Giancarlo Santalmassi e quei ragazzi di via Teulada

| 17/06/2025
Giancarlo Santalmassi e quei ragazzi di via Teulada

Con Giancarlo eravamo quasi vicini di stanza. La redazione economica del TG2 a via Teulada era in fondo al corridoio e le stanze dei conduttori erano a poche porte di distanza. Quella di Giancarlo era una stanza da cui non veniva quasi nessun rumore, intento com´era a rifinire i “lanci” dei pezzi del telegiornale ed in particolare i “vivi” con testo letto fuoricampo dal conduttore.

Ogni tanto eri convocato per spiegare, approfondire dettagliare. Che sarebbe meglio mettere qui per introdurre il tuo pezzo? Accompagnato da una naturale curiosità , propria del buon giornalista: ma chi è questo John Lassiter della Disney di cui parli? Non ne ho mai sentito parlare. E questo Jaron Lanier: cos´è questa “realtà virtuale”?

Certo era il 1986, quarantanni fa, ed era normale che non lo sapesse. Ma la curiosità e la voglia di capire c’era. Abbinata ad un grande rispetto di tutti i colleghi, anche di quelli come me, che avevano cominciato da poco a lavorare in RAI, mentre lui era uno dei conduttori di punta del TG, anzi storicamente il primo di tutti..

Il TG2 di quegli anni, di Zatterin, di Ghirelli e di La Volpe era un TG di scelta, composto da tutti quelli che -al momento della nascita del secondo canale (15 marzo del 1976) – avevano scelto volontariamente di lasciare il TG1, la nave ammiraglia, per tentare l´avventura del nuovo TG laico. L´equivalente dell’esperimento del centro sinistra nel campo della politica. Un giornale con grande spirito di innovazione, con voglia di sperimentare e attento a quello che accadeva nella società. Composto da grandi individualità (c’erano Joe Marrazzo alla cronaca, Ugo D´Ascia a seguire il Vaticano, Italo Moretti, Emanuele Rocco e molti altri ancora che non è possibile qui ricordare), ma anche da molti altri giornalisti meno famosi pronti, ma pronti ad aiutare i colleghi, anche gli ultimi arrivati, senza boria né alterigia.

Giancarlo era rinomato per la sua calma olimpica. Un atteggiamento che riusciva a mantenere anche durante le dirette, quando a volte si verificano imprevisti, cambiamenti di scaletta repentini, RVM che non partivano o collegamenti difettosi. Lui era l´unico a restare calmo, mentre intorno a lui nello studio partivano le urla di registi irosi, il piu temuto dei quali era Roberto Costa. Del resto voleva proprio segnare questa differenza, visto che lui era arrivato a condurre il TG dopo tanti anni in cui gli speaker del TG erano dei lettori professionisti, ma non giornalisti, scelti in base alle loro voci. Giancarlo aveva quindi la responsabilità di dimostrare che un TG condotto da un giornalista fosse meglio di quelli condotti da semplici lettori di notizie. In grado di gestire gli imprevisti, ma senza perdere di vista il filo delle notizie, l’accuratezza e la distanza dai fatti. Un´impresa che gli riuscì benissimo, visto che fu lui a seguire per il Tg2 il rapimento Moro dall´inizio alla fine, l´attentato a Giovanni Paolo II e la tragedia mediatica di Vermicino .

Il conduttore era alla fine della catena di produzione, ma Giancarlo , come molti dei colleghi di quegli anni – se ne sentiva quasi come fosse il responsabile, perché ci metteva la faccia, e quindi verificava, aggiungeva, tagliava, ma sempre col massimo rispetto per il lavoro altrui.

E poi Giancarlo, oltre alla faccia ci metteva anche … la cravatta, altro particolare per cui era giustamente famoso.

Fu, infatti, il primo di una serie di conduttori a portare un tocco di colore nell’allora austera scenografia del TG. E Giancarlo aveva un’attenzione particolare alle cravatte, di cui prediligeva soprattutto quelle “regimental”, che contribuivano a dargli quel tocco “anglosassone” di cui andava fiero…. Salvo poi farsi “scavalcare a sinistra” da colleghi arrivati alla conduzione dopo di lui, che prediligevano le cravatte a grandi tocchi di colore, di marca Léonard o Hermés. A lui non piacevano, perché riteneva che distraessero lo spettatore, che invece doveva stare concentrato sulla notizia che lui cercava di porgli nel modo più garbato, tranquillo e preciso possibile.

Purtroppo il suo rapporto con le cravatte arrivò a conclusione prematura quando fu promosso nel 1991, dopo tanti al TG2, a vice direttore prima e poi a direttore si, ma della Radio, lì dove le cravatte non si vedevano piu’. Forse per questo fu costretto ad inventarsi , al posto dei ritagli di stoffa, nuove formule narrative, come quella di “Zapping”, trasmissione che da allora è rimasta un punto di forza dei palinsesti di RadioRai. Nonostante il suo attaccamento al Servizio Pubblico radiotelevisivo nel 1999 passò, con mia grande sorpresa, a Radio 24. Mi spiegò che voleva tentare l´avventura di modellare un nuovo canale di news radiofonico diverso da RAI, partendo da zero grazie a carta bianca e dovizia di mezzi assicuratagli dall´editore. L´avventura andò a finire come sappiamo, con molti rimpianti come spesso accade per coloro che hanno fatto coincidere la loro vita professionale col servizio pubblico. Ma il suo ricordo di persona per bene, di un giornalista profondamente integro e rispettoso degli altri e della verità, resterà per sempre fra coloro che hanno avuto la fortuna di lavorarci insieme.

Il presente articolo e' una anticipazione della rubrica "Memorie nostre" di Democrazia Futura, che riprenderà presto le pubblicazioni anche attraverso If-Italia nel Futuro

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