I Campi Flegrei, con la loro caldera estesa dal cuore di Pozzuoli fino al Golfo di Napoli, rappresentano da secoli un enigma e al tempo stesso una minaccia. In nessun altro luogo d’Europa convivono in così stretta prossimità centinaia di migliaia di abitanti e un sistema vulcanico tanto complesso e instabile. Da decenni l’area è sotto costante osservazione: terremoti, emissioni gassose e sollevamento del suolo sono segnali ricorrenti di una crisi che sembra non spegnersi mai del tutto.
In questo scenario, il recente studio pubblicato su Science nel settembre 2025 ha segnato un punto di svolta: per la prima volta, l’intelligenza artificiale è stata messa al servizio della lettura di milioni di segnali sismici, restituendo una visione nuova della caldera.
Il lavoro, frutto della collaborazione tra Stanford University, l’Osservatorio Vesuviano dell’INGV e l’Università Federico II di Napoli, ha prodotto un catalogo sismico ad altissima risoluzione, ricostruendo oltre 54 mila eventi registrati tra il 2022 e il 2025. L’impatto di questo risultato va oltre la mera dimensione tecnica: significa poter distinguere con maggiore precisione le dinamiche sotterranee, comprendere la natura dei terremoti che scuotono l’area e, soprattutto, rafforzare la capacità di valutazione del rischio. Se da un lato lo studio conferma che non vi sono, al momento, segnali di risalita significativa di magma, dall’altro ha permesso di individuare un sistema di faglie ad anello che circonda l’area di sollevamento del cratere, estendendosi fino al mare. Una scoperta che cambia il modo di guardare alla sismicità flegrea, evidenziando la prevalenza di meccanismi tettonici e il ruolo dei fluidi idrotermali.
Ciò che rende possibile questo salto di qualità è la metodologia adottata. L’intelligenza artificiale non sostituisce la sensibilità e l’esperienza dei sismologi, ma ne amplifica la capacità di analisi.
Gli algoritmi impiegati si basano su reti neurali profonde, capaci di riconoscere in frazioni di secondo i tempi di arrivo delle onde sismiche (le fasi P e S) su milioni di tracciati.
Un secondo passaggio associa i segnali compatibili a un singolo evento, mentre un terzo modulo provvede alla localizzazione e alla stima della magnitudo. L’intera pipeline, ispirata ai modelli sviluppati negli ultimi anni dalla scuola di Stanford, è stata ri-addestrata su dati locali dell’Osservatorio Vesuviano: un passaggio cruciale per ridurre errori e adattare gli algoritmi a un contesto rumoroso e complesso
come quello flegreo.
Il risultato è duplice: da un lato si è abbassata la soglia di rilevabilità, con la possibilità di riconoscere eventi microsismici prima invisibili; dall’altro si è guadagnato in precisione, riuscendo a separare terremoti sovrapposti e a delineare con chiarezza le strutture di faglia.
Per la prima volta, anche sulla terraferma, presso Pozzuoli, è stato possibile riconoscere faglie ben definite che contribuiscono a spiegare l’attività bradisismica e a migliorare le stime di pericolosità sismica.
Accanto a questo quadro, il sistema ha identificato un numero limitato di eventi “ibridi” molto superficiali, localizzati sotto il duomo di Accademia: fenomeni dovuti alla fratturazione delle rocce in presenza di fluidi, interpretabili come segnali idrotermali piuttosto che magmatici.
Un aspetto rilevante dello studio è che la tecnologia non è rimasta confinata alle pagine di una rivista scientifica, ma è già stata trasferita in sala di sorveglianza. Il sistema di analisi automatica dei segnali sismici è oggi operativo presso l’Osservatorio Vesuviano e, una volta completata la fase di test, potrà fornire in quasi tempo reale informazioni critiche alla Protezione civile.
Ciò significa tempi di risposta più rapidi, cataloghi aggiornati in continuo e una base conoscitiva più solida per assumere decisioni in scenari di crisi. Naturalmente, l’intelligenza artificiale non è un oracolo: i
dati vanno interpretati, validati e confrontati con altre fonti di monitoraggio, dalla geodesia satellitare alle analisi geochimiche. Ma il valore aggiunto in termini di efficienza e riduzione dell’incertezza è evidente.
In prospettiva, i Campi Flegrei diventano un laboratorio mondiale per l’uso dell’AI in contesti vulcanici. La stessa metodologia, se opportunamente adattata, potrà essere applicata ad altri sistemi complessi, dall’Etna a Santorini, dove la densità di popolazione e la vulnerabilità rendono ancora più urgente disporre di strumenti predittivi avanzati. Al tempo stesso, si aprono questioni più ampie, che toccano il rapporto tra tecnologia, società ed etica: fino a che punto possiamo affidarci a macchine che leggono i segnali del sottosuolo meglio di noi? Quale responsabilità ricade sulle istituzioni nel garantire che l’innovazione non generi false certezze, ma venga integrata in un processo di comunicazione trasparente e consapevole con i cittadini?
La conclusione del lavoro è chiara: al momento non ci sono indizi di un’imminente eruzione, ma l’attenzione deve restare altissima. L’AI non serve a rassicurare, bensì a rafforzare la prevenzione, offrendo mappe più nitide di un sistema instabile. In questo senso, la tecnologia diventa strumento di intelligenza collettiva: trasforma il dato grezzo in conoscenza condivisa, riducendo i margini di incertezza e aumentando la resilienza di una comunità che vive su un vulcano. Nei Campi Flegrei, l’intelligenza artificiale ha cominciato a scavare nel buio del sottosuolo. Ma la vera sfida, oggi, è tradurre questa luce nuova in decisioni consapevoli e in un patto di fiducia tra scienza, istituzioni e cittadini. Perché è da questo intreccio che dipenderà la sicurezza del futuro.
L’intelligenza artificiale svela i Campi Flegrei: dalla scienza dei dati alla prevenzione del rischio
