Verso il summit del 19 maggio cresce la pressione delle imprese per l’integrazione tra i sistemi ETS. Obiettivo: convergenza dei prezzi, riduzione dei costi e tutela dalla Carbon Border Tax europea.
Un gruppo composto da oltre 50 aziende e associazioni industriali attive in tutta Europa – tra cui Equinor, Orsted e RWE – ha chiesto ufficialmente a Regno Unito e Unione Europea di avviare negoziati per collegare i rispettivi mercati del carbonio (ETS). La richiesta arriva in vista del vertice bilaterale previsto per il 19 maggio, occasione strategica in cui Londra punta a ottenere nuove forme di cooperazione economica, doganale e in materia di sicurezza.
Perché un ETS congiunto? Equilibrio dei prezzi e prevenzione della fuga di carbonio
I sistemi Emission Trading System dell’UE e del Regno Unito prevedono l’acquisto di quote di emissione da parte di impianti industriali e centrali elettriche per ogni tonnellata di CO₂ rilasciata, in linea con gli obiettivi di riduzione climatica e decarbonizzazione.
Attualmente, il prezzo della CO₂ nel sistema britannico è inferiore di circa 48 sterline (64 dollari) rispetto al benchmark europeo, che si attesta intorno ai 66 euro (75 dollari) per tonnellata. Questa differenza sta creando distorsioni competitive tra le imprese dei due blocchi e rischia di generare una forma di “carbon leakage”: la rilocalizzazione della produzione verso giurisdizioni con minori oneri ambientali.
Il collegamento tra i due ETS, secondo le aziende firmatarie, favorirebbe:
- convergenza dei prezzi del carbonio tra i due mercati;
- riduzione dei costi sistemici per imprese e consumatori;
- eliminazione dei rischi legati alla doppia tassazione e agli oneri di frontiera.
CBAM e impatti sui flussi energetici UK–UE
Un ulteriore incentivo alla convergenza normativa è rappresentato dal Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), il nuovo sistema europeo che, dal 2026, applicherà una tariffa sulle emissioni incorporate nei beni importati nell’UE (tra cui acciaio, alluminio, fertilizzanti, idrogeno ed elettricità).
Nel caso in cui il Regno Unito non raggiunga un accordo di equivalenza ETS con Bruxelles, le esportazioni di energia elettrica rinnovabile britannica potrebbero essere soggette a costi aggiuntivi, con l’effetto paradossale di:
- aumentare i prezzi dell’energia nell’UE;
- penalizzare fonti pulite rispetto a forniture fossili intra-UE;
- disincentivare l’integrazione delle reti elettriche europee.
Impatti economici e regolatori: breve sacrificio, lungo guadagno
Secondo diversi analisti, un’integrazione dei due mercati ETS potrebbe inizialmente comportare un riallineamento dei prezzi del carbonio nel Regno Unito verso l’alto, con un aumento dei costi diretti per le imprese britanniche. Tuttavia, nel medio-lungo termine, il collegamento eliminerebbe:
- l’incertezza normativa sulle esportazioni
- i costi indiretti legati alla compliance con la CBAM
- le barriere commerciali non tariffarie tra due dei mercati più integrati al mondo.
Strategia climatica e politica industriale europea
Il dibattito sul collegamento ETS-ETS si inserisce in un più ampio contesto di rafforzamento della governance climatica europea, in cui il carbon pricing diventa strumento centrale di politica industriale. L’uniformazione delle regole per le emissioni rappresenta non solo un passo avanti in termini ambientali, ma anche un meccanismo di stabilizzazione per le catene del valore transfrontaliere.
L’iniziativa congiunta di oltre 50 realtà aziendali evidenzia la crescente consapevolezza del settore privato sull’urgenza di integrare le politiche ambientali con quelle commerciali per evitare frizioni, frammentazioni regolatorie e perdite di competitività.
Sfida tecnica e opportunita’ politica
L’integrazione tra i mercati ETS del Regno Unito e dell’Unione Europea rappresenta una sfida tecnica, ma anche un’opportunità politica. Una convergenza ben strutturata può favorire prevedibilità normativa, coerenza climatica e sostenibilità economica per entrambi i blocchi. Con l’avvicinarsi del vertice del 19 maggio sarà fondamentale comprendere se il tema del carbon pricing sarà incluso nell’agenda politica. Il rischio, in caso contrario, è quello di rafforzare le barriere interne all’Europa proprio nella fase in cui sarebbe più urgente abbatterle per accelerare la transizione.