Europa digitale o autogol industriale? Il caso Zalando scuote il DSA

RedazioneRedazione
| 03/09/2025
Europa digitale o autogol industriale? Il caso Zalando scuote il DSA

La decisione della Corte UE di classificare Zalando come piattaforma “a rischio sistemico” apre una battaglia cruciale: tra tutela dei cittadini e competitività industriale, l’Europa rischia di mettere in difficoltà i suoi stessi campioni digitali

Nata come startup berlinese di e-commerce, Zalando è diventata in pochi anni un colosso europeo capace di competere con i giganti americani e asiatici. Ora, però, la piattaforma di moda e lifestyle si trova al centro di una battaglia che va oltre l’e-commerce: quella per il futuro della regolazione digitale in Europa. La decisione di Bruxelles di includerla tra le Very Large Online Platforms (VLOPs) non è solo un atto tecnico, ma un test politico e industriale. In gioco non c’è soltanto il destino di Zalando, ma la capacità dell’Europa di costruire un ecosistema digitale competitivo senza soffocare i propri campioni.

La sentenza che cambia le regole del gioco

La Corte Generale dell’Unione Europea, il secondo tribunale per importanza a Lussemburgo, ha respinto il ricorso di Zalando contro la Commissione Europea, confermando che la società rientra nella categoria dei VLOPs prevista dal Digital Services Act (DSA). La decisione obbliga Zalando a rispettare requisiti stringenti: valutazioni periodiche dei rischi sistemici, audit indipendenti, trasparenza sugli algoritmi e collaborazione rafforzata con le autorità di regolazione. Una vittoria per Bruxelles, che vuole dimostrare che il nuovo quadro normativo non guarda in faccia nessuno, nemmeno i campioni digitali nati in Europa.

La difesa di Zalando: “Non siamo un social network”

Per l’azienda, la sentenza rappresenta un fraintendimento del proprio modello di business. Zalando insiste sul fatto di non essere una piattaforma generalista di contenuti generati dagli utenti, ma un retailer digitale con un’offerta altamente curata e partnership dirette con brand e consumatori. Applicare le stesse regole pensate per colossi come Meta, TikTok o Amazon significherebbe imporre oneri sproporzionati e, di fatto, assimilare modelli economici profondamente diversi. È su questo punto che si giocherà il ricorso annunciato dalla società: convincere i giudici che non ogni grande piattaforma digitale rappresenta un “rischio sistemico” per l’ecosistema informativo europeo.

Digital Services Act: ambizione e rigidità

Il Digital Services Act è il pilastro della strategia europea per regolare lo spazio digitale. Le VLOPs, cioè le piattaforme con oltre 45 milioni di utenti attivi mensili, sono soggette a un livello di controllo senza precedenti: monitoraggio dei rischi di disinformazione, obblighi di accesso ai dati per i ricercatori, procedure per la moderazione dei contenuti e limiti agli algoritmi di raccomandazione. L’obiettivo è chiaro: evitare che le piattaforme digitali diventino poteri incontrollati capaci di incidere sulla democrazia e sull’economia. Ma il prezzo di questa ambizione regolatoria è la sua rigidità, che rischia di non distinguere tra attori realmente “sistemici” e operatori verticali.

Impatti economici e industriali

Per Zalando, essere etichettata come VLOP, significa affrontare costi di compliance significativi: audit annuali, implementazione di sistemi di monitoraggio avanzati e adattamenti tecnologici che incidono direttamente sui margini. Ma le implicazioni vanno oltre il singolo bilancio aziendale. La domanda che circola a Bruxelles e tra gli analisti è se il DSA, pensato per limitare il potere delle big tech americane, non finisca, invece, per penalizzare i player europei, costringendoli a sostenere oneri che i giganti globali possono assorbire senza difficoltà. È il paradosso di un’Europa che, mentre dichiara di voler rafforzare la propria sovranità digitale, rischia di indebolire i suoi campioni industriali.

La dimensione giuridica: un precedente vincolante

La sentenza della Corte Generale crea un precedente importante: la Commissione può interpretare in senso ampio il concetto di rischio sistemico, senza tener conto della natura dei contenuti o delle specificità settoriali. Questo significa che altre piattaforme europee – da marketplace verticali a piattaforme di streaming – potrebbero subire la stessa classificazione, con conseguenze a cascata. L’appello di Zalando alla Corte di Giustizia dell’UE diventa, quindi, un passaggio cruciale non solo per l’azienda, ma per l’intero settore digitale europeo, che guarda con attenzione a come verrà interpretato il DSA nei prossimi anni.

Geopolitica del digitale: sovranità o autogol?

Il caso Zalando si inserisce in una cornice geopolitica più ampia. L’Europa vuole distinguersi da Stati Uniti e Cina costruendo un modello unico di regolazione digitale, basato su diritti, trasparenza e responsabilità. Ma questa rigidità normativa potrebbe trasformarsi in un boomerang competitivo: mentre Washington lascia correre l’innovazione e Pechino pianifica centralmente la sua strategia digitale, Bruxelles rischia di vincolare eccessivamente le proprie aziende. La domanda è se l’UE stia difendendo i cittadini o compromettendo la capacità del continente di generare campioni globali.

Una partita aperta

La battaglia legale tra Zalando e Bruxelles è solo all’inizio, ma già oggi è chiaro che il suo esito avrà ripercussioni profonde. Da un lato, rappresenta il test più importante per il Digital Services Act, la legge che dovrebbe ridisegnare le regole del digitale in Europa. Dall’altro, mette in discussione la strategia industriale dell’Unione: come conciliare la tutela dei diritti con la necessità di non soffocare l’innovazione dei suoi stessi campioni. In questo equilibrio delicato si gioca non solo il futuro di Zalando, ma la credibilità della politica digitale europea nel suo insieme.

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