided World.
Nonostante il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, negli Stati Uniti cresce l’impegno per affrontare la crisi climatica. Negli anni ’80, si registravano in media 3 disastri meteorologici estremi all’anno, ciascuno con danni superiori 1 miliardo di dollari. Oggi, il panorama è drasticamente cambiato. Nel 2023, i disastri di questo tipo sono stati 28. Nel 2024, in sole due settimane, due uragani devastanti — Helene e Milton — hanno colpito il sud-est del Paese. Generati e alimentati da acque oceaniche eccezionalmente calde, questi uragani hanno distrutto strade, case e isolato intere comunità. Complessivamente, il 2024 ha visto 24 disastri con danni miliardari. Oggi, 9 americani su 10 affermano di essere stati colpiti direttamente da eventi meteorologici estremi, con conseguenze che si ripercuotono ovunque.
Con l’aumento dei rischi legati al cambiamento climatico e la crescente consapevolezza dei benefici delle soluzioni, l’esigenza di un sostegno bipartisan all’azione climatica diventa più evidente. L’Inflation Reduction Act (IRA) ha catalizzato investimenti senza precedenti nelle energie pulite, con l’85% dei fondi concentrati in contee che hanno votato per Trump. Questo slancio è difficile da fermare, come dimostra una recente lettera di 18 deputati repubblicani che difendono le disposizioni chiave dell’IRA. Anche le elezioni recenti riflettono un cambiamento: gli elettori hanno approvato 13 iniziative locali e statali a favore del clima e della conservazione ambientale.
La società si avvicina rapidamente a un punto di svolta nell’opinione pubblica, un punto di svolta in cui l’azione climatica diventa la norma piuttosto che l’eccezione. Sorprendendo molti, il 2025 potrebbe segnare questo cambiamento epocale.
Alleanze e riallineamenti geopolitici inaspettati
Il nono cigno nero è di Bryndan D. Moore, ingegnere e conduttore del podcast The Black Futurist.
Moore è attratto da tre scenari-chiave che potrebbero delineare il futuro.
Il primo scenario riguarda l’ascesa rapida dell’Intelligenza Artificiale Superiore (ASI) insieme alla maturazione del calcolo quantistico già nel 2025. Questo balzo tecnologico potrebbe innescare una crescita significativa del PIL in nuovi settori, portando benefici sia alle aree rurali sia a quelle urbane. Cosa ancor più importante è che tali progressi potrebbero favorire la nascita di alleanze globali inaspettate, con riallineamenti geopolitici che ridefinirebbero i rapporti tra Medio Oriente, Europa, Africa e India. In particolare, l’aumento della produttività in Africa e India potrebbe trasformare i paesaggi economici e politici globali in modi difficilmente immaginabili.
Il secondo scenario considera un possibile cambiamento repentino in Medio Oriente. Esiste la possibilità che Donald Trump riesca a orchestrare una cessazione delle ostilità in regioni come Gaza, la Siria e il Libano meridionale. Questo percorso verso la pace e la stabilità potrebbe aprire la strada a sviluppi democratici in Siria e alla stabilizzazione del Libano. Tuttavia, un simile progresso richiederebbe negoziazioni complesse e la volontà delle parti coinvolte di consolidare i risultati raggiunti, trasformando così il tessuto sociopolitico della regione.
Infine, il terzo scenario pone l’attenzione sulla vulnerabilità delle infrastrutture globali. Il riferimento è a grandi distruzioni, causate da attacchi informatici, sconvolgimenti geologici o fenomeni solari, che potrebbero paralizzare le reti energetiche e di comunicazione. Tali eventi influenzerebbero operazioni satellitari, sistemi di trasporto e l’interconnessione delle infrastrutture moderne, generando effetti a catena su scala globale. Le conseguenze inciderebbero direttamente sulla stabilità economica e sulla qualità della vita quotidiana.
In tutti questi scenari, è fondamentale preparare le nostre menti all’immensa varietà di possibilità che il futuro potrebbe riservare. L’attenzione dovrebbe essere concentrata sulla prontezza di risposta piuttosto che sulla certezza di una semplice reazione, per affrontare le sfide che ci attendono con maggiore consapevolezza e resilienza.
Il programma segreto di armi nucleari della Corea del Sud
Il decimo cigno nero è di S. Nathan Park è un avvocato che esercita a Washington ed è membro del Quincy Institute for Responsible Statecraft.
