Lo studio “Verso una nuova competitività industriale europea”, firmato da Ambrosetti con ANIE Confindustria e Intesa Sanpaolo, svela i ritardi italiani su competenze digitali e STEM, la carenza di profili qualificati e le opportunità legate all’AI. Un quadro che impone scelte rapide e una strategia condivisa per non perdere la sfida della doppia transizione
L’Italia industriale si trova davanti a un bivio storico. L’innovazione tecnologica e l’intelligenza artificiale aprono scenari di crescita senza precedenti, ma il Paese sconta un deficit strutturale di competenze, un sistema formativo in affanno e un inverno demografico che riduce la forza lavoro. La doppia transizione verde e digitale, che promette competitività e sostenibilità, può trasformarsi in un’occasione mancata se non verrà siglato un nuovo patto tra imprese, istituzioni e capitale umano.
La doppia transizione come spartiacque industriale
La transizione green e digitale è più di un cambiamento tecnologico: è un passaggio epocale che ridefinisce catene di fornitura, modelli di business e rapporti di forza geopolitici. Per l’Italia, che ha costruito la sua ricchezza industriale su settori manifatturieri ad alto valore aggiunto, il rischio è evidente: senza la capacità di governare questo processo, il Paese potrebbe perdere centralità nel nuovo equilibrio produttivo europeo.
Lo studio “Verso una nuova competitività industriale europea”, curato da The European House – Ambrosetti insieme ad ANIE Confindustria e al Research Department di Intesa Sanpaolo, mette a nudo luci e ombre del sistema. Se da un lato emergono eccellenze capaci di competere globalmente, dall’altro si rilevano nodi strutturali che rischiano di frenare la modernizzazione: dalla scarsità di competenze al gap demografico, fino all’assenza di una strategia nazionale sulle skill.
Lavoro verde e digitale: rivoluzione occupazionale e nuove disuguaglianze
I tre macrotrend – digitalizzazione, decarbonizzazione e adattamento climatico – sono destinati a rivoluzionare il lavoro. Tra il 2025 e il 2030 genereranno 18,5 milioni di posti di lavoro netti a livello globale, ma con una forte ristrutturazione delle professioni.
In Italia, il fenomeno è particolarmente evidente: nel 2023 il 77% delle assunzioni nell’elettrotecnica e nell’elettronica ha richiesto competenze green, contro il 35% della media nazionale. Il divario segnala che i settori più avanzati stanno già correndo, ma che il resto del Paese fatica a tenere il passo.
Secondo LinkedIn, tra il 2018 e il 2023 le offerte di lavoro con richieste green sono cresciute del 9,2% l’anno, mentre la disponibilità di lavoratori con skill adeguate è aumentata solo del 5,4%. È un mismatch che rischia di diventare cronico, creando nuove disuguaglianze nel mercato del lavoro e rendendo difficile attuare i piani europei di transizione sostenibile.
Digital skill: il tallone d’Achille italiano
Il quadro diventa ancora più critico se si guarda al digitale. Solo il 49% degli italiani possiede competenze digitali di base, contro una media OCSE del 71%. Questo deficit limita la capacità del Paese di assorbire le tecnologie emergenti e di trasformarle in vantaggio competitivo.
Il ritardo è evidente anche nelle discipline STEM: con 18,5 laureati ogni 1.000 giovani tra i 20 e i 29 anni, l’Italia è sotto la media UE e molto distante da Paesi come Francia (35,3%) e Irlanda (40,1%).
Anche la formazione continua mostra fragilità: nel 2022 solo il 10% degli adulti ha preso parte a programmi di aggiornamento professionale, contro una media europea del 13% e valori record come il 35% della Svezia. In un’economia in cui l’innovazione è rapida e continua, l’assenza di un ecosistema di lifelong learning rischia di rendere obsolete intere generazioni di lavoratori.
Industria in affanno: quando mancano le competenze, si fermano i progetti
Le imprese denunciano ormai da anni un crescente mismatch. Secondo un’indagine ANIE, il 75% delle aziende dell’elettrotecnica e dell’elettronica fatica a trovare profili qualificati. Tecnici e operai specializzati, figure centrali per il settore, rappresentano l’85% delle nuove assunzioni, ma sono sempre più difficili da reperire.
