Dalla frenata degli indici continentali alle crepe del settore difesa, fino al risveglio dell’oro e alle ombre dei negoziati USA-Russia sul dossier Ucraina: il primo giorno dell’ultimo mese del 2025 ridisegna il campo da gioco globale.
Un avvio di mese che sa di resa dei conti
Dicembre, tradizionalmente il mese più indulgente con i mercati, si apre stavolta con un umore stonato. Le borse europee scivolano in negativo fin dalle prime battute, quasi a voler segnalare senza troppi giri di parole che l’ultimo capitolo del 2025 non sarà un epilogo tranquillo. Lo Stoxx Europe 600 arretra dello 0,3% in avvio, trascinando con sé le principali piazze del continente in una giornata che pare la fotografia, un po’ sgranata, dell’incertezza accumulata nei mesi precedenti.
Il CAC 40, il FTSE MIB, il DAX: tutti virano in rosso. Non precipitano, ma oscillano quel tanto che basta per far comprendere quanto la fragilità sia ormai entrata nelle fibre dei mercati. Si avverte un misto di stanchezza e tensione, come se dietro ogni oscillazione si celasse un retroscena non ancora del tutto decifrabile. In realtà, i segnali sono sparsi da tempo: valutazioni azionarie gonfiate dal boom dell’intelligenza artificiale, una volatilità tornata a serpeggiare dopo mesi di euforia e quella specie di ansiosa attesa che precede le decisioni cruciali delle banche centrali.
La Fed come spettro benevolo (forse)
Il termometro del sentiment passa inevitabilmente dalla Federal Reserve. Gli investitori, ormai quasi rassegnati alla fine dell’era dei tassi alti, scommettono con una sicurezza solo apparente su un taglio di 25 punti base nella riunione del 9-10 dicembre. Un’aspettativa che poggia su una probabilità dell’87,4% secondo il CME FedWatch, eppure ancora avvolta in una nube di “sì, ma…”.
Quel “ma” pesa. Perché il 2025 ha mostrato quanto la politica monetaria possa diventare imprevedibile quando si intreccia con cicli tecnologici accelerati, rischi geopolitici e una crescita globale che avanza a scatti irregolari, quasi come un motore che ogni tanto perde colpi. E così la Fed diventa una sorta di presenza non minacciosa, non rassicurante, semplicemente inevitabile.
La faglia geopolitica: il dossier Ucraina si muove (e i mercati tremano)
L’altro fronte, quello più spinoso, è la geopolitica. I titoli della difesa europea cedono bruscamente, come se l’ipotesi, persino remota, persino embrionale, di un possibile accordo di pace in Ucraina avesse improvvisamente aperto una nuova prospettiva. Rheinmetall, Renk, Hensoldt: tutte in rosso. Non è tanto la percentuale a colpire, quanto la rapidità con cui il mercato rimodula le sue aspettative non appena percepisce che qualcosa si muove sotto traccia.
E qualcosa, effettivamente, si muove. L’inviato speciale americano Steve Witkoff vola a Mosca per incontrare Putin, mentre Kiev accetta in linea di principio un piano di pace a 19 punti sostenuto da Washington. Il documento è un adattamento, depurato e più sobrio, di un primo schema di 28 punti elaborato in segreto fra Stati Uniti e Russia. Un dettaglio che basta, da solo, a far comprendere quanto la diplomazia reale avanzi spesso in contrasto con le narrative ufficiali.
Nel weekend, un ulteriore tassello: nuovi colloqui in Florida fra Kiev e Washington guidati dal Segretario di Stato Marco Rubio, che parla di incontri “molto produttivi” salvo poi lasciare intendere, con un mezzo sorriso diplomatico, che la strada è ancora lunga. E tortuosa.
Il ritorno dell’oro: un riflesso istintivo
Mentre tutto questo si muove e oscilla l’oro torna a brillare. Tocca un massimo di sei settimane e trascina con sé i colossi minerari europei. Non è un caso, né un capriccio del mercato: quando il quadro macro si increspa, il metallo prezioso riacquista quell’aura protettiva quasi antropologica. Fresnillo avanza oltre il 3%, Anglo American e Glencore seguono a ruota.
Il prezzo spot a 4.251 dollari sembra raccontare, più di tante analisi, la psicologia collettiva di questa fase: se il mondo cambia direzione gli investitori tendono a rifugiarsi in ciò che non richiede spiegazioni.
Airbus e l’ombra della vulnerabilità tecnologica
In controtendenza rispetto al settore minerario, Airbus cede oltre il 2%. Il costruttore europeo corre ai ripari con un aggiornamento urgente del software di volo degli A320, temendo che anomalie legate alle radiazioni solari possano compromettere dati cruciali di controllo. Una vicenda che, al di là dell’impatto diretto sul titolo, apre una finestra inquietante sulla vulnerabilità dei sistemi aeronautici contemporanei sempre più dipendenti da logiche digitali e sempre più sensibili alle variabili ambientali estreme che il 2025 sta normalizzando.
Asia incerta, Wall Street prudente
Sul fronte orientale, i mercati Asia-Pacifico inaugurano dicembre in ordine sparso. La Cina, con un’attività manifatturiera tornata a contrarsi a sorpresa, imprime un’ombra che si allunga lenta su tutta la regione. In Occidente, invece, i futures americani rimangono quasi immobili: Wall Street sa che dicembre potrebbe confermarsi, come da tradizione, un mese benevolo. L’S&P 500 ha storicamente messo a segno un rialzo medio superiore all’1%, un dato che affascina sempre gli operatori, anche quando il contesto globale sembra voler raccontare tutt’altra storia.
Verso un finale d’anno più complesso del previsto
Nessun dato macro di rilievo in arrivo dall’Europa, nessuna trimestrale destinata a cambiare il corso delle cose. Eppure il sentimento che attraversa i mercati in questo inizio di dicembre è quello delle grandi transizioni: non un crollo, non un balzo, ma qualcosa di sospeso, come se il 2025 stesse preparando il terreno per una mutazione più profonda.
È un momento in cui le faglie monetarie, geopolitiche e tecnologiche sembrano avvicinarsi fra loro, quasi a comporre un disegno che ancora non riusciamo a leggere del tutto. E proprio in questa opacità si intravede la cifra del periodo: un’economia globale che non procede più seguendo i cicli tradizionali, ma secondo una logica intermittente, fatta di accelerazioni improvvise e di pause brusche, di entusiasmi e di timori che si alternano con un ritmo irregolare, a volte perfino nervoso.
Il margine sottile del futuro
Forse è proprio questo l’aspetto più rivelatore di questo avvio di dicembre: i mercati investono, scommettono, reagiscono, certo, ma sotto sotto si interrogano, quasi avvertendo che il 2026 non sarà un semplice proseguimento dell’anno in corso. L’impressione, difficile da ignorare, è che si stia aprendo una fase nuova, meno lineare e più esigente, in cui le abitudini degli ultimi dieci anni non basteranno più.
Il finale del 2025, insomma, non appare come un sigillo: assomiglia piuttosto a una porta. E da quella porta sembra filtrare una luce incerta, ma anche un’opportunità per ripensare, davvero, il modo in cui leggiamo i mercati, le crisi e, forse, il mondo che si prepara a venire.