Un test nucleare a sorpresa scuote la penisola coreana, ma questa volta non avviene in Corea del Nord. Con un annuncio che lascia il mondo intero sbalordito, il presidente sudcoreano Lee Jae-myung dichiara che la Repubblica di Corea è ora una potenza nucleare e invoca l’Articolo X del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) per ritirarsi dal trattato.
Il programma segreto di armamenti nucleari della Corea del Sud era stato avviato sotto il governo del presidente destituito Yoon Suk-yeol, rimosso e incarcerato dopo un fallito tentativo di autogolpe. Quando Lee ha preso il potere e scoperto l’esistenza del progetto, ha deciso di portarlo avanti, affidandolo agli scienziati.
In altre circostanze, gli Stati Uniti avrebbero scoperto e bloccato ogni tentativo di Seoul di sviluppare armi nucleari. Tuttavia, l’amministrazione Trump, avendo epurato il vecchio “deep state” all’interno del Dipartimento di Stato e della CIA, non disponeva più delle risorse necessarie per intercettare il piano. E, di fatto, a Trump la cosa non dispiaceva: ha accolto con entusiasmo l’iniziativa, descrivendo la “grande, bellissima bomba” della Corea del Sud come una dimostrazione di serietà nel difendere sé stessa contro le minacce della Corea del Nord, che evitava di coinvolgere troppo gli Stati Uniti.
Senza il sostegno americano, l’effetto domino è inevitabile in Asia orientale. Quasi contemporaneamente, Giappone e Taiwan annunciano i propri programmi nucleari, un passo per il quale entrambi i Paesi avevano già la tecnologia necessaria. Con i principali paesi asiatici che abbandonano il Trattato di Non Proliferazione Nucleare, il sistema diventa insostenibile.
Così, uno dei pilastri fondamentali dell’ordine mondiale del dopoguerra si sgretola. L’era della distruzione reciproca assicurata — quella che si sperava relegata al passato — fa il suo ritorno, portando con sé nuove incertezze e tensioni globali.
L’esercito americano nell’era dei non vaccinati
L’undicesimo cigno nero è di Jacob Soll, professore di filosofia e storia e presso la University of Southern California, è autore di Free Market: The History of an Idea (Basic Books).
Il 22 gennaio, appena due giorni dopo l’inaugurazione presidenziale, il Segretario alla Difesa annuncia una decisione storica: nessun vaccino sarà obbligatorio per l’intero esercito, né per il Covid, né per l’influenza, né per altre malattie. I militari potranno vaccinarsi volontariamente, ma il governo non coprirà i costi, seguendo la linea sostenuta da Robert F. Kennedy Jr., che ha dichiarato i vaccini pericolosi e inefficaci. Questo segna l’inizio dell’era dei non vaccinati per le forze armate statunitensi.
Nel frattempo, un ceppo di influenza aviaria H1N1 prolifera in una fattoria del Texas, passando dai bovini ai lavoratori agricoli. Alcuni di loro, connessi alla base militare di Fort Cavazos, diffondono il virus tra i soldati, causando insufficienza respiratoria acuta e numerose morti. Nonostante le raccomandazioni dei medici militari per una vaccinazione urgente, il CDC non conferma l’origine delle morti, e il Segretario alla Difesa rifiuta di intervenire.
L’epidemia si diffonde rapidamente, colpendo non solo gli Stati Uniti ma anche il resto del mondo. Militari e governi stranieri — dal Messico alla Cina, dall’Asia orientale all’Europa — avviano campagne di vaccinazione. Tuttavia, le basi militari americane diventano epicentri di infezione, suscitando proteste da parte di funzionari tedeschi, giapponesi e coreani, che richiedono misure di protezione per il personale. La cooperazione militare si deteriora.
Man mano che l’influenza aviaria si espande, le forze armate americane si indeboliscono. Un generale avverte che l’epidemia rappresenta una minaccia alla sicurezza nazionale maggiore della Cina, citando l’esempio di George Washington che impose la vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo. Questo provoca l’ira del presidente Donald Trump, che minaccia il processo militare del generale.
Nel frattempo, le nazioni concorrenti — Cina, India e Russia — portano avanti con successo le loro campagne di vaccinazione, mentre l’Europa vaccinata chiede un vertice con la Cina e considera l’espulsione delle truppe americane dal continente. Con l’esercito americano debilitato e un nuovo ordine di sicurezza che emerge tra i paesi vaccinati, i mercati finanziari iniziano a spostarsi verso nazioni più sane, ridisegnando il panorama geopolitico globale.
