La proposta di bilancio dell’amministrazione Trump punta a rifinanziare fossili e minerali strategici, tagliando oltre 15 miliardi alle energie pulite, con impatti globali su clima, agricoltura, innovazione e geopolitica energetica.
La proposta di bilancio federale per il 2026 presentata dall’amministrazione Trump rappresenta un netto cambio di paradigma rispetto agli indirizzi degli ultimi anni in tema di energia, sostenibilità e innovazione. Il piano prevede tagli per 163 miliardi di dollari alla spesa non militare, di cui oltre 15 miliardi riguardano i fondi per energie rinnovabili, carbon capture e mobilità elettrica. In particolare, si mira a cancellare integralmente le dotazioni previste dal Bipartisan Infrastructure Law del 2021, simbolo della politica industriale “green” dell’amministrazione Biden.
La manovra, se approvata, inciderebbe profondamente sugli equilibri interni ed esterni del settore energetico statunitense, riorientando i flussi di investimento pubblico verso tecnologie legate a petrolio, gas, carbone, uranio e terre rare, segnando una nuova visione di politica industriale e geopolitica energetica.
Transizione interrotta: i dettagli dei tagli
Nel merito, la proposta prevede:
- Cancellazione di 15 miliardi di dollari per programmi di energia pulita e cattura del carbonio
- Eliminazione di 6 miliardi destinati all’infrastruttura di ricarica per veicoli elettrici
- Taglio di 80 milioni a programmi per l’eolico offshore del Dipartimento degli Interni
- Riduzione del 55% del budget EPA, con eliminazione di fondi per la ricerca sul cambiamento climatico e giustizia ambientale
- Tagli per oltre 1,3 miliardi alla NOAA, inclusi satelliti e strumenti dedicati al monitoraggio climatico
- Tagli all’USDA per 4,5 miliardi, colpendo conservazione, sviluppo rurale e ricerca agroalimentare.
La retorica di accompagnamento privilegia un approccio “pro-mercato”, criticando le politiche di regolazione ambientale e giustizia climatica dell’amministrazione precedente e proponendo una visione in cui il settore privato sia attore principale anche nella transizione energetica.
Politica industriale: inversione di rotta su scala sistemica
Il nuovo indirizzo evidenzia una reindustrializzazione fossile, che punta su ricerca e sviluppo nel campo di combustibili tradizionali, reattori nucleari avanzati, carburanti ad alta densità energetica e materie prime critiche.
Da un lato, ciò può essere letto come un tentativo di rafforzare l’autonomia energetica americana in risposta alla crescente instabilità globale delle catene di approvvigionamento. Dall’altro, emerge una chiara volontà di dismettere la leadership statunitense nella corsa globale alla neutralità climatica, con rischi tangibili in termini di competitività, diplomazia ambientale e attrattività tecnologica.
Implicazioni giuridiche e multilaterali
Sul piano normativo, la manovra richiederebbe interventi legislativi complessi, inclusi atti di rescissione per fondi già assegnati con legge bipartisan. Questo potrebbe generare tensioni non solo in Congresso, dove i fondi sono popolari anche in Stati repubblicani, ma anche nei rapporti con alleati internazionali coinvolti nei programmi congiunti su clima, transizione agricola e innovazione.
Il taglio della ricerca pubblica federale solleva inoltre preoccupazioni giuridiche in tema di adempimenti obbligatori verso standard ambientali, target di decarbonizzazione e rispetto delle direttive federali in ambito scientifico.
Effetti sull’ecosistema innovativo
Secondo Sudip Parikh, CEO della American Association for the Advancement of Science, l’approvazione del budget “sarebbe catastrofica per la leadership statunitense nella ricerca e sviluppo.” In particolare, il taglio a EPA e NOAA pregiudicherebbe gli investimenti in sistemi di modellazione climatica, early warning meteorologici, biodiversità e sicurezza alimentare.
La dismissione dei programmi McGovern-Dole, Food for Progress e Food for Peace segna anche un riposizionamento della politica estera agroalimentare USA, riducendo la proiezione umanitaria e soft power americano nei Paesi in via di sviluppo.
Geopolitica energetica e rischio asimmetrico
In un contesto in cui l’Unione Europea e la Cina accelerano su tecnologie pulite, batterie, idrogeno e materiali strategici, la proposta Trump potrebbe isolare gli Stati Uniti dagli standard emergenti della transizione globale. Questo produrrebbe asimmetrie nei rapporti commerciali, tensioni tariffarie e una potenziale perdita di influenza nei nuovi mercati energetici globali.
La centralità attribuita a fossili, carbone e uranio, inoltre, riapre il confronto con le principali sfide geopolitiche del XXI secolo: sicurezza degli approvvigionamenti, stabilità climatica, e sostenibilità finanziaria delle infrastrutture energetiche.
Verso una “contro-transizione” strutturale?
La proposta di bilancio 2026 della presidenza Trump non è solo una manovra contabile. È un manifesto industriale e strategico che intende archiviare la stagione della transizione ecologica per rilanciare un’idea di potenza fondata su autarchia energetica, deregolamentazione ambientale e centralità del mercato.
La sfida ora passa al Congresso, dove l’esito legislativo determinerà se gli Stati Uniti torneranno leader della transizione energetica globale o se sceglieranno di ridefinire il proprio ruolo secondo logiche energetiche del passato.