Tra filtri industriali e dispositivi elettrochimici, fino a un framework teorico chiamato “8Rs”, il mondo scopre un nuovo modo di pensare l’acqua: circolare, rigenerativo e inclusivo. Una rivoluzione che parte dal basso.
Una crisi che scava in profondità: sete globale e risposte sostenibili
Chi possiede l’acqua, possiede il futuro? Domanda provocatoria, ma inevitabile, in un’epoca in cui oltre 2 miliardi di persone non hanno accesso a fonti sicure di acqua potabile (UN-Water, 2023). La crisi idrica globale non è solo un problema ambientale; è economico, politico, umano. Ed è una crisi che non risparmia nessuno: né i centri urbani in crescita esponenziale, né le aree rurali lasciate ai margini.
Serve una rivoluzione, ma non la solita. Non basta “gestire meglio” le risorse idriche — bisogna ripensarle radicalmente. L’acqua non è più un flusso lineare da captare, utilizzare e disperdere. Può, e deve, diventare un ciclo chiuso, un circuito virtuoso che si rigenera. È l’essenza dell’economia circolare applicata al sistema idrico. E oggi, questa visione prende forma grazie a ricerche, esperimenti, tecnologie.
Kalundborg e Seoul: tecnologie all’avanguardia per un’acqua che rinasce
In Danimarca, nella cittadina industriale di Kalundborg, è stato realizzato un progetto pilota che sembra uscito da un manuale di ingegneria ambientale avanzata: recuperare e trattare acque reflue provenienti da fonti municipali, industriali e da centrali elettriche, un mix tanto utile quanto difficile da purificare. Il risultato? Un’efficienza di recupero dell’87%, ottenuta grazie a sistemi a membrana di tre tipi — ultrafiltrazione convenzionale, ultrafiltrazione ultra-densa e nanofiltrazione — e con un consumo energetico sorprendentemente contenuto (Kleyböcker, 2023). L’obiettivo era fornire acqua pulita per i circuiti di raffreddamento industriale, ma il potenziale è ben più ampio: dimostrare che la simbiosi industriale può essere anche idrica.
Nel frattempo, a Seoul, gli scienziati del Korea Institute of Science and Technology hanno messo a punto un dispositivo elettrochimico portatile capace di trattare acque reflue in loco — eliminando la necessità di inviarle a grandi impianti centralizzati. Il cuore della tecnologia è un sistema elettro-Fenton combinato con celle a flusso, in grado di produrre perossido d’idrogeno e abbattere rapidamente inquinanti organici. Risultati? Rimozione del 100% del bisfenolo A in 4 minuti e abbattimento del 93% dei composti organici totali in sole due ore (Kim et al., 2024).
Una tecnologia pensata per le aree rurali, i villaggi remoti, le comunità spesso dimenticate. Laddove manca l’acqua trattata, ora potrebbe arrivare — non da lontano, ma dal suolo stesso, ripulita, rigenerata, pronta a servire di nuovo.
Le 8Rs della resilienza idrica: un nuovo orizzonte per il Sud globale
Questo approccio, concepito per i contesti del Sud Globale, non è una lista di desideri teorici: è uno strumento pratico per progettare servizi idrici sicuri, inclusivi e resilienti al clima. Funziona come una griglia di lettura — e di azione — che consente di analizzare, pianificare e valutare interventi su misura per ogni contesto, ogni comunità, ogni necessità.
La circolarità dell’acqua — quel principio semplice, ma potentemente trasformativo, secondo cui ogni goccia può non solo essere riutilizzata, ma reintegrata nel ciclo vitale della natura — non nasce né si realizza con la sola forza della tecnologia. Non bastano membrane a osmosi inversa, reattori a perossido d’idrogeno, o moduli elettrochimici d’avanguardia. Serve molto di più: una visione ampia, integrata, sistemica. Una visione che guardi all’ambiente, ma anche alla società; che tenga conto della scarsità, ma anche dell’equità; che pensi all’efficienza, ma non dimentichi la giustizia.
È in questo orizzonte che nasce il framework delle 8Rs, un impianto teorico e operativo ideato da un gruppo internazionale di studiosi e pratici dell’acqua, coordinati dall’Institute for Sustainable Futures dell’Università di Sydney (Carrard et al., 2024). Più che un modello, è una mappa per l’azione trasformativa, pensata in particolare per i contesti del Sud Globale — quelli dove l’accesso all’acqua non è solo una questione di infrastrutture, ma anche di diritti, di potere, di sopravvivenza.
Otto sono le strategie proposte: ridurre e rifiutare, per contenere gli sprechi e mettere in discussione l’uso eccessivo di risorse; riutilizzare e recuperare, perché nulla, nell’acqua o nei suoi sottoprodotti, dovrebbe andare perso; rigenerare, ovvero restituire alla natura ciò che l’attività umana ha tolto o danneggiato. A queste si aggiungono quattro pilastri culturali e relazionali: ripensare i paradigmi dominanti, riconoscere le pratiche tradizionali spesso ignorate, resistere e adattarsi attraverso la resilienza climatica, e redistribuire, per garantire accesso e voce anche ai più marginalizzati. Infine, relazionarsi: costruire reti di fiducia tra comunità, governi, territori e risorse — perché l’acqua, sempre, unisce.
Le 8Rs non sono solo un’idea. Sono un invito — concreto, operativo, urgente — a cambiare passo. A osservare, riflettere, agire. A immaginare, per l’acqua e con l’acqua, un futuro che non escluda nessuno.
Inclusione, governance e relazioni: la nuova grammatica dell’acqua
Che cos’è l’acqua, se non un bene relazionale? Essa connette ecosistemi, popoli, storie. E proprio per questo, il futuro dell’acqua — ci ricorda il framework 8Rs — dipende dalla capacità di costruire reti, reti di fiducia, reti di governance, reti sociali che non lascino nessuno indietro.
Nel concreto, ciò significa coinvolgere le comunità nella progettazione degli impianti, riconoscere saperi locali, garantire equità nell’accesso e nella gestione. Significa, per esempio, che un progetto di recupero dell’acqua non può dirsi “circolare” se non considera anche chi tradizionalmente è escluso: donne, disabili, anziani, migranti. Significa capire che la resilienza non è solo tecnica, ma anche sociale, istituzionale e culturale (Carrard et al., 2024).
È un cambio di linguaggio, ma anche di sguardo: non si parla più solo di “trattamento delle acque”, ma di acque che trattano la società, che la rigenerano, che la riflettono. L’acqua, insomma, torna al centro, non come risorsa da gestire, ma come bene comune da ripensare insieme.