L’esercito USA punta a 1 milione di droni: la nuova corsa alla supremazia tecnologica

RedazioneRedazione
| 07/11/2025
L’esercito USA punta a 1 milione di droni: la nuova corsa alla supremazia tecnologica

Il segretario dell’Esercito Daniel Driscoll annuncia un piano per acquistare oltre un milione di droni nei prossimi tre anni. Washington punta a liberarsi dalla dipendenza tecnologica cinese e ridefinire la guerra del futuro.

Dai droni “usa e getta” alla produzione di massa negli Stati Uniti: l’obiettivo del Pentagono è creare una rete industriale nazionale in grado di rivaleggiare con la potenza produttiva di Russia, Ucraina e Cina.

Washington accelera: la corsa industriale dei cieli

È una cifra che impressiona.
Un milione di droni in tre anni. Non come ipotesi, ma come piano operativo.
L’annuncio del segretario dell’Esercito, Daniel Driscoll, segna una svolta silenziosa, ma profonda: l’inizio di una nuova corsa agli armamenti, questa volta fatta di algoritmi, eliche e circuiti stampati.

“Oggi ne produciamo circa 50.000 all’anno” ha spiegato Driscoll in un’intervista telefonica con Reuters. “Ma nei prossimi due o tre anni vogliamo arrivare almeno a un milione”.
Un salto di venti volte. Un obiettivo quasi industriale, più che militare.

L’idea è chiara: trasformare il cielo in un ecosistema tecnologico diffuso, dove i droni non siano più un lusso tattico, ma una risorsa ubiqua, replicabile, sacrificabile.

Dai campi di battaglia ucraini alle basi americane: la lezione del conflitto del secolo

Driscoll parla spesso della guerra in Ucraina. È lì che, secondo molti analisti, si sta scrivendo il manuale della guerra del XXI secolo.
“Russia e Ucraina producono ciascuna circa 4 milioni di droni all’anno. La Cina, probabilmente, più del doppio”.
Un dato che dice tutto: l’industria militare non basta più. Serve un’industria totale.

Nel conflitto ucraino, droni minuscoli e a basso costo hanno dimostrato una potenza devastante: in grado di sostituire l’aviazione convenzionale, colpire obiettivi a centinaia di chilometri e saturare le difese nemiche.
Il messaggio per Washington è inequivocabile: se la guerra cambia scala, anche la produzione deve cambiare ritmo.

Picatinny Arsenal, in New Jersey, è diventato il laboratorio di questo cambiamento.
Driscoll, durante la sua visita, ha assistito a test di “net rounds”: proiettili che catturano droni nemici in una rete e a dimostrazioni di nuove armi elettromagnetiche sincronizzate con sistemi d’artiglieria.
Esperimenti da futuro prossimo. Eppure, tutti già possibili.

Droni come proiettili: il cambio di paradigma culturale

Per decenni, il Pentagono ha pensato ai droni come a strumenti d’élite: sofisticati, costosi, pochi, ma letali.
Ora, Driscoll vuole ribaltare il concetto.
“Dobbiamo cominciare a considerarli come munizioni intelligenti, non come gioielli tecnologici” ha detto.
La frase è quasi un manifesto.

Il suo obiettivo non è solo quantitativo, ma filosofico.
Trasformare il modo in cui l’esercito percepisce il valore della tecnologia: non più come oggetto prezioso, ma come risorsa riproducibile, effimera, strategica.
Un drone non è più qualcosa da proteggere, ma da moltiplicare.

In questa logica, la perdita non è un fallimento: è una parte del piano.
“Ogni drone perso in volo” ha spiegato un ufficiale del Pentagono “è un dato raccolto, un esperimento sul campo, un algoritmo migliorato”.

La nuova strategia industriale: decentralizzare per resistere

Il piano Driscoll non prevede una sola mega-fabbrica, ma una rete diffusa di produzione.
Negli Stati Uniti, diversi legislatori spingono per costruire un grande impianto da 1 milione di unità all’anno in Texas.
Driscoll, però, ha una visione diversa: “Non possiamo dipendere da un unico punto. Serve una filiera flessibile, distribuita, capace di riconfigurarsi in caso di emergenza”.

