Il crollo del “Green Pact”: l’alleanza Net-Zero Banking Alliance perde i giganti e cambia pelle

RedazioneRedazione
| 27/08/2025
Il crollo del “Green Pact”: l’alleanza Net-Zero Banking Alliance perde i giganti e cambia pelle

Nata nel 2021 per allineare la finanza globale agli obiettivi di Parigi, la Net-Zero Banking Alliance affronta un esodo di colossi come HSBC, Barclays e UBS. La trasformazione in “framework initiative” segna la fine dell’illusione volontaria e apre il dibattito sulla necessità di regole vincolanti per il settore bancario.

All’inizio fu la promessa: banche globali unite per guidare la transizione climatica, con l’impegno a ridurre le emissioni e finanziare un’economia decarbonizzata. Quattro anni dopo, la Net-Zero Banking Alliance appare svuotata, abbandonata dai suoi giganti e costretta a reinventarsi. La decisione di trasformarsi in una semplice “framework initiative” non è solo un cambio di struttura: è il simbolo della fragilità degli impegni volontari. E apre una domanda cruciale: senza regole vincolanti, la finanza può davvero guidare la lotta al cambiamento climatico?

La parabola di un’alleanza globale: dall’entusiasmo di Glasgow alla crisi del 2025

Quando la Net-Zero Banking Alliance fu lanciata nel 2021, alla vigilia della COP26 di Glasgow, l’entusiasmo era palpabile: decine di istituti, tra cui i più grandi al mondo, accettarono di legare i propri bilanci agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Per la prima volta la finanza sembrava assumersi una responsabilità concreta nella transizione energetica. Quattro anni dopo, lo scenario è radicalmente mutato. L’uscita a catena di giganti come HSBC, Barclays, UBS e delle principali banche nordamericane e asiatiche ha ridotto l’alleanza a un guscio fragile, costringendola a ridefinirsi per non perdere del tutto credibilità. Questa parabola rivela quanto le alleanze volontarie possano essere esposte a shock politici, economici e culturali, e quanto sia difficile mantenere un impegno climatico quando si scontra con la realtà dei mercati globali.

Antitrust e politica: quando il clima diventa terreno di scontro ideologico

Una delle principali cause della crisi è l’offensiva politica scatenata negli Stati Uniti. Alcuni esponenti repubblicani hanno accusato la NZBA di configurare una possibile violazione delle regole antitrust, sostenendo che banche concorrenti non dovrebbero coordinare strategie sul credito e sugli investimenti. Dietro questa retorica legale si nasconde una campagna più ampia contro l’ESG e il cosiddetto “capitalismo woke”. Il risultato è stato un effetto domino: banche timorose di azioni giudiziarie o di danni reputazionali hanno preferito abbandonare l’alleanza piuttosto che rischiare conseguenze legali o politiche. Questo episodio mette in luce la fragilità di iniziative transnazionali che si muovono in un quadro normativo frammentato, dove gli impegni globali si scontrano con l’ostilità di legislatori nazionali.

Dal vincolo alla flessibilità: il passaggio a “framework initiative”

La proposta dell’NZBA di trasformarsi da “membership alliance” a “framework initiative” riflette una scelta di sopravvivenza. Nel nuovo modello non ci sarebbero più obblighi stringenti, come l’impostazione di target settoriali al 2030 o la pubblicazione annuale di rapporti dettagliati sui progressi. Invece, si punterebbe su linee guida, strumenti tecnici, modelli di calcolo e dialoghi costanti con gli istituti. L’alleanza diventerebbe una piattaforma di supporto e condivisione, meno vincolante, ma forse più resiliente in un contesto ostile. È un passaggio che segna la perdita di incisività regolatoria, ma anche un tentativo di adattamento darwiniano: meglio restare come hub di conoscenza piuttosto che sparire sotto il peso dei ritiri.

Le critiche: il fallimento del volontarismo climatico

Per le ONG e la società civile, questa trasformazione rappresenta un arretramento evidente. Lucie Pinson, direttrice di Reclaim Finance, ha parlato di “mossa per evitare l’imbarazzo”, sottolineando che l’alleanza sta progressivamente svuotandosi. Più in profondità, questo passaggio mette a nudo i limiti del volontarismo climatico: senza vincoli legali, le promesse rimangono fragili e reversibili. In un settore come quello bancario, in cui il capitale è fluido e transnazionale, l’assenza di obblighi rischia di trasformare gli impegni in strumenti di marketing reputazionale più che in leve di trasformazione industriale.

