L’idea di legiferare per rendere obbligatorio lo switch-off della rete in rame a favore della fibra è stato un errore strategico che avrebbe potuto avere effetti negativi sul mercato, sulla concorrenza e, soprattutto, sulle imprese e i consumatori italiani. Non si tratta solo di una questione di opportunità, ma di rispetto dei principi regolatori europei e di un’adeguata risposta alle reali esigenze del settore delle telecomunicazioni.
E’ fondamentale, innanzitutto, chiarire che la regolamentazione europea non impone lo switch-off del rame a favore della fibra. Non è possibile introdurre una legge nazionale che obblighi a tale passaggio o che imponga al regolatore nazionale – AGCOM, in questo caso – di disciplinare lo switch-off in un determinato modo. I regolatori nazionali devono mantenere la loro indipendenza e qualsiasi tentativo di imporre loro direttive specifiche minaccia l’autonomia regolatoria, uno dei principi fondamentali della normativa europea.
La Commissione Europea non ha mai proposto di introdurre una legislazione che renda obbligatorio lo switch-off del rame e nessun Paese europeo ha emanato una legge nazionale su questa materia.
Perché, dunque, l’Italia avrebbe dovuto farlo?
Guardando agli altri Paesi europei, vediamo che molti sono significativamente più avanti rispetto all’Italia sia in termini di copertura FTTH (Fiber to the Home) sia in termini di adozione della fibra. Ad esempio, Francia e Spagna hanno raggiunto tassi di copertura della fibra rispettivamente del 73% e dell’81%, con tassi di adozione superiori al 60%. Eppure, questi risultati sono stati ottenuti senza introdurre regolamenti obbligatori sullo switch-off della rete in rame.
Inoltre, una normativa di questo tipo avrebbe dovuto essere notificata alla Commissione Europea e sarebbe stato altamente probabile un suo rigetto.
In passato, ci sono stati casi simili in cui alcuni governi hanno tentato di imporre obblighi ai propri regolatori nazionali e la Commissione ha risposto minacciando di avviare una procedura d’infrazione.
Non sarebbe stato possibile imporre una regolamentazione che rischiava di compromettere l’autonomia regolatoria e di creare un contesto di concorrenza disomogeneo rispetto agli altri Stati membri dell’UE.
Dal punto di vista pratico, imporre uno switch-off obbligatorio del rame sarebbe stato controproducente, considerando che la maggior parte delle famiglie italiane non è ancora connessa alla rete in fibra. Piuttosto che concentrare gli sforzi su una normativa che rischiava di creare disagi e ritardi non sarebbe stato più utile investire maggiormente nelle attività di scavo e nelle connessioni fino a casa?
La vera priorità dovrebbe essere accelerare i lavori per portare la fibra nelle abitazioni italiane, non distogliere l’attenzione politica con un dibattito regolatorio inutile e dannoso.
Va anche sottolineato che in Italia il prezzo delle connessioni in rame è lo stesso delle connessioni FTTH in fibra.
Questo significa che non esistono barriere economiche che impediscono ai consumatori di passare alla fibra una volta che questa diventa disponibile. Nelle aree ad alta competizione (aree nere), l’adozione della fibra supera il 50%.
Nelle aree a bassa densità (aree bianche), l’adozione è molto più bassa semplicemente perché le abitazioni non sono ancora effettivamente connesse. È quindi evidente che il problema non è la mancanza di domanda, ma piuttosto l’insufficienza delle infrastrutture.
Trovo, inoltre, piuttosto singolare che a chiedere l’introduzione di una nuova normativa per lo switch-off del rame sia stato un operatore wholesale-only.
Una regolamentazione del genere avrebbe solamente irrigidito ulteriormente il mercato, danneggiando la concorrenza e potenzialmente creando una situazione in cui alcuni operatori sarebbero stati svantaggiati rispetto ad altri.
Gli effetti negativi di una politica di switch-off obbligatorio sono molteplici.
In primo luogo si rischia di creare un mercato distorto.
Inoltre, si potrebbero generare costi più elevati per i consumatori, che si troverebbero ad affrontare una transizione forzata senza reali benefici in termini di qualità del servizio.
Infine, l’imposizione di una tale regolamentazione potrebbe ridurre gli incentivi per gli operatori a investire ulteriormente nella copertura in fibra, rallentando così lo sviluppo delle infrastrutture digitali nel Paese.
L’Italia ha bisogno di una visione strategica per lo sviluppo della connettività, basata sugli investimenti e sulla collaborazione tra pubblico e privato, non su regolamentazioni che rischiano di danneggiare il mercato e i cittadini.
È tempo di concentrarsi sulle reali priorità: connettere tutte le abitazioni, migliorare la copertura della fibra e garantire che tutti possano beneficiare delle opportunità offerte dalla trasformazione digitale.