In questi mesi a Bruxelles si lavora a una nuova riforma delle telecomunicazioni: il Digital Networks Act. L’intento è ambizioso – rilanciare un settore strategico, in un’epoca in cui tutto, dal lavoro alla salute, dalla scuola alla mobilità, passa per una buona connessione. Ma tra le ipotesi in discussione, ce n’è una che rischia di portarci nella direzione sbagliata: eliminare il modello chiamato wholesale-only.
Non lasciatevi spaventare dal termine. Il concetto è semplice: chi costruisce le reti – come la fibra ottica – non dovrebbe essere anche quello che vende i servizi internet agli utenti. Perché? Perché è l’unico modo per garantire che tutti – grandi e piccoli operatori – possano usare quella rete alle stesse condizioni. Senza favoritismi, senza conflitti di interesse, senza che qualcuno possa escludere gli altri.
È una regola di buon senso. E dove è stata applicata bene, ha funzionato. Pensiamo a Stoccolma: lì, già vent’anni fa, il Comune ha deciso di investire in una rete neutrale, accessibile a tutti. Si chiama Stokab. Oggi la città ha una delle infrastrutture in fibra più avanzate e capillari d’Europa. Decine di operatori competono in modo equo e i cittadini hanno connessioni simmetriche fino a 1 Gbps a costi tra i più bassi del continente.
Oppure guardiamo al Regno Unito: l’arrivo di operatori come CityFibre, che offrono infrastrutture aperte a chiunque voglia vendere servizi internet, ha cambiato il mercato. La concorrenza è aumentata, gli investimenti sono cresciuti e la qualità del servizio è migliorata. E soprattutto, per i consumatori è arrivata una cosa che mancava da anni: la vera possibilità di scegliere.
Ma il punto centrale è un altro: la separazione tra rete e servizi è la condizione necessaria per creare un vero mercato paneuropeo dei servizi digitali. Finché gli operatori storici resteranno verticalmente integrati – presenti allo stesso tempo sul mercato wholesale e su quello retail – sarà impossibile costruire un ecosistema digitale europeo aperto, competitivo, dinamico. Il conflitto di interesse strutturale degli incumbent è un freno alla concorrenza e un ostacolo alla nascita di nuovi modelli di business.
Sostenere il modello wholesale-only significa incentivare un mercato retail più vivace: con più offerta, prezzi più bassi, maggiore qualità dei servizi e, soprattutto, spazio per innovare. Significa permettere la nascita di nuovi attori, di start-up e di operatori specializzati capaci di creare valore aggiunto sui servizi digitali avanzati, dai contenuti al cloud, dall’educazione online alla sanità connessa.
E il vantaggio non è solo per le imprese. È concreto anche per i cittadini. Quando la rete è neutrale, chiunque può offrire servizi, e chiunque può sceglierli. Si crea un vero mercato della concorrenza, non una prateria controllata da pochi, in cui il consumatore è costretto ad accettare ciò che gli viene imposto.
Al contrario, quando chi possiede le reti controlla anche l’accesso e i servizi, il mercato si chiude. La concorrenza si riduce, l’innovazione rallenta e le disuguaglianze digitali si ampliano. Abbiamo visto cosa succede in contesti dominati da modelli verticali: barriere all’ingresso artificiali, pratiche discriminatorie, posizione dominante consolidata. E alla fine, il conto lo pagano tutti: cittadini, imprese, e l’intero sistema economico.
Il problema non è il principio del modello, ma la sua applicazione. Quando è ben progettato, indipendente, trasparente e sostenuto da una chiara visione industriale, i benefici sono evidenti.
Abbandonare oggi il modello wholesale-only significherebbe fare un passo indietro di vent’anni. Vorrebbe dire accettare che pochi soggetti controllino tutto: dalle reti ai servizi, fino al rapporto diretto con il cliente. Vorrebbe dire rinunciare a un mercato europeo delle telecomunicazioni integrato, moderno, competitivo.
E a soffrirne, più di tutti, sarebbe l’innovazione. Senza accesso equo alle infrastrutture, le start-up non nascono, gli operatori alternativi non crescono, le nuove idee restano nel cassetto. Un ecosistema digitale chiuso è un ecosistema sterile.
Anche il consumatore, nel quotidiano, pagherebbe un prezzo salato: meno scelta, meno trasparenza, meno potere contrattuale. E tariffe più alte.
Vale la pena ricordarlo: il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, approvato a larga maggioranza solo pochi anni fa, ha indicato proprio nella separazione tra rete e servizi uno dei pilastri per garantire pluralismo e concorrenza. Rinnegare oggi quel principio equivarrebbe a demolire la base regolatoria su cui si è fondata la modernizzazione digitale europea.
Mai come ora l’Europa ha bisogno di reti aperte, trasparenti, neutrali. Reti che consentano lo sviluppo di servizi innovativi, che stimolino investimenti, che mettano i consumatori e le imprese al centro. In un momento in cui si parla di intelligenza artificiale, cybersicurezza e sovranità digitale, rinunciare alla neutralità infrastrutturale sarebbe una scelta miope e pericolosa.
Il Digital Networks Act può essere una grande occasione. Ma solo se saprà rafforzare – e non smantellare – i principi di apertura e concorrenza su cui si fonda una vera Europa digitale.
La posta in gioco è altissima. Sostenere il modello wholesale-only non è una scelta tecnica, è una scelta politica. Significa scegliere trasparenza, innovazione, libertà. Significa rendere davvero possibile un mercato unico europeo delle telecomunicazioni, con più concorrenza, più dinamismo, più futuro.
Il modello non è perfetto. Nessun modello lo è. Ma è l’unico che può liberarci da vecchi monopoli e prepararci a un futuro digitale aperto, competitivo e inclusivo. Abbandonarlo ora sarebbe un errore strategico che rischiamo di pagare caro – economicamente, tecnologicamente e anche politicamente.