Un ecosistema ESG sotto pressione

La crisi della NZBA non è un caso isolato. Iniziative parallele come la Net-Zero Asset Managers Initiative o la Net-Zero Insurance Alliance stanno vivendo tensioni simili. Le defezioni si moltiplicano, la fiducia nella cooperazione volontaria vacilla e il mercato comincia a percepire un vuoto di leadership. Questa dinamica evidenzia che il cosiddetto “ecosistema ESG” — costruito su alleanze, protocolli e linee guida — non regge quando si scontra con interessi economici o ostacoli politici. In altre parole, il soft law ha mostrato la sua insufficienza: senza hard law, il rischio è la dissoluzione del progetto.

La crescente divergenza tra approcci regionali

Il caso NZBA riflette anche la crescente divergenza tra approcci regionali. L’Europa, con la Corporate Sustainability Reporting Directive e la EU Taxonomy, sta introducendo regole sempre più vincolanti, mentre gli Stati Uniti si muovono in ordine sparso, con Stati federali in aperta ostilità verso le politiche ESG. Questa asimmetria normativa rischia di generare un mercato finanziario frammentato: da un lato l’UE che punta a consolidare la finanza verde con strumenti obbligatori, dall’altro gli Stati Uniti che favoriscono la deregolamentazione. Il risultato è un contesto geopolitico in cui le banche globali devono barcamenarsi tra regole contrastanti, con effetti destabilizzanti sulla coerenza delle strategie di decarbonizzazione.

Scenari futuri: dal soft law al regolamento vincolante

Quali sono le alternative? Tre scenari emergono con forza.

  1. Regolamentazione obbligatoria: le banche sarebbero tenute per legge a pubblicare target climatici, con verifiche da autorità centrali e penalità in caso di mancata conformità
  2. Standard di settore integrati: le regole climatiche potrebbero essere incorporate nei framework già esistenti, come Basilea IV, rendendo la finanza verde parte della prudential regulation
  3. Partenariati pubblico-privati: governi e banche potrebbero negoziare tavoli comuni, bilanciando obblighi e incentivi fiscali per accelerare la transizione.
    In tutti e tre i casi, il denominatore comune è lo stesso: spostare il baricentro dall’autoregolamentazione volontaria alla supervisione pubblica.

Il tramonto dell’illusione volontaria

La vicenda della Net-Zero Banking Alliance non è solo la storia di un’alleanza che si svuota, ma il simbolo di un cambio d’epoca. La stagione dell’entusiasmo volontario, in cui bastavano dichiarazioni e firme congiunte per orientare il capitale, è finita. L’era che si apre ora è quella della regolamentazione necessaria: se la finanza vuole davvero diventare motore della transizione, deve accettare regole stringenti, controlli indipendenti e penalità concrete. Solo così i capitali potranno muoversi con coerenza verso la neutralità climatica. L’NZBA, trasformata in framework, sopravviverà forse come strumento tecnico. Ma la leadership politica e industriale dovrà emergere altrove: nei parlamenti, nelle autorità di vigilanza, e nelle istituzioni sovranazionali che possono imporre la direzione della transizione.


Box di approfondimento — Net-Zero Banking Alliance

Timeline essenziale (2021–2025)

  • Aprile 2021 – Lancio NZBA alla vigilia della COP26: oltre 40 banche fondatrici, tra cui HSBC, Barclays, Citi e Bank of America
  • 2022 – L’adesione supera le 100 banche globali; impegni di neutralità climatica al 2050 e target settoriali al 2030
  • 2023 – Prime pressioni politiche negli Stati Uniti: alcuni Stati repubblicani accusano l’alleanza di violare norme antitrust
  • 2024 – Prime defezioni: banche statunitensi e canadesi escono in blocco, temendo ripercussioni legali e reputazionali
  • Estate 2025 – Abbandonano anche colossi europei: HSBC, Barclays e UBS. La NZBA propone la trasformazione in “framework initiative”

Principali defezioni (2024–2025)

  • Stati Uniti: JPMorgan, Citi, Bank of America.
  • Canada: RBC, Scotiabank.
  • Asia-Pacifico: Mitsubishi UFJ, Commonwealth Bank of Australia.
  • Europa: HSBC, Barclays, UBS (ultimi ad uscire, estate 2025)

Scenari futuri

  • Scenario 1 – Framework tecnico
    NZBA sopravvive come piattaforma di supporto e condivisione best practice, ma senza potere vincolante
  • Scenario 2 – Integrazione normativa
    I principi NZBA vengono inglobati in regolamenti finanziari vincolanti (Basilea IV, direttive UE)
  • Scenario 3 – Nuove coalizioni
    Nascono alleanze regionali (es. europee) più solide, basate su norme obbligatorie e meno esposte a shock politici.

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