Bruxelles si prepara a ridisegnare la mappa dello spettro radio: gli operatori telefonici conquistano la parte più ampia della banda 6GHz, mentre i giganti del digitale promettono battaglia.
La decisione dell’UE di destinare 540 MHz della banda 6GHz alle telco apre un fronte geopolitico e industriale che coinvolge Deutsche Telekom, Vodafone, TIM e Orange da un lato, e Amazon, Apple, Meta e Microsoft dall’altro. Una scelta che influenzerà il posizionamento europeo nella corsa al 6G.
L’Europa ha iniziato a muovere una delle pedine più delicate sulla scacchiera delle telecomunicazioni globali: l’assegnazione della banda superiore dei 6GHz, considerata la risorsa più preziosa per le reti di prossima generazione. Dopo mesi di pressioni, valutazioni tecniche e negoziati, un parere cruciale del Radio Spectrum Policy Group (RSPG) ha spinto il continente verso una direzione chiara: 540 MHz della banda 6GHz saranno destinati agli operatori mobili.
La decisione, dietro la quale si intravedono tensioni mai realmente sopite tra industria telco e Big Tech, dà forma a un equilibrio instabile destinato a influenzare gli investimenti, le infrastrutture e la leadership tecnologica dell’Unione Europea nel prossimo decennio.
Una risorsa scarsa che vale oro: perché la banda 6GHz è così contesa
La banda superiore dei 6GHz non è una frequenza qualsiasi. È l’ultimo grande blocco di spettro mid-band di qualità elevata ancora disponibile. La sua importanza non deriva soltanto dalla capacità di trasportare dati in modo efficiente, ma dalla sua posizione strategica: è sufficientemente ampia per sostenere servizi avanzati, ma abbastanza stabile da garantire coperture omogenee.
Per gli operatori mobili, quella banda è un pilastro della strategia 6G: senza accesso prioritario, l’Europa rischia di rimanere indietro rispetto a Stati Uniti, Corea del Sud e Canada, che hanno già messo in sicurezza parti significative del 6GHz per il Wi-Fi.
Per le Big Tech, invece, quei MHz sono la linfa vitale dei futuri servizi digitali: realtà aumentata, casa connessa, IoT domestico, dispositivi indossabili di nuova generazione. Tutto ciò richiede un Wi-Fi più ampio, più stabile e meno affollato.
Quando due industrie strategiche reclamano la stessa risorsa, il compromesso diventa inevitabile, ma anche estremamente fragile.
Telco vs Big Tech: un conflitto industriale che supera i confini europei
Dalla parte delle telco ci sono giganti come Deutsche Telekom, Orange, TIM, Vodafone: gruppi che denunciano da anni un divario competitivo crescente rispetto agli OTT, colossi digitali che utilizzano le reti ma che non contribuiscono ai costi infrastrutturali con la stessa proporzione.
Dall’altra parte, colossi come Amazon, Apple, Meta, Microsoft: aziende che vedono nel Wi-Fi un ecosistema proprietario che consente loro di controllare dispositivi, servizi e ricavi senza passare dalle reti mobili.
La battaglia non riguarda solo la banda 6GHz, ma un modello economico e infrastrutturale che negli ultimi quindici anni ha sbilanciato il potere contrattuale a favore dei player digitali.
Questa decisione diventa così una partita politica prima ancora che tecnica, e la posta in gioco è il ruolo dell’Europa nel prossimo ciclo di innovazione.
Il compromesso europeo: 540 MHz alle telco, 160 MHz “congelati” fino al 2027
L’opinione dell’RSPG è chiara:
- 540 MHz della banda 6GHz destinati agli operatori mobili.
- 160 MHz rimanenti “congelati” fino alla World Radiocommunication Conference 2027 (WRC-27).
Questa scelta sospende, ma non elimina, il conflitto: il 2027 diventerà il vero spartiacque globale per la definizione delle bande destinate al 6G.
Congelare una parte dello spettro significa riconoscere che lo scenario è ancora in evoluzione e che l’Europa non può permettersi decisioni irreversibili prima di conoscere le linee guida dell’ITU.
È una mossa strategica: prudente, ma non rinunciataria.
E rivela quanto il tema non sia più una normale procedura di assegnazione frequenze, bensì una componente delle politiche industriali europee.
Il ruolo del CEPT: la parte tecnica di una decisione geopolitica
La palla passa ora alla Conferenza Europea delle Amministrazioni delle Poste e Telecomunicazioni (CEPT), che dovrà definire:
- le condizioni tecniche di utilizzo della banda
- l’armonizzazione tra gli Stati
- le linee guida per minimizzare interferenze e garantire interoperabilità.
È un passaggio determinante: una banda assegnata senza condizioni chiare rischierebbe di trasformarsi in un campo di battaglia tecnico prima ancora che commerciale.
Il CEPT dovrà mediare tra pressioni politiche, esigenze industriali e realismo tecnologico, evitando che la frammentazione europea diventi un freno nel momento più delicato della transizione verso il 6G.
Un confronto globale: perché l’Europa non può permettersi passi falsi
Mentre Bruxelles delibera, fuori dall’Europa la partita è già iniziata.
Negli Stati Uniti, il 6GHz è stato ampiamente assegnato al Wi-Fi, con l’obiettivo di potenziare l’ecosistema dei servizi digitali e dei dispositivi domestici.
In Corea del Sud e Canada, le strategie puntano a un equilibrio che favorisce i servizi Wi-Fi avanzati senza precludere margini ai futuri sviluppi mobili.
L’Europa, che già nel 5G ha accusato ritardi significativi rispetto a Cina e USA, non vuole ripetere la stessa traiettoria.
L’accesso al 6GHz è un tassello centrale per evitare un nuovo ciclo di dipendenze tecnologiche e per sostenere la competitività delle sue industrie strategiche.
Una chiusura necessaria: il futuro della connettività europea si decide ora
La decisione sulla banda 6GHz non è un atto tecnico circolare, ma una dichiarazione d’intenti sul ruolo che l’Europa intende giocare nel panorama tecnologico globale.
Non si tratta solo di scegliere tra mobile e Wi-Fi, tra telco e Big Tech: si tratta di definire un modello europeo di sovranità digitale, capace di sostenere l’innovazione senza cedere alle pressioni dei blocchi industriali più forti.
Il vero rischio non è la scelta in sé, ma la passività.
Se l’Europa non governerà il ritmo del 6G, qualcun altro lo farà al suo posto. E il continente si troverà, ancora una volta, a inseguire.
Per questo la decisione sulla banda 6GHz è molto più di una delibera sullo spettro radio: è un test sulla capacità dell’Europa di immaginare il proprio futuro tecnologico, di difendere la propria autonomia e di progettare infrastrutture che non subiscano il domani, ma lo anticipino.
Il 2030 non è poi così lontano. E ogni MHz, oggi, può determinare chi guiderà l’innovazione globale e chi, invece, la seguirà.