La guerra degli algoritmi: come la Cina sta militarizzando l’intelligenza artificiale

RedazioneRedazione
| 28/10/2025
La guerra degli algoritmi: come la Cina sta militarizzando l’intelligenza artificiale

Pechino accelera la corsa alla superiorità militare digitale: DeepSeek, Huawei e Norinco guidano la rivoluzione tecnologica che sta trasformando la guerra in un sistema autonomo di intelligenze artificiali.

Dai droni intelligenti ai veicoli senza pilota, fino ai chip patriottici e alla “sovranità algoritmica”: dentro la strategia segreta con cui la Cina sta fondendo IA, industria militare e potere politico per dominare la guerra del XXI secolo.

La nuova frontiera della guerra: la mente artificiale di Pechino

Nel febbraio 2025, in una conferenza di Stato trasmessa in diretta su CCTV, il colosso militare Norinco ha svelato il P60, un veicolo da combattimento capace di muoversi autonomamente a cinquanta chilometri orari e di condurre missioni tattiche senza intervento umano.
Non era solo una dimostrazione tecnologica: era un messaggio.

Al cuore del sistema non c’è un motore, ma un cervello artificiale: DeepSeek, il modello di intelligenza sviluppato in Cina e diventato l’orgoglio del Partito Comunista.
Secondo i funzionari di Pechino, il P60 rappresenta la prima pietra di una nuova dottrina militare: la guerra cognitiva, in cui le macchine non eseguono più ordini, ma ragionano in modo autonomo.

La presentazione del veicolo, salutata dai media di Stato come “una pietra miliare della sovranità tecnologica”, segna l’inizio di una trasformazione silenziosa e radicale: la Cina non sta più solo costruendo armi, ma sta addestrando macchine a pensare come un esercito.

Il laboratorio della guerra automatizzata

Un’indagine di Reuters su centinaia di brevetti, paper scientifici e bandi militari rivela l’esistenza di un programma sistematico di militarizzazione dell’intelligenza artificiale.
Dietro l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) si muove una rete di università, imprese e laboratori statali che collaborano a un obiettivo comune: trasformare la pianificazione militare in un processo automatizzato e predittivo.

L’approccio cinese si distingue per la sua coerenza ideologica: dove gli Stati Uniti parlano di “supporto decisionale”, la Cina parla apertamente di autonomia operativa.
In altre parole, mentre Washington cerca di mantenere l’uomo “nel ciclo decisionale”, Pechino vuole ridurlo.

La logica è semplice, ma inquietante: più la macchina è indipendente, più è veloce; più è veloce, più vince.

Dietro questa visione c’è la convinzione che la superiorità militare non derivi più dal numero di truppe o di carri armati, ma dalla velocità di calcolo e dalla capacità di analizzare dati in tempo reale.

Chip, embargo e resilienza: la corsa all’autonomia tecnologica

Il tallone d’Achille del potere digitale cinese resta l’hardware.
Dal 2022 gli Stati Uniti hanno imposto un embargo sull’esportazione verso la Cina dei chip Nvidia A100 e H100, essenziali per l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale più avanzati.

Eppure, nonostante le sanzioni, le tracce di Nvidia continuano a emergere nei brevetti e nei documenti del PLA.
Molti sistemi di ricerca e sviluppo menzionano ancora GPU americane, forse frutto di stock pre-embargo o di importazioni indirette.
Un portavoce di Nvidia ha minimizzato, affermando che il riutilizzo di vecchie unità “non rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale”, ma le evidenze mostrano che la dipendenza tecnologica non è stata spezzata.

Per ridurre il divario, Pechino ha lanciato una politica di autarchia digitale: produzione domestica di semiconduttori, chip Huawei Ascend e architetture dedicate all’AI militare.
È la strategia della resilienza tecnologica, dove l’obiettivo non è la perfezione, ma la sufficienza strategica: possedere quanto basta per non essere vulnerabili alle pressioni occidentali.

DeepSeek, il cervello dell’esercito digitale

Tra le invenzioni simbolo di questa nuova era, DeepSeek è molto più di un modello linguistico. È il cuore cognitivo del sistema militare cinese.
Nato per competere con ChatGPT, è stato rapidamente integrato in ambiti di pianificazione, simulazione e comando militare.

Nel 2025, almeno una dozzina di contratti pubblici del PLA menzionano l’uso di DeepSeek in applicazioni come la logistica predittiva, la ricognizione automatica di immagini satellitari, la gestione dei droni e la modellazione delle battaglie.