Una speranza di libertà per il popolo bielorusso
Il dodicesimo cigno nero è di Evelyn Farkas è direttrice esecutiva del McCain Institute presso l’Arizona State University. Ha servito come vice assistente segretaria alla Difesa per Russia, Ucraina ed Eurasia dal 2012 al 2015.
Secondo tale suggestione, la caduta del regime di Aleksandr Lukashenko per mano del popolo bielorusso appare oggi più vicina che mai. Sviatlana Tsikhanouskaya, presidente eletta in esilio, ha recentemente esortato i bielorussi a prepararsi per un futuro momento decisivo. La sua chiamata si basa su un’attenta analisi della situazione: la debolezza del governo russo è sempre più evidente, aggravata dalla sconfitta di Bashar al-Assad in Siria, dalle difficoltà economiche e dalla carenza di manodopera causate dalla lunga guerra di Vladimir Putin in Ucraina.
Anche se allo stato attuale sembrerebbe poco rispondente alla realtà, secondo Evelyn Farkas, non è difficile immaginare uno scenario in cui Putin sia costretto a un compromesso — forse accettando la perdita di alcuni territori ucraini, ma che vede l’Ucraina entrare nella NATO o sotto la protezione di un trattato bilaterale con gli Stati Uniti. In alternativa, il Cremlino potrebbe subire una vera e propria sconfitta sul campo, specialmente se l’Ucraina avrà accesso ai 300 miliardi di dollari di asset russi congelati.
Un fallimento importante nella guerra contro l’Ucraina potrebbe mettere seriamente in crisi il potere di Putin. In tale contesto, il popolo bielorusso potrebbe cogliere l’opportunità di rovesciare Lukashenko, approfittando dell’incapacità del leader russo di intervenire per sostenere il suo alleato.
Un tale cambiamento rappresenterebbe una svolta epocale per la Bielorussia, offrendo finalmente al suo popolo la possibilità di aprire la strada a un regime democratico.
Il nodo della sicurezza energetica potrebbe sconvolgere profondamente la vita americana
Il tredicesimo cigno nero è di Michelle Li è fondatrice e CEO di Clever Carbon, un’iniziativa per l’alfabetizzazione sul carbonio, e dell’organizzazione non-profit Women and Climate.
La sicurezza energetica compare come una potenziale causa di un evento Black Swan nel 2025. Con l’espansione dell’intelligenza artificiale, il boom delle criptovalute in contesti più sostenibili, l’accelerazione del consumo digitale e una ripresa economica post-Covid, la domanda di energia potrebbe crescere vertiginosamente. Questo aumento non solo alzerà le emissioni di carbonio, ma esporrà le reti energetiche — già sotto pressione per via di condizioni meteorologiche estreme — a un rischio ancora maggiore.
Eventi come gli uragani Helene hanno già evidenziato la vulnerabilità delle infrastrutture americane. Nondimeno, un esempio indicativo viene da Cuba, dove la rete energetica, ormai obsoleta, è collassata senza bisogno di disastri naturali. Tempeste ed eventi sismici hanno poi ritardato ulteriormente le riparazioni, lasciando la popolazione senza energia per mesi. Negli Stati Uniti, oltre il 70% delle linee di trasmissione e dei trasformatori ha più di 25 anni, progettati per un’epoca in cui le richieste energetiche erano molto più basse.
A ciò si aggiunge il rischio di sicurezza informatica: le infrastrutture critiche, comprese quelle energetiche, idriche e di trasporto, sono bersagli sempre più frequenti per gli hacker. Gli attacchi informatici potrebbero pertanto paralizzare le reti energetiche, aggravando il problema.
Al centro di questa crisi si profila una grave minaccia alla sicurezza nazionale. Senza energia, le comunità diventano estremamente vulnerabili. Le conseguenze potrebbero colpire ospedali, sistemi finanziari e servizi essenziali, generando risposte politiche urgenti ma disordinate.
Se non affrontato, il problema della sicurezza energetica potrebbe sconvolgere profondamente la vita americana nel 2025, rivelandosi come uno degli eventi Black Swan più significativi dell’anno.
La tentazione di ricorrere all’arsenale nucleare potrebbe essere irresistibile
Il quattordicesimo cigno nero è di Jeff Greenfield è scrittore e collaboratore di POLITICO Magazine, specializzato in politica americana. È un analista televisivo pluripremiato, vincitore di 5 Emmy e autore di numerosi libri sulla politica statunitense.
