Con la Global Energy Alliance for People and Planet, il fondatore di Amazon lancia un piano quinquennale per mobilitare capitali filantropici e privati: obiettivo, portare energia pulita in Africa e Asia e colmare il vuoto lasciato dagli aiuti pubblici.
Nelle capitali occidentali l’attenzione è tutta rivolta alle crisi geopolitiche, ai mercati energetici instabili e alle sfide industriali della decarbonizzazione. Ma lontano dai riflettori, miliardi di persone vivono ancora senza elettricità o dipendono da generatori a gasolio. È qui che entra in gioco Jeff Bezos, che dal cuore della sua fortuna miliardaria tenta ora una nuova sfida: riscrivere le regole della transizione energetica globale. Con la Global Energy Alliance for People and Planet (GEAPP), sostenuta da capitali filantropici e privati, punta a raccogliere 7,5 miliardi di dollari per accendere il futuro del Sud del mondo.
Un’alleanza per colmare i vuoti lasciati dalla politica
Negli ultimi quindici anni, la promessa dei Paesi industrializzati di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno in finanza climatica a favore del Sud globale è rimasta incompiuta o parzialmente rispettata. Tra crisi economiche, inflazione e guerre, gli aiuti pubblici per il clima hanno subito un calo, lasciando intere regioni senza il sostegno necessario per sviluppare infrastrutture energetiche pulite.
La GEAPP nasce proprio da questo vuoto. L’idea è semplice e ambiziosa: mettere insieme almeno 500 milioni di dollari di capitale filantropico come leva per attrarre ulteriori miliardi dal settore privato e dalle istituzioni multilaterali. Il messaggio è chiaro: se i governi esitano, la filantropia e il capitale privato possono muoversi più velocemente. Ma la domanda resta aperta: possono davvero supplire a una volontà politica che appare ancora fragile?
La sfida delle infrastrutture energetiche
Il piano della GEAPP punta a portare energia pulita, accessibile e affidabile in aree del mondo dove ancora oggi centinaia di milioni di persone vivono senza elettricità. In Africa sub-sahariana, il 43% della popolazione è privo di accesso alla rete elettrica; in Asia meridionale, milioni di famiglie dipendono da combustibili tradizionali e generatori a diesel.
Le soluzioni messe sul tavolo spaziano da micro-reti solari decentralizzate e sistemi off-grid con batterie a progetti di efficienza energetica urbana e modernizzazione delle reti nazionali. Non si tratta solo di luce nelle case: energia pulita significa scuole che possono restare aperte anche di sera, ospedali che funzionano senza blackout, imprese che possono crescere senza dipendere da carburanti costosi e inquinanti.
Ogni dollaro investito ha, dunque, un impatto doppio: ridurre le emissioni e innescare sviluppo socio-economico. Eppure, la complessità logistica e politica di questi Paesi – dalla fragilità istituzionale ai conflitti locali – rende la realizzazione concreta un terreno accidentato.
Bezos e la filantropia climatica
Il sostegno di Jeff Bezos non è solo finanziario, ma anche reputazionale. Con il suo Earth Fund da 10 miliardi di dollari, l’ex CEO di Amazon ha provato a ridefinire la propria immagine pubblica, spesso associata a critiche sul modello di business della sua azienda e al suo impatto ambientale.
Il suo impegno nella GEAPP appare come un tentativo di dimostrare che il capitalismo dei super-ricchi può avere un volto diverso, capace di investire in soluzioni che vanno oltre il profitto immediato. Tuttavia, non mancano le voci critiche: affidare a un’élite di miliardari la missione di risolvere la crisi climatica rischia di concentrare troppo potere decisionale in poche mani, con priorità e agende non sempre allineate con le necessità delle comunità locali.
Mobilitare il capitale privato: la vera prova
Se la filantropia può avviare il processo, la sfida cruciale sarà convincere i mercati a seguire. Secondo l’International Energy Agency, la transizione energetica nei Paesi emergenti richiede oltre 2.000 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. I 7,5 miliardi promessi dalla GEAPP, pur significativi, sono una goccia in un oceano.
La speranza è che questi fondi agiscano da catalizzatore, riducendo i rischi percepiti dagli investitori e stimolando flussi di capitale su larga scala. Ma la realtà è che, senza regole chiare, garanzie politiche e stabilità istituzionale, molti capitali continueranno a preferire mercati maturi. La GEAPP può accendere la miccia, ma per alimentare il fuoco servirà un impegno collettivo molto più ampio.
Verso COP30: un banco di prova
Il piano della GEAPP è stato presentato durante la Climate Week di New York, ma il vero banco di prova sarà la prossima COP30 in Brasile. Lì si vedrà se le grandi promesse potranno tradursi in risultati concreti: progetti avviati, contratti firmati, comunità collegate a nuove fonti di energia pulita.
Se la GEAPP riuscirà a presentarsi con successi tangibili, potrà guadagnare credibilità e stimolare altre iniziative simili. Ma se resterà confinata a un annuncio ad effetto, rischierà di alimentare lo scetticismo verso l’ennesima promessa mancata.
Il tempo come vero capitale
Il nuovo piano della GEAPP rappresenta una delle più ambiziose mobilitazioni di capitale filantropico per il clima mai viste. Con il nome di Jeff Bezos in prima fila, il progetto attira attenzione, fondi e speranze. Ma la vera valuta in gioco non sono i miliardi: è il tempo.
Ogni anno che passa senza soluzioni concrete aumenta il prezzo umano ed economico della crisi climatica. I 7,5 miliardi promessi sono importanti, ma non sufficienti. Servono impegni coordinati, politiche pubbliche coraggiose e un settore privato pronto a guardare oltre i ritorni a breve termine.
La GEAPP è un esperimento che potrebbe diventare un modello globale o rivelarsi un’illusione di filantropia ad alto impatto mediatico. In questa sfida, Bezos ha mosso una pedina importante. Ora resta da vedere se i governi, i mercati e le comunità locali saranno disposti a seguirla, prima che il tempo – più dei soldi – si esaurisca davvero.