Gli effetti sono immediati:
- il 69% delle aziende ha dovuto rallentare o sospendere progetti strategici
- il 29% ha perso opportunità di mercato
- il 64% teme una crescente difficoltà nel trattenere i talenti
Dal 2017 al 2023, le posizioni con difficoltà di reperimento sono passate dal 37% al 58%. Non si tratta di un ciclo passeggero, ma di un trend strutturale che, se non corretto, rischia di compromettere la capacità del Paese di stare nella catena del valore globale.
ITS e formazione tecnica: un asset strategico sottoutilizzato
Gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) sono uno dei pochi strumenti concreti che stanno funzionando. Con un tasso di occupazione dell’84% e una crescita delle iscrizioni del 38% nel 2023, rappresentano un modello formativo capace di rispondere direttamente alle esigenze delle imprese.
Eppure, in Italia, gli iscritti a percorsi terziari professionalizzanti sono solo l’1% del totale, contro il 40% della Germania, il 29% della Francia e il 27% della Spagna. La marginalità degli ITS è il frutto di una scarsa integrazione con scuole e università, una visibilità limitata e una percezione ancora riduttiva del valore del lavoro tecnico.
Per trasformarli in un vero pilastro servono investimenti strutturali, politiche di lungo periodo e un cambio culturale radicale che restituisca dignità e attrattiva alle professioni tecniche.
Intelligenza artificiale: minaccia o acceleratore da 312 miliardi?
La discussione sull’AI generativa divide opinioni e strategie. Ma lo studio ANIE fornisce un dato inequivocabile: se integrata nei processi produttivi, l’AI potrebbe generare fino a 312 miliardi di euro annui di valore aggiunto, pari al PIL della Lombardia, oppure liberare 5,7 miliardi di ore lavorative mantenendo invariato il valore creato.
Per le imprese, non è una questione di sostituzione dell’uomo con la macchina. L’81% delle aziende ANIE non teme la perdita di posti di lavoro, ma prevede un cambiamento radicale del modo di lavorare. Le nuove competenze chiave saranno quelle capaci di co-progettare con l’AI, di sfruttarne la capacità di analisi e di integrarla nei processi decisionali.
Il tema, quindi, non è se l’AI distruggerà lavoro, ma se il Paese sarà in grado di formare lavoratori pronti a governarla.
Demografia: l’inverno che minaccia la produttività
Se la tecnologia rappresenta un’opportunità, la demografia resta il vincolo più severo. L’Italia si avvia a una contrazione della popolazione in età lavorativa del 20,5% entro il 2050, il peggior dato in Europa.
Lo scenario elaborato dagli analisti è drammatico: in assenza di correttivi, la natalità in caduta libera porterà a un collasso della forza lavoro disponibile, con effetti devastanti sulla capacità produttiva e innovativa del Paese.
La risposta non può limitarsi a incentivi alla natalità. Servono politiche di attrazione dei talenti, programmi di integrazione, automazione intelligente e soprattutto un massiccio investimento nella valorizzazione delle risorse esistenti attraverso upskilling continuo.
Le proposte ANIE: un piano per il capitale umano
Per affrontare il mismatch, ANIE ha messo sul tavolo un piano concreto che punta a:
- valorizzare le professioni tecniche con campagne nazionali
- integrare percorsi formativi tra ITS, IFTS e università
- creare tavoli multistakeholder per aggiornare gli standard professionali
- avviare progetti di upskilling e reskilling di filiera, con formatori dedicati alle PMI
- stringere partnership internazionali per attrarre e sviluppare talenti.
Come ha dichiarato Renato Martire, vicepresidente di ANIE Confindustria: “Il capitale umano non è solo un fattore produttivo: è la vera infrastruttura strategica del nostro futuro industriale. Senza persone preparate, non ci sarà innovazione né sostenibilità”.
Un patto nazionale per restare competitivi
La doppia transizione non è un’opzione, ma un imperativo. L’Italia dispone di eccellenze industriali e tecnologiche, ma senza una strategia nazionale sulle competenze rischia di restare ai margini della competizione globale.
Il messaggio dello studio ANIE è chiaro: servono visione politica, investimenti strutturali e un patto formativo tra imprese, istituzioni e sistema educativo. Solo così l’Italia potrà trasformare la doppia transizione in un’occasione di leadership e non in un’occasione mancata.