L’anno appena avviato offre scenari che sembrano molto più plausibili oggi di quanto non lo fossero negli anni passati. Il nodo cruciale diventa la dotazione di pesi e contrappesi istituzionali. Nei primi mesi cresce la pressione per confermare le nomine più controverse di Donald Trump e i senatori repubblicani ricevono avvertimenti espliciti: il loro futuro politico dipenderà dall’abbandono del loro tradizionale ruolo costituzionale di controllo e bilanciamento. Tommy Tuberville, senatore dell’Alabama, ha affermato che il Senato non dovrebbe valutare le nomine presidenziali, mentre i lealisti MAGA minacciano di sfidare con primarie i repubblicani esitanti. Tuttavia, questo potrebbe essere solo l’inizio. Nomine effettuate durante le sospensioni del Congresso, blocco di fondi già approvati e utilizzo arbitrario del potere presidenziale nonostante le restrizioni legislative potrebbero diventare realtà. Il timore di perdere il sostegno politico potrebbe spingere i senatori a rinunciare alle loro prerogative, segnando un collasso del sistema di pesi e contrappesi.
Il nodo si sposta sul rischio di attraversamento della “linea rossa” nucleare. In un articolo recente per il New York Times Magazine, William Langewiesche ha spiegato come l’espansione delle armi nucleari tattiche a basso rendimento aumenti il rischio del loro utilizzo. I media russi hanno più volte suggerito che queste armi potrebbero essere una risposta “ragionevole” agli insuccessi nella guerra contro l’Ucraina. Se Stati nucleari come Russia, Cina o Corea del Nord lanciassero attacchi aggressivi per ottenere una “vittoria finale” e questi fallissero, la tentazione di ricorrere all’arsenale nucleare potrebbe diventare irresistibile: un war game capace di generare milioni di morti.
Infine il rischio di disastro digitale. Nell’ultimo anno, attacchi ransomware hanno colpito grandi aziende come AT&T e Disney, causando danni per 40 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti. Ma questi eventi sarebbero nulla in confronto a un attacco che paralizzasse la rete elettrica o interrompesse le comunicazioni a livello nazionale. Valutazioni credibili indicano che attori come Cina o Russia stanno attivamente cercando la vulnerabilità nei sistemi digitali occidentali. Un attacco di questa portata avrebbe un costo incalcolabile in termini economici, sanitari e di vite umane, e metterebbe a rischio l’intera struttura sociale di una nazione sempre più dipendente dal web.
Questi scenari non sono semplici ipotesi, ma segnali di un futuro che richiede attenzione immediata e azioni concrete per mitigare le minacce.
Una decisiva svolta nel calcolo quantistico
Il quindicesimo cigno nero è di Aziz Huq insegna diritto all’Università di Chicago ed è autore di The Collapse of Constitutional Remedies.
La fantascienza spesso anticipa, con sorprendente precisione, ciò che noi, immersi nella quotidianità, fatichiamo a riconoscere. Un esempio è il romanzo Station 11 di Emily St. John Mandel, che affronta il tema di una moderna peste, pubblicato ben prima della pandemia di Covid. Un altro esempio emblematico è The Private Eye di Brian K. Vaughan e Marcos Martin, in cui una diversa pandemia colpisce l’America: il collasso della sicurezza informatica, con tutti i dati personali resi pubblici.
Il lavoro di Vaughan e Martin riecheggia le recenti notizie sui progressi nel calcolo quantistico, sviluppato prima in Cina e poi da Google negli Stati Uniti. Disporre di un computer quantistico renderebbe obsolete molte delle protezioni crittografiche che oggi salvaguardano i dati personali e aziendali. Quei piccoli lucchetti accanto agli URL diventerebbero, da un giorno all’altro, un inutile rappresentazione.
Immaginiamo cosa potrebbe accadere se il definitivo progresso nel calcolo quantistico — quello che lo renderebbe una realtà concreta per Stati e grandi aziende — venisse raggiunto, ad esempio, all’Università Tsinghua in Cina entro la fine del 2025. Questo strumento trasformato in arma potrebbe essere sfruttato in una guerra commerciale per abbattere le protezioni sulla privacy dei dati personali degli americani, con implicazioni potenzialmente devastanti.
Il racconto di Vaughan e Martin dipinge un mondo in cui la fiducia è completamente scomparsa. Nazioni e individui, privati di questa fiducia, si ritirano in un isolamento spaventoso. Come accade con tutta la grande fantascienza, l’impatto del loro lavoro letterario non deriva solo da un volo d’immaginazione tipico di chi scrive, ma dalla loro capacità concreta di avvicinarsi a possibili e realistici scenari del futuro.