Ma DeepSeek non è solo tecnologia. È ideologia applicata al codice.
Il modello è progettato per aderire alle direttive politiche del Partito Comunista: filtra, interpreta e apprende secondo parametri nazionali.
In una nazione dove i dati sono potere e l’informazione è sorvegliata, DeepSeek è la forma più pura di intelligenza di Stato: un cervello digitale fedele, obbediente e nazionale.

Questa architettura è ciò che Pechino chiama sovranità algoritmica: il controllo totale non solo dei dati, ma dei processi cognitivi che li elaborano.

Droni, cani robotici e fantascienza operativa

A novembre 2024, un bando del PLA annunciava lo sviluppo di cani robotici da combattimento, capaci di muoversi in branco, identificare minacce, disinnescare mine e trasmettere dati in rete.
L’immagine — metà Black Mirror, metà Terminator — è diventata virale sui media di Stato, ma dietro la spettacolarità c’è la realtà di un esercito che sperimenta piattaforme autonome multi-agente, in grado di collaborare senza intervento umano.

Accanto a questi, Pechino sviluppa sciami di droni dotati di visione computazionale e algoritmi di riconoscimento facciale, in grado di agire su coordinate condivise in tempo reale.
Secondo uno studio dell’Università Tecnologica di Xi’an, un sistema basato su DeepSeek avrebbe simulato 10.000 scenari di battaglia in meno di un minuto, riducendo il tempo decisionale del 99%.

Difficile verificare questi dati, ma il messaggio è chiaro: la velocità è il nuovo deterrente.
La Cina non mira più a un vantaggio numerico, ma a un vantaggio temporale e cognitivo.

Huawei e il capitalismo militare con caratteristiche cinesi

Dietro ogni innovazione militare si nasconde una rete di colossi civili.
Huawei, Norinco e DeepSeek formano oggi un triangolo strategico che fonde industria, accademia e difesa.
In questo ecosistema, il confine tra uso civile e militare non esiste: ogni innovazione nasce dual use, destinata tanto al mercato quanto al campo di battaglia.

Huawei fornisce i chip Ascend e le infrastrutture di calcolo; DeepSeek sviluppa i modelli; Norinco li traduce in hardware operativo.
È la perfetta incarnazione del capitalismo militare con caratteristiche cinesi: uno Stato che non supervisiona l’impresa, ma la incorpora.

Questo approccio garantisce efficienza e controllo politico, ma introduce un nuovo tipo di potere: un potere che non ha bisogno di armi per esercitarsi, perché agisce sui dati, sulla logica e sull’infrastruttura cognitiva della società.

Autonomia letale e il dilemma morale della guerra automatizzata

Pechino dichiara ufficialmente di voler mantenere “il controllo umano” sui sistemi d’arma autonomi.
Ma tra la teoria e la pratica si apre un abisso.

I nuovi sistemi d’intelligenza artificiale sono progettati per operare anche in assenza di comunicazioni o input umani, specialmente in ambienti saturi di guerra elettronica.
In quei contesti, la macchina deve decidere e lo fa.

La linea tra “autonomia operativa” e “autonomia letale” si sta assottigliando.
È il rischio più grande di questa rivoluzione: un sistema che agisce prima di poter essere fermato.
E se gli Stati Uniti sviluppano migliaia di droni autonomi con il progetto Replicator, la simmetria tra le due superpotenze è ormai completa.

Siamo alla vigilia di un conflitto in cui la deliberazione politica potrebbe essere superata dalla velocità della decisione algoritmica.

La mente delle macchine e l’ombra dell’uomo

Nel XXI secolo la corsa agli armamenti non si misura più in testate o divisioni, ma in teraflops e data center.
La nuova guerra non è solo un fatto militare: è una battaglia epistemologica per il controllo della conoscenza e del tempo.

La Cina, con la sua dottrina di sovranità algoritmica, non sta semplicemente costruendo armi intelligenti, ma sta costruendo una civiltà che pensa attraverso la macchina.
Ogni algoritmo diventa un frammento di potere, ogni chip un atto di sovranità, ogni decisione automatizzata un passo verso un mondo dove l’uomo non è più al centro del comando.

La vera domanda, oggi, non è se le macchine combatteranno al posto nostro. Ma se, quando lo faranno, saremo ancora noi a decidere perché.

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