Con un certo clamore, anche per via della dimensione politica che ha acquisito negli ultimi tempi, la decisione della Commissione Europea di attivare 200 miliardi di euro in investimenti pubblici e privati legati all’Intelligenza Artificiale ha rubato la scena al percorso tortuoso che sta attraversando la definizione degli standard e degli aspetti regolamentari dell’AI Act, la riforma che intende normarla per gli anni a venire. È la rappresentazione plastica di quanto, su questo fronte, si stiano confrontando i tre grandi assi da cui dipende il futuro dell’Europa digitale: le risorse, le regole e le tecnologie.
Lo European Accessibility Act
Senza altrettanta risonanza mediatica, anzi forse passando sotto silenzio, il 28 giugno entrerà in vigore lo European Accessibility Act, una norma che imporrà alle imprese che intendono interagire direttamente con i consumatori finali di adeguare i diversi canali utilizzati, dai siti web alle applicazioni mobili, ai requisiti necessari per garantire l’accesso anche a chi presenta disabilità visive.
Questa norma mira a eliminare barriere che attualmente escludono una fetta significativa della popolazione europea, stimata intorno al 20%: l’adeguamento interesserà un’ampia gamma di aziende, con l’eccezione di quelle che operano esclusivamente nel B2B e delle realtà con meno di 10 dipendenti o un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro.
I contenuti digitali fruibili da tutti
Le aziende di trasporto, gli e-commerce, i siti di pubblica utilità e le piattaforme di prenotazione turistica saranno dunque tenute a conformarsi agli stessi standard già in vigore per le amministrazioni pubbliche e le grandi imprese. Le misure richieste includono interventi volti a rendere i contenuti digitali fruibili da tutti: dalla compatibilità con screen reader e tastiere alternative, alla descrizione testuale di immagini e pulsanti, dall’ottimizzazione del contrasto di immagini e sfondi, alla fornitura di trascrizioni per i video e alla semplificazione della navigazione, numerosi sono gli aspetti da tenere in considerazione nell’ambito di un percorso che può essere pubblicato in modo trasparente attraverso una apposita dichiarazione.
Accoglienza distratta o nuove criticita’?
Come già accaduto con il GDPR, questo provvedimento improntato ad un principio di inclusività, ma anche ispirato ad opportunità commerciali che le imprese possono cogliere, rischia, però, di ricevere un’accoglienza distratta o, al contrario, di alimentare criticità dovute alla complessità a cui espone i destinatari. A queste critiche non è esente l’AI Act che è al momento di oggetto di un processo di revisione volto a semplificare, per le imprese che intenderanno dotarsi di tecnologie di Intelligenza Artificiale, i processi necessari a garantirne un impiego sicuro, trasparente e responsabile senza che però siano posti paletti tali da restringerne l’adozione alle grandi aziende. In ambiti, infatti, quali la selezione del personale, la formazione, la gestione delle risorse umane l’introduzione della AI richiede di dotarsi di standard specifici così da garantire un contrasto efficace alle distorsioni che possono essere prodotte dagli algoritmi, standard che si traducono in procedure, adempimenti, certificazioni.
La necessità di una visione unitaria
L’AI Act, lo European Accessibility Act, le regolamentazioni sulla protezione dei dati delineano un quadro normativo articolato, che, se considerato in modo frammentario, può generare disaffezione verso l’autorità che l’ha introdotto. Anche per questo, e, dunque, per comunicare il significato complessivo delle politiche digitali europee, sarebbe utile offrire, da parte della Commissione e del Parlamento europei, una visione unitaria, quasi una “costituzione digitale europea”, capace di rappresentare una risposta coerente con il bisogno di unità a cui il nostro continente deve dare, e prontamente, risposta.