La vera crisi delle telecomunicazioni europee: perché lamentarsi non è più una strategia

| 09/12/2025
Illustrazione metaforica con una tazza incrinata collegata a cavi, circondata da piccoli operai che gestiscono fili e indicatori luminosi relativi a investimenti e infrastrutture.

Per anni, la crisi delle telecomunicazioni europee è stata descritta attraverso bilanci, dispute regolamentari e il consueto coro di lamentele su prezzi troppo bassi, giganti del cloud stranieri e costi crescenti. Ma la vera crisi non si trova negli indicatori finanziari. Si trova nel linguaggio con cui il settore parla di sé. La proliferazione di lamenti, metafore improvvisate e denunce rituali contro TikTok, Disney, Amazon, le bollette dell’energia o i prezzi delle frequenze non rivela un’ingiustizia strutturale, bensì un vuoto strategico. È il sintomo di un’industria che ha perso chiarezza, ambizione e, soprattutto, direzione.

L’illusione della colpa esterna

Gli operatori storici europei si sono rifugiati in una narrativa confortevole: la regolazione è troppo pesante, la concorrenza troppo intensa, i consumatori troppo esigenti, gli investimenti troppo costosi. Eppure un fatto ostinato mette in crisi questa narrazione. I prezzi della fibra e del 5G non sono regolati in Europa. Nessuna autorità impone FTTH a 19 euro o dati illimitati a 7 euro. Sono decisioni commerciali volontarie — il risultato di un decennio di competizione al ribasso. Lamentarsi oggi delle conseguenze di scelte compiute liberamente non è una strategia; è incoerenza autoinflitta.

Il vero problema è interno

La crisi delle telecomunicazioni europee non è imposta dall’esterno. È generata dall’interno. Per troppo tempo il settore ha difeso architetture e mentalità radicate in un’altra epoca. Il vero vincolo non è Bruxelles — è un conservatorismo profondo. Quello che chiamo il “modello del rame” non è solo un’infrastruttura ereditata: è un modo di pensare. Integrazione verticale totale, clienti captive, concorrenza reale limitata, processi lenti, operazioni non cloud-native, e una ostilità riflessa verso innovazioni come eSIM, open network, neutral host, API aperte ed edge computing. È un modello costruito per un mondo di scarsità. E la scarsità, nell’era digitale, non esiste più.

Un continente frammentato per progettazione

Mentre Stati Uniti e Asia costruivano ecosistemi alimentati da scala, cloud, AI e servizi digitali, l’Europa consolidava la frammentazione: ventisette Paesi. Ventisette regolatori. Oltre cento operatori. Una geografia industriale disomogenea che soffoca la crescita invece di abilitarla. Ecco perché l’Europa è in ritardo su AI operativa, adozione del cloud, piattaforme digitali e intensità degli investimenti. Il sistema è progettato per il comfort nazionale, non per la competizione globale.

E ogni volta che si discute di consolidamento, il dibattito si arena ai confini nazionali. Questo è l’errore strategico centrale. Le fusioni domestiche sommano debolezze; non creano forza. L’Europa ha bisogno di un consolidamento paneuropeo — la creazione di veri operatori continentali, con la scala, la solidità finanziaria e l’ambizione tecnologica necessari per competere con i giganti americani e asiatici. La scelta non è tra attori nazionali; è tra rilevanza e irrilevanza.

L’integrazione verticale: la gabbia che rimpicciolisce l’Europa

Un tale consolidamento resterà impossibile finché reti e servizi rimarranno fusi verticalmente. L’integrazione verticale non è un vantaggio nell’economia digitale di oggi; è la gabbia in cui l’Europa si è chiusa. I modelli wholesale-only, con una separazione chiara e irreversibile tra reti e servizi, non sono esperimenti ideologici: sono necessità economiche. Un’architettura di rete neutrale apre la concorrenza nei servizi, evita duplicazioni costose, accelera gli investimenti e rende possibili piattaforme transfrontaliere autentiche. Solo una separazione strutturale ordinata può accendere quel mercato paneuropeo dei servizi digitali che l’Europa sogna da vent’anni.

L’Europa deve competere dove nasce il valore

Le reti devono diventare infrastrutture critiche condivise. La competizione deve spostarsi — urgentemente — su servizi, piattaforme, AI e contenuti digitali. Ma l’Europa resta intrappolata nella logica del “ognuno nel proprio cortile”, una mentalità che ha prodotto nanismo industriale, rallentato il 5G standalone, ritardato l’edge cloud e lasciato indietro API di rete e strategie di cybersecurity. Considerare i data center tedeschi, i nodi edge spagnoli, i cluster AI francesi o gli ecosistemi di Shenzhen come minacce significa non comprendere la natura della competitività moderna. Nessun operatore, nessun Paese — per quanto grande — può competere da solo nella nuova economia digitale. La competitività nasce dall’interconnessione, non dal protezionismo.

Il vero fallimento del settore: la creazione di valore

È vero che i costi energetici sono aumentati, che molte aste 5G sono state distorte e che la pressione sui margini è reale. Ma nulla di tutto questo spiega perché l’Europa, pur avendo alcune delle migliori reti in fibra del mondo, continui a mostrare ARPU cronicamente bassi, investimenti insufficienti e una scarsa capacità di monetizzare la connettività. La verità è più semplice — e più scomoda: il settore ha passato un decennio a difendere il passato invece di costruire il futuro.

Una scelta che l’Europa non può più rimandare

Il problema non è che il mondo si muova troppo velocemente. Il problema è che l’Europa si è mossa troppo lentamente e spesso nella direzione sbagliata.

Ciò di cui l’Europa ha bisogno non è un nuovo ciclo di lamentele, ma un cambio di paradigma. La crisi non deriva dai regolatori, dai consumatori o dalla concorrenza: deriva dall’incapacità dell’industria di abbandonare un modello incompatibile con l’economia dell’AI, del cloud e delle piattaforme.

L’Europa oggi si trova davanti a una scelta binaria:continuare a lamentarsi dei propri vincoli, oppure iniziare finalmente a costruire il proprio futuro.

Perché il futuro delle telecomunicazioni europee non sarà scritto da chi continua a invocare scuse.

Sarà scritto da chi avrà il coraggio di ripensare tutto.

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