Questo significa collaborare non solo con le aziende della difesa, ma con il settore privato e civile.
“Vogliamo lavorare con chi costruisce droni per le consegne Amazon, per l’agricoltura, per le riprese cinematografiche. La tecnologia è la stessa, cambia solo il contesto”.

Dietro la strategia c’è un’intuizione semplice, ma radicale: in una guerra tecnologica, il confine tra civile e militare si dissolve.

L’ombra cinese: la dipendenza da cui liberarsi

Oggi, più del 70% dei componenti chiave dei droni americani — sensori, motori, batterie, schede — arriva dalla Cina.
È una vulnerabilità che Driscoll conosce bene.
“Se un domani ci trovassimo in conflitto con Pechino, non potremmo contare sui loro semiconduttori” ha ammesso. “Ecco perché dobbiamo ricostruire tutto, pezzo per pezzo, dentro i nostri confini”.

Il piano del Pentagono punta a ricreare una supply chain interna, dagli stabilimenti di motori brushless fino ai produttori di software e IA militare.
Una strategia di lungo periodo, che implica investimenti pubblici, ma anche incentivi privati.
Un nuovo “Arsenal Act” per l’era digitale.

Il Pentagono alla prova della propria burocrazia

Se c’è un ostacolo più grande della tecnologia, è la burocrazia.
Il Pentagono ha un passato di grandi annunci e lente realizzazioni.
Nel 2023, aveva lanciato il programma Replicator, promettendo migliaia di droni autonomi entro il 2025. Poi, silenzio. Nessun aggiornamento, nessun dato pubblico.

Driscoll lo sa. Per questo vuole un approccio più agile, coordinato dalla DOGE unit, un gruppo di task force interno che lavora in parallelo alle agenzie tradizionali.
Obiettivo: tagliare i tempi, semplificare gli appalti, aumentare la produzione.

Ma c’è un problema politico: molti membri del Congresso non vogliono tagliare i fondi per i vecchi sistemi d’arma che garantiscono lavoro nelle proprie circoscrizioni.
In sintesi: per costruire il futuro, qualcuno dovrà rinunciare al passato.

La guerra che viene: quantità, intelligenza, adattamento

Il vero salto non sarà nella potenza, ma nel numero.
Driscoll e i suoi analisti immaginano conflitti dove milioni di droni autonomi, economici e interconnessi, agiranno come sciami pensanti.
Ogni drone, un sensore. Ogni sensore, un nodo di rete. Ogni rete, un’arma.

“Dobbiamo prepararci a guerre in cui la velocità dell’adattamento sarà decisiva” ha detto Driscoll.
In quella visione, la guerra diventa un fenomeno di intelligenza collettiva.
Un sistema che apprende, corregge, colpisce quasi senza intervento umano.

Per questo il Pentagono investe anche in difese simmetriche: droni anti-droni, cannoni elettromagnetici, sistemi di disturbo neurale.
La battaglia del futuro sarà una danza di algoritmi.

Il cielo come infrastruttura strategica

Il cielo è tornato a essere territorio conteso.
Ma non più da caccia supersonici o bombardieri, bensì da sciami invisibili di macchine intelligenti.

Driscoll lo sa e non lo nasconde.
“Droni offensivi, droni difensivi sono il futuro del combattimento. Dobbiamo investire ora o saremo noi a essere osservati dall’alto”.

C’è qualcosa di simbolico in tutto questo.
L’America, che per un secolo ha dominato mari e oceani, vuole ora dominare l’etere, lo spazio aereo, la dimensione invisibile del potere.
E forse, più che un piano militare, è un progetto di civiltà: non più controllare il mondo con le navi o i missili, ma con l’intelligenza distribuita delle macchine.

Barberio & Partners s.r.l.

Via Donatello 67/D - 00196 Roma
P.IVA 16376771008

Policy
Privacy Policy
Cookie Policy
Termini e Condizioni
iscriviti alla nostra newsletter
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e la Informativa sulla Privacy di Google, nonché i Termini di Servizio sono applicabili.