Secondo il rapporto annuale ISTAT, appena pubblicato, l’Italia mostra un gap strutturale nell’adozione dell’intelligenza artificiale e nelle competenze digitali di base, con forti divari territoriali e una crescente emigrazione di giovani qualificati. Una sfida cruciale per la competitività industriale e la sovranità tecnologica del Paese.
L’Italia rallenta sull’innovazione: solo 8 imprese su 100 adottano l’intelligenza artificiale
Nel contesto di una crescita economica fragile e strutturalmente rallentata, l’Italia sconta anche un ritardo significativo nella transizione digitale. È quanto emerge dal Rapporto annuale ISTAT, che fotografa un paese tecnologicamente disallineato rispetto agli standard europei.
Solo l’8% delle imprese italiane ha adottato soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, una percentuale nettamente inferiore rispetto a Francia, Spagna e Germania, dove l’adozione sfiora o supera il 20%. Il dato segnala una vulnerabilità sistemica in termini di innovazione produttiva, competitività internazionale e resilienza tecnologica.
Competenze digitali sotto la media UE: il divario formativo penalizza l’economia
A pesare sul ritardo italiano è anche il basso livello di alfabetizzazione digitale della popolazione. Secondo ISTAT, solo il 45,8% degli italiani tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base, contro una media UE del 55,5% e un target europeo dell’80% entro il 2030.
La situazione si aggrava nel Mezzogiorno, dove il tasso scende al 36,1%, rendendo ancora più fragile il tessuto socio-economico delle regioni meridionali e limitando la capacità del Paese di attrarre investimenti in settori ad alto contenuto tecnologico.
Fuga di cervelli e demografia negativa: la doppia crisi del capitale umano
A preoccupare non è solo la bassa adozione di tecnologie emergenti, ma anche la crescente perdita di capitale umano qualificato. Nel 2023, 21.000 laureati italiani tra i 25 e i 34 anni hanno lasciato il Paese, con un incremento annuo del 21,2%. Il saldo netto negli ultimi dieci anni è negativo per 97.000 giovani qualificati.
Questa emorragia di competenze, alimentata da opportunità ridotte, bassi salari e limitata mobilità sociale, compromette la possibilità di costruire un ecosistema innovativo interno e mina le basi della sovranità tecnologica nazionale.
Crescita economica debole e incertezza esterna: lo scenario macro
Il quadro è ulteriormente complicato da una congiuntura macroeconomica incerta. Il governo ha recentemente rivisto al ribasso la stima di crescita per il 2025, portandola dallo 1,2% allo 0,6%, mentre nel primo trimestre del 2024 il PIL è aumentato di appena lo 0,3%.
Fattori esterni, come le politiche tariffarie statunitensi, contribuiscono a mantenere alta la volatilità e frenano la propensione agli investimenti in tecnologia e innovazione.
Implicazioni per politica industriale, diritto dell’innovazione e finanza pubblica
Il ritardo nell’adozione dell’intelligenza artificiale non è solo un deficit tecnologico: è una questione strategica che coinvolge politiche industriali, giuridiche e fiscali.
- Sul piano normativo, serve una cornice abilitante per l’adozione dell’AI nelle PMI.
- Dal lato della finanza pubblica, è urgente un piano di investimenti mirato su formazione digitale, upskilling e infrastrutture cognitive.
- A livello geopolitico, la capacità dell’Italia di contribuire alla costruzione dell’autonomia strategica europea passa anche per la riduzione del digital divide interno e per la valorizzazione dei talenti nazionali.
Un cambio di paradigma è urgente
Il Rapporto ISTAT evidenzia un’Italia a rischio di marginalizzazione tecnologica. Per invertire la rotta, occorrono:
- Un piano nazionale per l’adozione dell’AI nelle filiere produttive
- Un ecosistema di innovazione inclusivo, che unisca impresa, università e territori
- Una governance industriale orientata alla resilienza digitale e alla retention dei talenti.
In gioco non c’è solo il PIL, ma la posizione dell’Italia nelle catene globali del valore digitale.